La lotta contro i traffici clandestini va comunque ispirata ad un'ottica
positiva nei confronti degli immigrati e condotta con realismo e solidarietà
( trasparenza ).
Prima di esaminare questi tre aspetti riassumiamo i dati numerici più
significativi.
I NUMERI DELL'IMMIGRAZIONE ALL'INIZIO
DEL 1998
- Numero complessivo: 1.240.721 al 31-12-97 (con una
incidenza del 2,2% sulla popolazione residente), di cui 168.125 comunitari
(13,5%) e 100.134 da altri paesi a sviluppo avanzato (8,1%);
- Provenienza continentale: Europa 486.448 (39,2%), Africa 350.952
(28,3%), America 172.849 (13,9%), Asia 225.474 (18,2%), Oceania 4.131
(0,4%), non classificati 867 (0,1%);
- Principali comunità: Marocco 131.406, Albania 83.807, Filippine
61.285, USA 59.572, Tunisia 48.909;
- Caratteristiche sociodemografiche: maschi 678.251 (54,5%), femmine
562.470 (45,5%); coniugati 550.410 (44,4%), persone con prole 139.972
(11,3%), classe di età 19-40 anni 844.421 (68,1%)
- principali motivi di soggiorno: lavoro 756.829 (61%, di cui 36.586
per lavoro subordinato, 133.234 per iscrizione alle liste di collocamento
e solo 29.926 per lavoro autonomo), motivi familiari 230.450 (18.6%),
motivi religiosi 58.372 (4,7%), studi 56.759 (4,6%), turismo 47.360
(3,8%).
- Area di insediamento: Nord 636.742 (51,3%), Centro 378.415 (30,5%),
Sud 141.833 (11,4%), Isole 83.731 (6,8%); la Lombardia (250.400) e
il Lazio (218.978) sono ai primi posti e ormai 26 province superano
i 10.000 permessi di soggiorno (in testa Roma con 211.200 e Milano
con 150.498).
INTEGRAZIONE
La lettura strutturale dell'immigrazione può
essere inquadrata in questi punti:
- L'immigrazione implica la tendenza al radicamento nel paese di destinazione,
salvo gli spostamenti da una provincia all'altra;
- La consistenza dei residenti di lunga durata è, in Italia,
più alta di quanto si potesse immaginare;
- Il processo di radicamento caratterizza sempre più la presenza
straniera;
- Diventa sempre più necessario il varo di adeguate politiche
di integrazione e il superamento del muro di indifferenza e ostilità.
Il numero di immigrati in Italia e in
Europa
L'immigrazione è un fenomeno stabile e destinato, per la sua
stessa dimensione quantitativa, a incidere profondamente sul carattere
delle società europee.
Nell'Unione Europea i 18 milioni di cittadini stranieri (5% dei residenti),
o anche da soli i 14 milioni di cittadini extracomunitari, costituiscono
una popolazione più numerosa di quella degli Stati membri di
piccola grandezza come Lussemburgo e Irlanda, o anche di media grandezza,
come Austria, Grecia, Paesi Bassi e Svezia.
In Italia i cittadini non comunitari nell'insieme (1.072.596) eguagliano
la popolazione di Basilicata, Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige o
Umbria. Tenendo conto anche dei cittadini comunitari (168.125) e delle
presenze irregolari (250.000), si arriva a 1.500.000 circa con un'incidenza
complessiva del 2,6% sulla popolazione residente.
Il dinamismo degli anni '80
L'aumento degli immigrati è stato continuo in Italia nel corso
degli anni '90, a seguito delle nuove nascite, dei ricongiungimenti
familiari, dell'asilo umanitario e delle stesse esigenze lavorative
evidenziate dalle regolarizzazioni.
E' andato così sempre più configurandosi un contesto
di insediamenti definitivo
Da un censimento effettuato dalla Direzione centrale per la documentazione
del Ministero dell'Interno, le strutture di accoglienza per cittadini
extracomunitari sono risultate 742 con 17.521 posti, di cui i tre
quarti nelle Regioni del Nord Italia. In media vi è un posto
letto ogni 63 stranieri ma nel Centro, ad esempio, vi è un
posto letto solo ogni 156 stranieri. La metà dei posti è
gestito da strutture pubbliche, l'altra metà o in regime di
convenzione o da privati.
