Le origini: la poesia preislamica
La letteratura sotto il segno dell'Islam: il Profeta
Muhammad e il periodo ommayyade
Il periodo abbasside
La decadenza
La rinascita: la letteratura moderna
La letteratura araba al femminile
La letteratura maghrebina di espressione
francese
Le origini: la poesia
preislamica.
Le più antiche testimonianze, della
storia della letteratura araba nascono tra i popoli nomadi del deserto dell'Arabia
settentrionale all'alba del VI secolo. Sono poesie orali tramandate
per secoli dai cantori (ruwat), raccolte e codificate sotto l'Islam
verso l'VIII secolo d.C. e considerate da sempre espressione dell'antica
società araba. Specchio fedele della vita di quell'epoca, parlano
di amori, di guerre, di diatribe tra tribù, di caccia, a volte in
stile gnomico, in un sistema metrico detto qasida: " un artificioso
complesso poetico ", spiega Francesco Gabrieli, a struttura piuttosto rigida:
" in cui quello che dal punto di vista pratico può chiamarsi il vero
e proprio scopo del carme (lode o vanto, polemica politica, ecc...) è
preceduto da un mosaico, per cosi dire, ove il poeta sfiora o indugia a
lungo su tutt'altri argomenti ".
Molte sono le raccolte e anche i poeti. La più famosa è la
collana delle sette Mu’allaqat, che racchiude le più celebri autori
tra i quali Imrulqais, il re poeta dei Kinda, Nabigha, il poeta della tribù
di Dhubyan, grande viaggiatore, Taabata Sharran autore di un canto di vendetta
per l’uccisione di un suo zio, e la poetessa al-Khansa, famosa per le sue
elegie per la morte dei due fratelli.
La letteratura sotto il
segno dell'Islam: il Profeta Muhammad e il periodo ommayyade.
La nascita dell'Islam segna il primo capitolo
della letteratura arabo-musulmana che si apre con il
Corano, testo sacro dell’Islam. Il Corano, in cui l'Arcangelo Gabriele
recita la parola di Dio a Muhammad che la riporta
integralmente ai fedeli, nasce come testo orale. Solo vent'anni dopo la
morte del Profeta, per volere del califfo Othman, fu codificato in un testo
scritto composto da 114 sure (capitoli). In questo periodo fu anche
cominciata la raccolta degli hadith che raccolgono, attraverso una
successione di trasmettitori e testimoni oculari contemporanei di Muhammad,
i pensieri e la vita del Profeta. Il Corano e gli hadith costituiscono
la base della letteratura arabo-musulmana fino alle soglie del nostro secolo.
Sotto gli Ommayyadi, che resteranno al potere per un secolo (660-750), la
poesia scopre temi diversi dettati dal nuovo clima politico e sociale. Cosi
accanto alla poesia beduina nasce quella cittadina, quella di corte, quella
erotica, quella bacchica. Il califfo ommayyade Walid Ibn Yasid canta le
passioni, il vino e l’amore, mentre Omar Ibn Abi Rabia diventa l’esponente
principale del filone erotico. La qasida, soprattutto per la poesia
d’amore, comincia a perdere l’antica rigidità. “Intorno ai loro
versi“, sottolinea il Gabrieli, “si formano veri e propri romanzi amorosi
(...) che sono talora tra le più belle pagine narrative dell’antica
prosa araba.
Il periodo abbasside.
Con la dinastia Abbasside che dura cinque
secoli (VIII-XIII) e copre parte del nostro Medio Evo, si entra nell'epoca
classica, l'epoca del grande impero e del massimo splendore dell'Islam,
quando la lingua e la letteratura araba escono dai confini del deserto per
entrare nel mondo: dalla Persia all'Atlantico, dalla Mesopotamia al Sudan, l'arabo diventa lingua ufficiale.
Questo è un periodo di grande fermento e splendore culturale delle
scienze, delle arti, e della letteratura. I poeti si confrontano con altri
stili di vita, con popolazioni non arabe, mentre continua il processo di
modernizzazione già iniziato in epoca ommayyde.
Sul versante della poesia classica, la qasida si arricchisce di preziosismi
e di enfasi con l'apporto di poeti come Al-Mutanabbi e si libera dal manierismo
dell'antico schema per potere esternare liberamente passioni e esperienze.
