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UNO SPETTRO S'AGGIRA PERÒ NIENTE ABBAGLI

di Franco Cardini

 

Siamo ancora tutti sconvolti per l'orrore dell'11 settembre 2001: un giorno che - qualunque cosa accada - resterà purtroppo nella storia. E mancano ancora gli elementi obiettivi per poter individuare gli autentici responsabili del crimine: stiamo elencando solo i sospetti; ci s'interroga sulla perdurante assenza d'una rivendicazione esplicita; si valuta - non sempre serenamente - la qualità delle prese di distanza dall'accaduto da parte di personaggi che i mass media, a torto o a ragione, ritengono sospettabili se non altro di complicità e di simpatia nei confronti degli attentatori.

Un'elementare norma di prudenza e d'onestà prescriverebbe, in casi come questi, un riflessivo silenzio finché il quadro non divenga più chiaro. Conosciamo tutti il diabolico meccanismo massmediale del nostro tempo: ora l'impressione, la costernazione, l'indignazione sono grandi: ma chiodo scaccia chiodo, e non sarebbe la prima volta che, al sopravvenire magari di altre notizie o semplicemente con il passare del tempo, i sentimenti svaniscono e l'oblìo prevale. Purtroppo, uno dei difetti del nostro sistema fondato sulla sovrainformazione è la memoria corta.

È dunque grave, pur se del tutto normale, che siano in troppi a parlare: e che pareri avventati e proposte aberranti vengano, in questo eccezionale momento, non solo tollerati ma addirittura presi per buoni. Un senso di pietas nei confronti di noialtri poveri esseri umani c'impedisce di prendere anche solo in considerazione le troppe voci di sciagurati che chiedono cieche rappresaglie o addirittura guerra (ma contro chi?). Più grave sembra, anche perché proviene da fonti in apparenza più autorevoli e responsabili, l'estesa anzi quasi generalizzata accusa - non ancor sostenuta da prove certe - nei confronti di personaggi del mondo islamico. Si citano al riguardo, come se fosse una prova, alcune ripugnanti manifestazioni di giubilo colte dalla camera televisiva in certe città di qualche paese arabo, soprattutto in Palestina. Ma, francamente, tali disgustose scene provano solo quel che già sappiamo della natura umana: il livello di bassezza cui possono far giungere l'ignoranza associata alla sofferenza. Perché non bisogna dimenticare che quelle immagini ci vengono da un mondo di gente che a sua volta soffre; e che non è, spesso, meno innocente delle vittime di New York e di Washington.

Ricorrente, poi, l'accusa a Usama Bin Laden: che ormai sembra aver definitivamente impersonato il ruolo d'una sorta di versione postmoderna del mito medievale del «Veglio della Montagna» l'oscuro potentissimo signore che da un celato recesso fra i monti dell'Asia comanda un esercito di assassini fanatici. Il «Veglio della Montagna» storico era un capo musulmano sciita, considerato eretico dal resto dell'Islam. L'odierno «Veglio della Montagna» è a sua volta un rappresentante autorevole dell'Islam? Tale fede può riconoscersi in lui? Molti osservatori, ohimè accreditati, anche nel nostro Paese, giurano di sì; ed è gente che spergiura che questo è il vero Islam, una dottrina che predica l'asservimento o l'annientamento di tutti i nemici, una fede che ha inscritta la violenza e la guerra nel suo stesso libro sacro, il Corano. I giornalisti e gli opinion makers che sostengono queste vergognose sciocchezze hanno sovente accesso alla tv e ai giornali, scrivono libri, sono consiglieri di politici autorevoli.

Il Corano parla spesso di guerra: non tanto quanto ne parla la Bibbia, ma abbastanza. Muhammad era, come Mosè, un profeta armato. Vi sono nel Corano anche frasi che, distaccate dal loro contesto, suonano come truculente; e che parrebbero sconfessarne altre che, invece, parlano di carità, di pace e di misericordia. Ma non sta forse scritto anche nel Vangelo che chi non ha una spada deve procurarsela vendendo il mantello, che Gesù è venuto a portare la guerra anziché la pace, e pretende che per seguirlo si debba odiare il padre e la madre? Noi sappiamo bene che quei versetti evangelici hanno un valore allegorico e che debbono essere interpretati, soggetti a un'attenta esegesi. Per i cattolici, l'autorità ecclesiale ha anche questa funzione.