Questa situazione è dovuta alla carenza di finanziamenti (periodo
1994-96) e delle politiche di accoglienza affidate esclusivamente
ai fondi ordinari degli enti locali. A ciò si è posto
rimedio solo con la nuova legge sull'immigrazione, che ha previsto
uno specifico stanziamento per le politiche di accoglienza (58 miliardi
per il 1998).
I potenziali beneficiari delle carte
di soggiorno.
Una stima prudenziale, effettuata dall'équipe del "Dossier
Statistico sull'archivio dei permessi di soggiorno del Ministero dell'Interno,
pone in evidenza che 272.000 persone sono residenti in Italia da più
di 5 anni. Questo significa che circa la metà di quelli che
vengono in Italia lo fanno per insediarsi definitivamente.
Essi, in base alla nuova legge, potranno ottenere la carta di soggiorno,
essere maggiormente equiparati agli italiani nell'ambito sociale e
lavorativo e, in prospettiva, ottenere anche il diritto di voto amministrativo,
come avviene già in altri paesi.
L'insediamento stabile dei cittadini riguarda sia i gruppi a noi omogenei
per cultura e grado di sviluppo economico, a partire dagli Stati Uniti
(18.000 ) e dai cittadini dell'Unione Europea (45.000, con Germania,
Gran Bretagna e Francia ai primi posti), sia quelli provenienti da
paesi in via di sviluppo. Tra i non comunitari, ai primi posti per
anzianità di residenza, vengono il Marocco (38.000), le Filippine
(18.000), la Tunisia (15.000), il Senegal (12.000), la Iugoslavia
(11.000), per finire con l'Albania, l'Egitto e la Cina (8.000 ciascuno).
In questa classifica della stabilità sono meno rappresentati
i paesi dell'Est europeo e dell'America Latina, perché i flussi
da quelle aree sono andati incrementandosi tardivamente. In ogni modo,
complessivamente gli europei (87.000) vengono subito dopo gli africani
(97.000) e precedono gli asiatici (51.000) e gli americani (37.000).
Queste presenze stabili, equivalgono ad una fotografia dell'immigrazione
così come si presentava all'inizio degli anni '90: meno della
metà al Nord ( di cui 53.000 nella Lombardia ), un terzo al
Centro ( di cui 65.000 nel Lazio ) e un quinto nel Sud ( di cui 23.000
in Sicilia ). Con il passare del tempo, però, ci sarà
un sensibile spostamento del baricentro verso le regioni settentrionali.
L'aumento dei matrimoni misti e dei
minori.
I matrimoni misti , che erano 5.000 nella metà degli anni '80,
hanno superato le 11.000 unità nel 1994 e attualmente si stima
abbiano raggiunto il livello di 15.000 l'anno.
Nell'87% dei casi riguardano italiani (due casi su tre) o italiane
(un caso su tre) che si sposano con un coniuge straniero.
I minori, figli di immigrati, iscritti nelle anagrafi comunali, erano
125.565 al 31 dicembre 1996. Secondo un aggiornamento condotto sull'archivio
dei permessi di soggiorno, nel 1998 si possono stimare presenti circa
150.000 minori stranieri con un'incidenza del 12% circa sul totale
della popolazione immigrata. Poiché la loro incidenza negli
altri paesi dell'Unione Europea è mediamente del 25%, si può
prevedere, anche in Italia, il raddoppio a medio termine.
Circa il 40% dei minori è europeo e il 30% africano, mentre
asiatici e americani sono ciascuno il 15% del totale. Ad essere maggiormente
caratterizzati da un tasso di familiarizzazione (14-16% ) e cioè
dall'incidenza di persone con prole sono, oltre agli immigrati provenienti
da paesi vicini (Albania, Iugoslavia, Marocco), anche quelli originari
di paesi lontani come la Cina.
Il loro insediamento è caratterizzato da uno sbilanciamento
verso le regioni del Nord, che detengono il 62% del totale.
Dall'ultima rilevazione fatta dall'ISTAT (1994), risulta che ogni
anno in Italia nascono 20.000 bambini da almeno un genitore straniero
(il 3,7% del totale delle nascite e ben il 5-6% nel Nord e nel Centro)
il che evidenzia un quoziente di natalità più alto rispetto
alla popolazione residente. A nascere da entrambi i genitori stranieri
sono, invece, 10.000 bambini l'anno.