Amori, vino, taverne, danzatrici, schiave, vita cittadina, saranno i temi
privilegiati di questi poeti di cui uno degli esponenti principali e Abu
Nawas. In questa poesia trovano espressione anche angoscie, riflessioni
sulla vita, come quelle di Abul-Ala al-Marri.
Sarà un poeta cieco, Muqaddam al-Qabri, nella Spagna araba musulmana,
ad inventare nuove forme strofiche con le Muwashshahat (cinta o cintura)
e a inserire alla fine dell'ultima strofa un intero verso in arabo volgare
Andaluso, che in seguito Ibn Quzam trasformerà in zagial, forma metrica
in dialetto, inaugurando cosi una poesia popolare più vicina alla
gente a cui s'ispirerà la poesia popolare in lingua romanza.
L'apporto di storici, geografi, scienziati, filosofi, raccoglitori, biografi,
e traduttori segna la grande epoca della prosa. Al rigore del trattato si
accompagna il gusto per la narrazione, come nei resoconti di viaggio di
Ash-Shabusti, che nel suo Kitab ad-diyarat (Libro dei conventi) descrive
i conventi dell'Iraq, della Mesopotamia, e d'Egitto; in quelli dei geografi
come Al Muqaddasi, autore di La migliore divisione per la conoscenza
delle regioni; o come nel geografo Al Idrissi che, alla corte del re Ruggero a Palermo, scrive Il libro di re Ruggero
trattato geografico di tutti i Paesi allora conosciuti.
In lbn Al Mukaffa, che traduce la raccolta di racconti Panciatantra indiano con il titolo di Calila e Dimna, e nelle maqamat,
racconti in prosa rimata ricche di fantasia e invenzioni su episodi di vita
realmente accaduti, si ritrovano le origini della narrativa.
La decadenza.
L'arrivo dei mongoli nel XIII secolo a Bagdad
e la riconquista cristiana a Occidente segnano il periodo della decadenza
dell'impero islamico.
Tuttavia fioriscono ancora personalità eccezionali come lo storico
tunisino Ibn Khaldun, il geografo Ibn Battuta
di Tangeri e il filosofo al-Ghazali. La prosa si orienta verso l'enciclopedismo
e la letteratura popolare si rivolge alla memoria. Scritti in arabo spesso
volgare e intervallati da versi nascono casi le storie d’avventura come
la storia di Antara, celebre eroe preislamico, la storia della tribù
dei Beni Hilal, le vicende del sultano mammelucco Baibars, famoso per avere
espulso i crociati dalla Siria. A questo periodo risale la prima stesura
delle Mille e una notte che,
annota Gabrieli, " e araba per lingua, araba per ambiente, . . . ma non
araba per l'origine prima della favola-cornice e per molte della storie
più antiche che l’opera in se racchiude risalenti a tutt’altra epoca
e tutt’altro ambiente.”.
La rinascita: la letteratura
moderna.
Dopo quattro secoli di impero ottomano, la
rinascita culturale, Nahda, comincia nel primo '800 in Egitto sotto
l'opera di modernizzazione di Muhammed Ali (1805-1849), grazie anche ai
contatti con la cultura occidentale, che si intensificano con l'occupazione
europea, che risveglia negli arabi ideali di libertà e indipendenza.
Molte sono le opere di classici e di autori occidentali tradotte in quel
periodo; si pubblicano giornali, ponendo casi le premesse per la nascita
di nuove forme letterarie che trovano la loro prima espressione in Libano
e in Egitto.
Fondamentale in questo senso è l'opera dello scrittore e critico
letterario Taha Husein che, in un suo saggio dedicato alla letteratura del
periodo preislamico (1926), introduce per primo la metodologia storica-filologica
europea nello studio della cultura araba come complemento all’orientamento
tradizionale. E’ una tesi che fa molto scalpore negli ambienti dell’epoca
e che contribuisce all’opera dì modernizzazione che prosegue con
la nascita di riviste letterarie, con la fondazione dei primi circoli letterari
come il diwan fondato da Abbas Mahmud al-Aqqad al Cairo (1889-1964).
