Jenin
- nostro servizio
Un crimine contro l'umanità, di
proporzioni inimmaginabili, è l'unico termine che può
vagamente sintetizzare il risultato delle operazioni militari di Israele
nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania. Soltanto una
tragedia di tali proporzioni ha potuto motivare i pochissimi stranieri
(volontari civili e giornalisti) che hanno violato il coprifuoco imposto
intorno all'area del campo, dopo 13 giorni di totale isolamento. Il
coprifuoco è stato sospeso sabato e domenica per due ore dal
villaggio di Jenin, ma resta impossibile raggiungere il campo profughi.
Solo domenica mattina alcuni operatori della Croce rossa internazionale
sono potuti entrare per portare via alcuni cadaveri dalle strade. Raggiungo
il Mohaian Jenin lunedì mattina (15 aprile) dopo quattro giorni
di tentativi falliti a causa della presenza dei carri armati e dei soldati
israeliani che sigillano l'area aprendo indiscriminatamente il fuoco
su tutto. I 300 metri che percorro allo scoperto tra gli alberi d'ulivo
e due carriarmati israeliani sono interminabili. L'area è zona
militare chiusa e quello che sto per vedere è molto scomodo per
lo Stato di Israele, stando ai racconti degli scampati.
Tutto distrutto
Le prime case nell'ingresso ovest del campo sono state colpite con il
fuoco dei carriarmati. Ci sono buchi del diametro di un metro sui muri
esterni. La maggior parte dei tetti sono sfondati o presentano fori
da 50 cm a causa dei lanci di missili. Alcune case sono crollate mentre
la maggior parte non ha più i muri esterni. Ci sono una quantità
incredibile di vetri ovunque che formano un tappeto nei vicoli del campo
e nelle case. All'interno continuano a rifugiarsi le famiglie, donne
e bambini, tra le macerie e il mobilio completamente distrutto, i muri
pericolanti, i primi fuochi accesi per bruciare quel che resta, immondizia,
cibo avariato, carcasse di animali morti. Un puzzo incredibile aumenta
man mano che casa per casa mi spingo verso l'area centrale del campo.
"Da Babbi", carroarmato, è la parola chiave per evitare
di incontrare soldati. La maggior parte delle stradine sono presidiate
militarmente. La popolazione è stremata. La pressione psicologica
fortissima. Nessuno sa come affronterà le prossime ore per la
mancanza di acqua, medicine e cibo. Il 30 per cento della popolazione
del campo, circa 15mila persone, ha perso tutto. Il restante ha perso
almeno il 90 per cento di quello che aveva. Non è rimasta in
piedi una sola infrastruttura: l'elettricità, le fognature, le
scuole, i centri medici, i negozi, le auto, nulla si è salvato
dall'assedio devastante dell'esercito di Sharon, iniziato mercoledì
3 aprile e non ancora concluso. Le strade sono un viatico degli orrori,
cosparse di proiettili made in Usa, di tutte le misure e portate. I
bambini li raccolgono per mostrarli, specie quelli da 20 mm, e mimano
gli spari degli elicotteri Apache, e degli F-16. Tuttavia quello che
vedo nel centro del campo di Jenin non rappresenta un semplice bombardamento
sulla popolazione civile. Solo una volontà cieca di distruzione
può aver dato luogo a una devastazione totale. Che si estende
per diverse centinaia di metri quadrati. Almeno due interi quartieri
non sono più riconoscibili. Completamente rasi al suolo dai bulldozer
dopo un'azione massiccia di bombardamento. Le macerie raggiungono qualche
metro di altezza, disseminate di stracci, vestiti, pezzi di mobilio.
Un uomo mostra una grossa copia del Corano recuperata mentre scavava
a mano, la maggior parte delle persone rovista anche solo per rendersi
conto di quello che è successo. Sul limite dell'area distrutta,
paragonabile ai bombardamenti della II guerra mondiale, ci sono alcune
parti di edifici pericolanti. Ci sono segni di incendio causato dai
missili sparati dagli elicotteri Apache. Al primo piano di uno di questi
edifici c'è un cadavere. Si tratta del corpo di Abed Ahmad Hussein,
di 24 anni, disteso per terra in una stanza, completamente bruciato
e in stato di decomposizione. Le piante dei piedi e delle mani sono
gli unici pezzi di pelle distinguibili. Le ossa delle gambe spezzate.