L'impatto dei ricongiungimenti familiari.
I ricongiungimenti familiari sono uno dei fattori che incide maggiormente
sull'aumento della popolazione immigrata. Quasi un quinto dei cittadini
stranieri presenti in Italia lo sono per motivi familiari. A ricongiungersi
sono i coniugi e i figli minorie in misura minore altri familiari.
Più della metà di questi permessi riguardano le regioni
del Nord, che si distinguono anche per la quota dei nuovi permessi
rilasciati nel 1997 (60% su 23.857), mentre il Centro e il Meridione
hanno all'incirca il 20% ciascuno. I 5.000 nuovi permessi familiari
della Lombardia sono il doppio rispetto a quelli del Piemonte, dell'Emilia
Romagna, del Lazio, del Veneto e tre volte di più rispetto
alla Campania e alla Toscana.
Per il Marocco nel 1997 si è trattato dell'arrivo di quasi
4.000 persone, per l'Albania di 3.000 unità, per Stati Uniti,
Romania, Sri Lanka e Cina di più di mille unità e di
poco meno per Cuba e Cina. Per aree sub-continentali, dopo l'Est Europeo
(30%), vengono il Nord Africa (21%), l'America Latina (14%) e il Subcontinente
Indiano (9%).
Le chiavi di interpretazione dei flussi
familiari sono le seguenti.
- alcuni paesi, oltre a essere geograficamente vicini, si mostrano
anche molto interessati al loro radicamento in Italia;
- altri paesi, nonostante la lontananza geografica, mostrano altrettanto
interesse a un insediamento di tipo familiare (Usa, Sri Lanka, Cina,
India, Cuba e altri paesi latino-americani );
- per un terzo gruppo di paesi (Polonia e Filippine), la notevole
consistenza già raggiunta non sembra influire in misura corrispondente
sul dinamismo dei ricongiungimenti.
Il raddoppio degli allievi stranieri
in cinque anni.
Nel corso della prima metà degli anni '90 (dall'anno scolastico
1990-91 al 1995-96) la popolazione scolastica straniera, passando
da 20.000 a 50.334 unità, ha conosciuto un incremento notevolmente
più vivace rispetto a quello della popolazione immigrata (poco
più del 25%). Ciò è dovuto all'accentuarsi del
carattere familiare della presenza straniera e al graduale accesso
alla scuola dei loro figli. In particolare, la presenza a scuola è
stata caratterizzata da:
- un aumento di ben sei volte per l'Europa dell'Est;
- un aumento di tre volte per il Nord Africa e il Subcontinente Indiano,
- un aumento di circa il 70% per l'Estremo Oriente e l'America Latina.
La ripartizione di questi studenti rispetto agli italiani, è
maggiormente caratterizzata da una concentrazione nei gradi più
bassi di scuola: materna (21%), elementare (47%), media (19%) e secondaria
(13%).
Nonostante l'aumento intervenuto, l'incidenza degli stranieri sulla
popolazione scolastica è ancora molto contenuta: complessivamente
si tratta di un immigrato ogni 200 studenti. Solo nella scuola elementare
il rapporto è di un immigrato ogni 100 studenti. Inoltre, in
alcune realtà urbane, come quella milanese e quella romana,
l'incidenza è molto più alta (rispettivamente il doppio
e il triplo).
Per quanto riguarda la provenienza continentale, i 50.000 studenti
stranieri sono così ripartiti: un terzo europei dell'Est, un
quinto nordafricani, un decimo ciascuno quelli provenienti dall'Estremo
Oriente, dall'America Latina, dall'Africa subsahariana e dall'Unione
Europea.
La ripartizione religiosa degli alunni stranieri, secondo una stima
condotta per la prima volta dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas
di Roma, vede prevalere i cristiani come gruppo maggioritario (circa
22.000) seguiti dai musulmani (circa 18.000), dai seguaci di religioni
orientali (2.500) e quindi da altri gruppi minori.
Il tasso di naturalizzazione ancora
lontano in Italia dalla media europea.