Nuove situazioni politiche e sociali si presentano agli scrittori e confluiscono
in un nuovo genere letterario: il romanzo. Il primo è pubblicato
nel 1914 dallo scrittore egiziano Haikal (1888-1921). Ma è l'egiziano
Mahmud Taymur (1894-1973) che inizia il racconto moderno a sfondo realistico,
seguito da Tawfiq al-Hakim (1898-1987) drammaturgo e scrittore, da Yahya
Haqqi (1905-1991), fino a Naguib Mahfuz (1921 vincitore del premio Nobel
per la letteratura), a Yussef Idris (1927-1992), il primo a inserire nei
racconti la forma dialettale, a Edward el-Kharrat e tanti altri ancora.
Il Libano come l’Egitto è stato uno dei punti importanti per l’elaborazione
della moderna cultura araba. A questo contribuì l'introduzione dell'insegnamento
pubblico fin dal 1736, lo sviluppo di importanti riviste letterarie e anche
l'emigrazione in Egitto, in Francia e negli Stati Uniti di molti intellettuali
siro-libanesi. Grazie a loro e alla scuola fondata dalla poetessa Nazik
al-Malaika negli anni ‘50 in Iraq, la poesia si libera completamente dagli
schemi classici. Da queste due scuole usciranno scrittori come Gibran Khalil
Gibran (1883-1931) e più tardi poeti simbolisti come Adonis.
Padre della narrativa in Libano è Mikha'il Nu'ayma (1889-1988). Seguono
poi Tawfiq 'Awwad (1911-1988), il siriano al-Ugiaili, i tunisini Bashir
Khraif e Rashad Hamzaoui, e gli iracheni Yakub Balbul, Dhu n-Nun Ayyub e
Fuad Tekerli. “Per una periodizzazione della storia letteraria araba più
recente” sottolinea Isabella Camera d’Afflitto “si deve necessariamente
tenere conto delle grandi trasformazioni politico-sociali succedutosi nella
regione nel corso degli ultimi cinquant’anni”.
Gli anni che vanno dal 1948 al 1967 sono ricchi di avvenimenti politici
e di trasformazioni sociali che si riflettono sulla produzione letteraria.
Nel 1948 avviene la costituzione dello Stato d'Israele, nel 1954 l'avvento
di Nasser in Egitto e con esso il socialismo, il nazionalismo e l’ideale
panarabo, nel 1956 la fine del colonialismo in Marocco e Tunisia e nel 1962
la fine della guerra d’Algeria e l’indipendenza. Ma la sconfitta araba contro
gli israeliani nel 1967 crea profonde delusioni. Scrive lo scrittore Egiziano
Edwar el-Kharrat “gli anni’60 furono gli anni delle grandi speranze e dei
tragici fallimenti, di realizzazioni e di frustrazioni nazionali, così
come di trasformazioni profonde nelle relazioni sociali senza precedenti
nella storia recente del mondo arabo.
Con gli anni ‘70 e ‘80 i paesi arabi conobbero la crescita dell'impatto
dei valori consumistici, l'arretramento delle ideologie e delle pratiche
"socialiste", la fuga dei cervelli, le eruzioni sporadiche di violenze comunitarie,
la riaffermazione dell'integralismo islamico, le sevizie dell’inflazione
monetaria e intellettuale, l’esaurirsi delle risorse sia spirituali che
materiali così altri sconvolgimenti politici e sociali ...". Sono
gli anni in cui, soprattutto dopo la sconfitta del 67, gli scrittori ricercano
un nuovo stile per potere descrivere questa realtà che cambia in
continuazione. Nasce così in Egitto la rivista "Galerie '68" che,
diretta dallo stesso Edward Kharrat, diventa il trampolino di lancio per
ali autori della nuova generazione.
Lo stile realista di Neguib Mahtuz cede il passo allo stile simbolista dello
scrittore palestinese Ghassan Kanafani (1936-1972), caposcuola della letteratura
palestinese della diaspora, alla scrittura scarna e essenziale dello scrittore
egiziano Ibrehim Sonallah. Lo scrittore Abdelrahman Munif diventa portavoce
dell'oppressione politica.
La letteratura araba al femminile.
Se un primo contributo alla letteratura è
da segnalare con la celebre poetessa al-Khansa già dal periodo preislamico,
e con l'inizio della "Nahda", del risorgimento culturale del secolo ottocento
che il contributo delle scrittrici comincia ad acquisire importanza.