Su quello che resta del volto è impressa un'espressione di orrore.
Suo fratello, di 15 anni, è nel gruppo di palestinesi che ci
accompagna a vedere i Dead Bodies, come chiamano gli insepolti. Anche
nella casa di fronte c'è un corpo, seppellito dalle macerie,
di cui vedo solo la testa e metà del busto.
Vivere con il terrore
L'odore della morte si spande per tutto il campo. Solo dopo qualche
ora di questo terrificante spettacolo, mi rendo conto che ci sono solo
persone vive e persone morte. Questo attacco non ha lasciato feriti.
Chi è rimasto ferito è di certo morto nei giorni precedenti
perché gli israeliani hanno impedito ogni genere di soccorso
medico e volontario; tuttavia ancora fino a ieri c'erano persone vive
sotto le macerie, in alcune zone presidiate dai soldati dove nessuno
può avvicinarsi. In un'altra casa, questa volta in mezzo alle
abitazioni dove vivono ancora delle famiglie, vedo altri quattro corpi,
tre civili e uno con tutta probabilità di un poliziotto dell'Autorità
palestinese.
La gente convive con questo orrore da giorni.
I bambini, la maggior parte dei quali non hanno notizie della propria
famiglia, entrano e escono dalla stanza al piano terra dove stanno decomponendo
questi corpi, colpiti da un missile, con segni di bruciature e diversi
pezzi staccati, avvolti in nugoli di mosche e insetti che appestano
l'aria per diverse decine di metri. I soldati israeliani non hanno permesso
alla popolazione di seppellire questi corpi. Ora lo stato di decomposizione
rende impossibile rimuoverli a mano, senza un intervento esterno. C'è
un rischio concreto di epidemie anche per l'aumento della temperatura
degli ultimi giorni. I pochi medici palestinesi non possono fare assolutamente
nulla, bloccati nel campo insieme alla popolazione civile. I neonati
stanno soffrendo per la totale mancanza d'acqua. Israele ha imposto
un sistema di terrore che impedisce i soccorsi in un'area duramente
colpita, con un livello di emergenza simile a quello causato da un potentissimo
terremoto. Sappiamo che in alcune case ci sono delle persone sepolte.
La gente si chiede se in futuro i nostri governi saranno disposti ad
aiutare le famiglie rimaste senza nulla. Intanto però non arrivano
neanche i primi soccorsi. Ci sono centinaia e centinaia di persone che
non sanno più dove siano i loro familiari. Una distruzione di
tali proporzioni può aver fatto centinaia e centinaia di vittime
civili. Si parla della sparizione di moltissimi cadaveri che alcuni
testimoni hanno visto portare via dagli israeliani probabilmente verso
la Valle del Giordano. Il racconto degli orrori è infinito, si
paragona questo massacro a quelli di Sabra e Chatila ma probabilmente
la catastrofe di Jenin è ancora più vasta. Occorreranno
settimane prima di poter affrontare delle stime, senza la presenza dell'esercito
israeliano. Quelli che restano nel campo conducono la vita dei topi,
intrappolati in un meccanismo mortale anche per le continue ronde dei
carriarmati e l'appostamento dei cecchini nelle case. E' urgente far
cessare l'assedio dell'esercito israeliano per garantire alla popolazione
civile i primi soccorsi in acqua, medicine, cibo, assistenza psicologica.
Ogni ritardo rende ancora più tangibile il fallimento delle politiche
globali. Senza coraggiose iniziative locali si rischia l'annientamento
di un intero popolo e il via libera per il ripetersi di tali atti di
distruzione di massa. In altre parti della Cisgiordania.
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Reportage dal campo profughi della città palestinese. Dove i
sopravvissuti convivono con la morte.
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