Le acquisizioni di cittadinanza nel 1997 sono state 9.221, con un
aumento annuo di più di 2.000 casi, mentre tra il 1989 e il
1992 il livello ondeggiava tra le 4.000 e le 5.000 unità. Nonostante
tale incremento, l'accesso alla cittadinanza risulta ancora sottodimensionato
rispetto all'impatto strutturale che ha già assunto l'immigrazione
in Italia e che risulterà sempre più evidente negli
anni a venire.
Attualmente prevalgono i casi di cittadinanza a seguito di matrimonio
con un partner italiano; gli europei e gli americani detengono i due
terzi di tutti i casi di cittadinanza che si possono dire caratterizzati
in prevalenza da una sorta di continuità culturale.
Il conseguimento della cittadinanza dopo dieci anni di residenza (naturalizzazione
ordinaria) acquisterà maggior dinamismo a partire dal 2000,
riguarderà un numeroconsiderevole di persone stabilitesi in
Italia a seguito alla regolarizzazione del1990, e farà aumentare
le quote che attualmente spettano all'Africa (19%) e all'Asia (14%).
Le regioni del Nord Italia, che hanno la maggioranza assoluta dei
casi di cittadinanza, si confermano come l'area del paese in cui è
maggiormente visibile questo processodi integrazione. Le altre aree,
invece, hanno una quota percentualmente più bassarispetto a
quella dei permessi di soggiorno.
Nell'Unione Europea nel 1994 i casi di cittadinanza erano 330.000.
Il fenomeno riguardava2 ogni 100 stranieri residenti, al ritmo di
1.000 immigrati al giorno; Gran Bretagna,Olanda, Germania e Francia
risultavano in testa, con un numero compreso tra le 40.000 e le 80.000
unità.
Le prospettive di dialogo interreligioso
e di policentrismo etnico.
La predisposizione al dialogo interreligioso in Italia sembra essere
stato favorito da due fattori: l'apertura delle comunità cristiane
agli immigrati di altre religioni da una parte, il carattere policentrico
dell'immigrazione, dall'altra.
Gli immigrati, in particolare quelli di religione islamica, hanno
trovato nei cristiani una grande disponibilità all'accoglienza
e ciò ha favorito l'instaurazione di buone relazioni. L'immigrazione
è andata configurandosi come una palestra di convivenza interreligiosa
nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II e nel contesto di una
società laica che non contrasta le specificità religiose,
ma le garantisce tutte. Per quanto riguarda la stima quantitativa
dei gruppi religiosi spesso si sente dire che i musulmani in Italia
o sfiorano il milione di unità o addirittura si collocano al
di sopra. Invece, secondo la stima rigorosa, che ogni anno la Fondazione
Migrantes conduce in collaborazione con la Caritas, i cristiani superano,
complessivamente, il 50% del totale (647.000), i musulmani sono il
34% (422.000) e i seguaci di religioni orientali il 7% (79.000).
Una mancanza di accortezza consiste spesso nell'estendere ai vari
gruppi musulmani la connotazione di fondamentalisti sulla base dei
limitati casi di sospetto terrorismo islamico, rischiando così
di pregiudicare quel clima di distensione che, nell'insieme, ha caratterizzato
in positivo l'Italia.
Il modello italiano dell'immigrazione è caratterizzato da un
accentuato policentrismo etnico. La presenza straniera si presenta
da noi come un mosaico di paesi e di continenti. I gruppi più
consistenti sono il Marocco, l'Albania e le Filippine. Sono però
importanti anche altri gruppi etnici provenienti dalle diverse aree
geografiche. Rispetto alla Germania, dove tre gruppi (turco, ex iugoslavo
e italiano) raggiungono il 50% del totale, in Italia la stessa quota
include ben 12 gruppi dei diversi continenti, molto differenziati
per religioni e cultura. E' questo il motivo per cui l'Italia può
fungere da fruttuoso laboratorio di convivenza.
PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI
La riflessione statistica sui nuovi permessi di soggiorno,
concessi nel corso del 1997, può essere d'aiuto per arrivare
ad una programmazione più mirata e quindi più efficace.
I permessi concessi ex novo nel 1997 sono stati 123.824, di cui poco
più di un terzo per soggiorni stabili, cioè per motivi
di famiglia e di lavoro (nel rapporto di 2 a 1). Il 60% dei nuovi
permessi per lavoro e famiglia è stato rilasciato nel Nord
e ciò indica, per quell'area, una più alta attrattiva
occupazionale e anche uno stadio più avanzato di inserimento
familiare.