Le prime protagoniste a entrare nella storia della letteratura al femminile
sono la poetessa siro cristiana Warda al Yazigi (1838-1924) e la scrittrice
musulmana egiziana Aisha Taimuriyya (1840-1902) che lavorano ancora entro
schemi tradizionali, seguite subito dopo da un gruppo di scrittrici come
le egiziane Bahithat al Badiya (1886-1918), Ibnat ash-Shati e Huda ash-Sharawi
e della siriana Selma Saigh che useranno la penna in favore dell'emancipazione
della donna. A quel periodo, infatti, i primi movimenti per i diritti delle
donne. Ma la scrittrice che ha coniugato le doti artistiche agli ideali
moderni è Maryam Ziyade nota come Mayy, nata in Palestina nel 1895
e vissuta al Cairo dove muore nel 1941. Scrive molti articoli di critica
soprattutto sulla letteratura moderna femminile e saggi sulla condizione
femminile. Negli anni '50 si pubblica il primo romanzo incentrato sui problemi
dell'emancipazione della donna dove la scrittrice egiziana Latifa Zayyat
indica come primo passo in tal senso l'autosufficienza economica. Da allora
la lista delle scrittrici si allunga tanto da rendere impossibile in questo
contesto approfondire la questione che meriterebbe uno studio più
articolato. Si possono citare la siriana Colette Khoury, la libanese Leila
Balbaky e Ghada Samman "la cui opera", scrive il critico Ibrahim al Ariss,
"impregnata di una sensibilità politica e sociale, di una rivolta
esistenziale, annuncia il rinascimento della letteratura femminile arab”.
Un’altra scrittrice degna di rilievo è Sahar Khalifa, palestinese
e autrice di due romanzi, improntati all’emancipazione della donna nel contesto
della guerra della lotta per la Palestina. Naoual Saadaoui, basandosi sulla
sua esperienza di psichiatra, scrive romanzi e saggi tra i più critici
e scandalosi di questi anni ed è riconosciuta come capofila di una
schiera di scrittrici e poetesse protagoniste in prima persona non solo
della lotta per l'eguaglianza dei sessi ma anche dei cambiamenti sociali
e politici dei loro paesi.
La letteratura maghrebina di espressione francese.
Il Maghreb (ovvero l‘Occidente, quella
fascia di territorio africano che parte dal deserto libico e giunge alle
rive dell‘Atlantico), nonostante sia stato islamizzato sin dai primi secoli
dell’Egira, ha sempre avuto storia a parte e non solo per il mantenersi
di forti identità etniche, segnatamente quella berbera, ma anche
per la sostanziale autonomia dai poteri centrali dell’impero islamico. La
conquista francese si sovrappose a questa situazione storica (Algeri fu
presa nel 1830, la Tunisia dichiarata protettorato nel 1881 e il Marocco
nel 1912) e subito inaugurò una politica di assimilazione delle classi
alte, imponendo l’uso della lingua metropolitana. In effetti ci fu anche,
soprattutto in Algeria, il tentativo di far “tabula rasa” della cultura
precedente, ma la resistenza fu immediatamente fortissima, anche perché
tale processo coincideva con il progredire dell’esproprio delle terre dei fellah, che quindi trovarono nella difesa della lingua araba una
componente essenziale della loro lotta. Non esiste qui lo spazio per una
disamina più accurata, per cui, restringendo il discorso alla letteratura,
corriamo consapevolmente il rischio di semplificare processi molto complessi.