L'Islam non conosce una disciplina ecclesiale ma ha molte scuole teologiche e giuridiche. Teologia e diritto, teologia e politica, sono strettamente correlate: ma anche soggette a una continua problematica giurisprudenziale. Questa è la chiave ch'è necessario tener presente per capire come l'Islam sia una realtà religiosa e culturale estremamente sensibile e flessibile, che nei secoli è riuscita ad adattarsi a infinite situazioni e ad assorbire e metabolizzare un alto numero di culture. L'Islam ha accolto varie correnti del pensiero ebraico, ma anche platonico, neoplatonico, aristotelico; ha assorbito l'insegnamento delle scuole astronomiche persiane e di quelle matematiche indiane; ha saputo reinventare l'astronomia, la medicina, la chimica; e tutto questo sapere ce l'ha passato fra XII e XIII secolo, consentendoci di fondare la modernità.

Abbiamo convissuto con l'Islam. Abbiamo scambiato con il suo mondo non solo merci, ma anche forme di sapere. I nostri rapporti amichevoli e pacifici con esso sono stati qualitativamente e quantitativamente superiori - e di gran lunga - a tutte le crociate e a tutti i jihad del mondo. Questo non è un mio parere: è, obiettivamente, storia scritta e riscritta che solo alcuni divulgatori semicolti si ostinano a ignorare. Leggetevi Il mondo musulmano di Biancamaria Scarcia Amoretti (Carocci); vedrete l'inimmaginabile varietà di esperienze, di voci, di tradizioni, di problematiche, di situazioni che si agitano nell'Islam e nei suoi quindici secoli di storia; conoscerete la straordinaria ricchezza delle splendide culture alle quali esso ha fornito un'anima. Altro che fanatismo.

L'Islam ha molti volti e molte scuole; sta in questi anni affrontando il problema del rapporto con la modernità occidentale, e lo fa con una pluralità di voci e di atteggiamenti la stragrande maggioranza dei quali s'ispira a una volontà di solida convivenza pacifica e di franco, sereno confronto. Certo, non va dimenticato che la quasi totalità dei musulmani vive all'interno di quell'oltre 80% dei popoli della terra che subiscono la globalizzazione ma senza godere del benessere che interessa invece la maggioranza degli occidentali. La miseria, la fame, l'ingiustizia, lo sfruttamento, sono duri da tollerare. In passato, c'è stato chi è insorto e ha anche ucciso nel nome del cristianesimo: la religione di Gesù è forse responsabile diretta di questo? Non sono stati pochi gli irlandesi che si riconoscevano nel terrorismo assassino, quello che ammazzava gli innocenti nei pubs di Londra; ed erano spesso ragazzi che andavano a messa ogni domenica. Ci meraviglieremo se - su un miliardo di musulmani la stragrande maggioranza dei quali è povera, e molti sono esposti all'embargo, ai bombardamenti, alle rappresaglie - le centrali del terrorismo fondamentalista riescono a mettere insieme qualche migliaio di disgraziati che la disperazione spinge al fanatismo? È una percentuale minima. E, quei disgraziati, dovremo davvero condannarli senza cercar nemmeno di capire le ragioni di quei gesti che pure, in se stessi, non possono se non essere condannati?

È dunque essenziale non abbandonare, bensì semmai intensificare il dialogo con le comunità islamiche. È necessario conoscerle e farci conoscere: chiarire a noi stessi (e anche a loro) che nulla nella parola da Dio trasmessa ai figli di Abramo giustifica la violenza, anche se nella storia essi troppo spesso ne hanno abusato. Nulla sarebbe più ingiusto, più insensato e più criminale dell'incitamento indiscriminato a un'interpretazione dei fatti dell'11 settembre nel senso dello scontro «tribale» tra libertà, civiltà e modernità da una parte, fanatismo islamico dall'altra.

Franco Cardini

 
Speciale strage americana.
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