Per conseguire una maggiore funzionalità bisogna far maggiormente
perno sulle quote, evitando che siano trascurate aree continentali
già radicate in Italia. Ad esempio, l'Africa e l'Asia hanno
solo il 22,7% dei 123.824 nuovi permessi rilasciati nel 1995, mentre
sfiorano la metà (46%) di tutti gli stranieri regolarmente
soggiornanti. Bisogna, poi, cercare di perseguire una certa corrispondenza
tra permessi per motivi di lavoro e permessi per motivi familiari.
Partendo dal presupposto che i ricongiungimenti familiari esprimono
la tendenza all'insediamento stabile in Italia e alimentano le catene
migratorie, non tenerne conto nella regolamentazione dei flussi equivale
ad alimentare le vie dell'irregolarità.
I nuovi permessi di lavoro sono stati rilasciati per i 4/5 ai paesi
europei, specialmente a quelli dell'Est, mentre la quota residuale
di 5.000 permessi è andata agli altri continenti, che invece
detengono la quota dei due terzi per quanto riguarda i ricongiungimenti
familiari; in particolare la differenza tra questi due tipi di permessi
è di 15 punti per l'Africa e di 10 punti per l'Asia.
Portando l'esame ai singoli gruppi si constata che nel 1997 un certo
gruppo di paesi è stato poco o scarsamente preso in considerazione
nell'attribuzione dei nuovi permessi di soggiorno, per cui ha rimediato
attraverso i permessi per motivi turistici. Alcuni Paesi dell'America
Latina, come il Brasile e la Colombia, e anche alcuni Paesi dell'Est
europeo come la Romania e la Polonia, ottengono la metà o più
dei nuovi permessi per motivi turistici. Un altro gruppo di paesi,
anch'esso scarsamente preso in considerazione nell'attribuzione dei
permessi per motivi di lavoro, trova rimedio attraverso le vie della
clandestinità: si va dall'Albania ai paesi del Nord Africa,
dal Subcontinente Indiano (Sri Lanka) all'Estremo Oriente (Cina).
La legge 40/1998 sull'immigrazione, avendo introdotto i molteplici
meccanismi d'ingresso, può consentire una più funzionale
regolamentazione dei flussi migratori. Infatti il precedente sistema
delle richieste nominative da parte di residenti in Italia è
stato integrato, all'interno della quota annuale, dalle liste per
la ricerca del lavoro (che riguardano sia gli Stati legati da accordi
sia gli altri Stati), dalle prestazioni di garanzia, dalla chiamata
per lavoro stagionale e, seppure transitoriamente, dal recupero di
chi non ha goduto della precedente regolarizzazione.
E' necessario però che la nuova legge venga completata e attuata
integralmente in tutto il suo impianto operativo. Solo in un contesto
così organicamente strutturato i campi di accoglienza, dove
viene temporaneamente trattenuto chi entra irregolarmente in Italia,
avranno una funzione del tutto residuale, come è stato auspicato
in ambito sociale.
Nell'attuale fase, è compito fondamentale della politica migratoria
riuscire a programmare il futuro e incentivare i flussi regolari attraverso
la determinazione e la ripartizione di adeguate quote annuali d'ingresso,
senza tuttavia trascurare gli immigrati in situazione irregolare,
la cui causa, perorata anche dal Papa in previsione del Giubileo,
mentre la più ampia presa in considerazione.
TRASPARENZA
Superamento di alcuni luoghi comuni
La pressione dei richiedenti asilo (meno di 2.000 richieste
nel 1997) o di chi cerca rifugio umanitario dev'essere ritenuta meritevole
della più ampia tutela e distinta dall'immigrazione irregolare.
Secondo la stima rigorosa, condotta dall'Istituto di statistica dell'Università
di Milano nel mese di aprile 1998, vi sono in Italia 235.000 persone
in situazioni di clandestinità o irregolarità, con una
incidenza del 29% rispetto alla consistenza dei paesi a forte pressione
migratoria. L'indice di irregolarità è più alto
per alcuni gruppi (Polonia 37%, Romania 32%) e più basso per
altri (Albania 21%, Filippine, Marocco ed ex Iugoslavia 16-19%). La
ripartizione degli immigrati irregolari tra le aree geografiche non
presenta rilevanti scostamenti rispetto all'insediamento degli immigrati
regolari: si distinguono, con indici di irregolarità superiori
al 30%, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana e la Campania
e, tra i grandi contesti urbani, Torino, Venezia e Napoli.