La frequentazione della scuola francofona era strumento di emancipazione
sociale e, nello stesso tempo, di apprendimento, interiorizzazione cosciente
di valori che contribuirono alla formazione di identità individuali
che furono il fulcro dell'intellettualità protagonista della lotta
per l'indipendenza. Questa desunse molto dalla Rivoluzione Francese anche
se, è bene sottolinearlo, negli strati popolari la resistenza coincise
quasi sempre con la forte riaffermazione della tradizione islamica. Il processo
appena descritto fece sì, comunque, che il francese fosse recepito
da questi intellettuali come lingua propria, in cui esprimersi e
sviluppare la propria scrittura, l’unica possibile per dare voce e corpo
ai contenuti che volevano comunicare. Non significava quindi in alcun modo perdita di sé, e questo fu ampiamente dimostrato da come e
dove si schierarono. Rimane, è vero, una contraddizione non secondaria,
rispetto al referente, vale a dire al pubblico e al lettore a cui
hanno destinato e destinano le loro opere. Qui ci limitiamo a segnalare
il problema, che non approfondiremo, anche perché nulla toglie all'affermazione
che la letteratura maghrebina di espressione francese esiste come comparto
letterario autonomo non assimilabile alla letteratura francese, anzi in
rapporto positivamente dialettico con quella di espressione araba. Condividiamo
la definizione di Giuseppina Igonetti (Introduzione a L'erranza e l'itinerario di Jacques Madelain; Genova, Marietti, 1990) che la letteratura maghrebina
è una realtà plurilinguistica dal punto di vista del significante ma del tutto unitaria in quanto alla materia.
Purtroppo l'insieme delle traduzioni (salvo pochissime eccezioni, tutte
recenti e posteriori al successo di Creatura di sabbia di Tahar Ben
Jelloun), non consente al lettore italiano di avere un panorama adeguato
di questa produzione letteraria. Non risulta tradotto alcun titolo di Mohammed
Dib (1920), autore prolifico la cui trilogia (la grande maison, 1992; L'incendie, 1954; Un metier à tisser, 1957), è
un affresco narrativo di straordinario interesse e bellezza, che narra dell’Algeria
dagli anni trenta alle soglie della guerra d’indipendenza con lucidità,
rigore e intensa compartecipazione. Non abbiamo reperito libri di Mouloud
Feraoun (1913 - ucciso dall‘OAS nel 1962) il cui Le fils du pauvre rimane un eccezionale testimonianza autobiografica di un’educazione intellettuale
tormentata. Solo di recente è stata tradotta una buona raccolta postuma
di racconti di Mouloud Mammeri (scomparso nel 1989), cantore dell’identità
berbera, autore di un libro molto amato e, meritatamente, letto come La
colline oubliee (1952). Driss Chraibi ha ormai una certa notorietà,
ma pochi sanno che la sua ultradecennale carriera letteraria inizio con Le passe simple (1954), che fu la prima violenta denuncia del ruolo
del padre-padrone nella società marocchina, e con Le boucs (1955), pure violenta requisitoria sulla condizione degli immigrati in Francia.
In un periodo di feroce repressione dei movimenti di liberazione, questi
libri svolsero una funzione essenziale per marcare una presenza e presentare
una realtà, almeno per la parte sensibile della pubblica opinione.
Dopo l’indipendenza, l’attenzione si rivolse alla memoria, ma anche a rilevare
la contraddizione tra sogni e valori da un lato, e la realtà del
nuovo potere dall’altro. Un potere che in gran parte coincise con il reinstaurarsi
della tradizione religiosa più retriva e, quindi, con la sclerotizzazione
dei rapporti familiari (ne fu in parte eccezione la sola Tunisia). Questo,
negli anni ‘70, fu il tema, diretto o indiretto, di gran parte della letteratura
maghrebina. Basta pensare al violento, impietoso Il ripudio (1969)
di Boudjedra, autore di straordinaria coscienza e lucidità della
denuncia nella cancrena che rode la nuova società rivoluzionaria,
ma anche il terribile Le deterreur di Mohammed Khair-Eddine in cui
è impossibile ritrovare la ragione di un'umana convivenza in una
società profondamente malata. Tahar Ben Jelloun, che esordisce nel
1972 con Harrouda, colloca invece quasi tutta la sua opera narrativa
tra la constatazione di un’oppressione e una violenza manifesti e la nostalgia
che, togliendo la dimensione del tempo dentro l’immagine evocata, di quella
realtà addolcisce i contorni.
A conclusione di queste note va sottolineato il crescere della presenza
femminile che a partire da Assia Djebar sino a Latifa Ben Mansour, Malika
Mokeddem e altre rimarca il ruolo essenziale della donna come presenza individuale
e collettiva per una reale modernizzazione. Anche se il contenuto che accomuna
le opere di queste autrici è la disillusione delle aspettative operata
dalla società post-indipendenza e l'esilio come necessaria per sopravvivere come individualità coscienti.