Nel mese di maggio 1998 il Ministro dell'Interno ha presentato al
Parlamento un "Rapporto sulla presenza straniera irregolare", nel
quale si smontano vari luoghi comuni sulla base di un'ampia analisi
dei dati desunti dagli archivi dello stesso Ministero. Ad esempio,
i permessi di soggiorno scaduti non sono l'equivalente del passaggio
nell'irregolarità; per di più, se la lettura viene fatta
per tipo di permesso, questi dati possono essere utilizzati per una
interessante lettura della provenienza dei flussi dai vari paesi del
mondo.
Il confronto tra le regolarizzazioni del 1990 e del 1996 indica che
la pressione migratoria, per quanto riguarda le provenienze continentali,
ha conosciuto i seguenti valori: Africa (40%, mentre nel 1990 la sua
incidenza era più alta), Europa orientale e Asia (25%), America
Latina (10%).
I respingimenti alle frontiere, riguardano per oltre il 50% i Paesi
dell'Est europeo, e nel 1997, per la prima volta in tutti gli anni
novanta, sono scesi sotto le 40.00 unità (39.888 nel 1997,
mentre nel 1996 furono 54.144 e nel 1995 ben 62.443). Nel 1997 le
denunce (56.457), gli arresti (23.518) e le intimazioni di espulsione
(48.965) riguardanti cittadini extracomunitari, rispetto alla media
dell'ultimo quinquennio, hanno conosciuto un incremento inferiore
all'aumento della popolazione straniera regolare e irregolare; di
converso è aumentata l'efficacia nell'esecuzione delle espulsioni
(8.344) e la presenza in carcere (11.214): si tratta di 20-25 punti
percentuali in più rispetto alla media dell'ultimo quinquennio.
Non è, invece, agevole confrontare il tasso di criminalità
degli italiani con quello degli stranieri, perché non si è
in grado di distinguere in maniera adeguata tra regolari e non; sappiamo
che gli irregolari rappresentano più dei _ del totale in materia
di addebiti giudiziari.
Enfatizzazione delle vie regolari
Il ridimensionamento dell'immigrazione clandestina passa necessariamente
attraversoil potenziamento dei flussi regolari. Il ritmo annuo di
crescita della popolazione straniera è stato stimato tra le
50mila e le 70mila unità, in maggior parte prodotto dalle tre
regolarizzazioni del 1986, del 1990 e del 1996 (che hanno coinvolto
complessivamente 600.000 persone) e non della programmazione. Bisognerebbe,
perciò, essere realisti nel portare verso l'alto le quote d'ingresso
(utili anche sotto l'aspetto demografico) e, come accennato, all'interno
di tali quote rendere più flessibili i meccanismi di ingresso
per evitare che l'avventura dell'immigrazione irregolare continui
a essere considerata la più facile o l'unica soluzione possibile.
Con il termine trasparenza abbiamo inteso l'enfatizzazione di una
programmazione lungimirante e il superamento delle vie dell'irregolarità
e della clandestinità, che arrecano benefici solo ai trafficanti
di manodopera mentre causano seri inconvenienti agli immigrati che
vi sono implicati e al paese che li accoglie.
Collaborazione con i paesi di origine
La politica migratoria, per non essere velleitaria, richiede una collaborazione
efficace con i paesi di origine degli immigrati. Nel passato i paesi
industrializzati sono stati scarsamente portati ad accettare come
partner i paesi in via di sviluppo solo da ultimo è diventato
evidente che senza di loro il fenomeno non si governa.
La nuova legge incentiva il Governo italiano a perseguire la via degli
accordi con i paesi di origine. In tale contesto non possiamo limitarci
alla richiesta di misure di controllo e di repressione dei traffici,
trascurando il grande problema dello sviluppo in loco, tra l'altro
da collegare con la rivitalizzazione dell'aiuto allo sviluppo anche
con le rimesse degli immigrati (566 miliardi di lire nel 1997 dall'Italia
attraverso le vie ufficiali) e il loro utilizzo ai fini dei progetti
di cooperazione.
Caritas