Il personalismo islamico
di Mohammed Arkoun
 

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- L'Islam è «anche», e forse, «innanzi tutto» una valorizzazione dell'individuo a livello spirituale. Mi pare di capire che l'individualismo, che già caratterizzava la condizione umana tipica dell'arabo pre-islamico, soprattutto del beduino del deserto, si tramuta, in virtù dei nuovi valori religiosi apportati dall'Islam, in autentico «personalismo». Se le cose stanno in questi termini,vorrei chiederle se è possibile individuare analogie e differenze tra personalismo islamico e personalismo cristiano.

- Come si pone, per l'Islam, la questione dei rapporti tra l'individuo e la persona? È certo che l'avvento dell'Islam in Arabia ha introdotto un grande movimento di promozione spirituale dell'individuo, che prima era soltanto un elemento isolato ed anonimo del gruppo tribale. Non dobbiamo dimenticarci infatti che noi ci troviamo di fronte ad una società a struttura tribale, composta di clan, basata sui rapporti di sangue. C'è dunque un'introduzione, una generalizzazione nel mondo della penisola arabica di un movimento di promozione, della persona, dell'individuo in quanto persona puntuale. Un movimento analogo a quello che aveva avuto inizio con la predicazione dei profeti della Bibbia. L'insegnamento dei profeti nella Bibbia è un grande movimento che coinvolge il Medio Oriente e che si può far risalire fino ad Abramo: l'esperienza profetica di Abramo che l'Islam riprende totalmente per conto suo e che per di più, approfondisce a modo suo, in particolare per quel che concerne il rapporto diretto di ogni persona umana con la trascendenza, con Dio.

C'è una differenza che io vorrei sottolineare, perché è importante per la nostra riflessione e non certo per mettere a confronto le religioni o per affermare la superiorità dell'una sull'altra. Il mio punto di vista è soltanto quello di un analista che si sforza di spiegare le cose, dal momento che mi chiedono spesso qual è la differenza tra l'Islam e il giudaismo, per esempio, sotto il profilo del monoteismo. Ebbene, la differenza che io ci trovo -ma è una differenza, lo ripeto, di espressione e di realizzazione, e non una questione di superiorità o di inferiorità- è che nel giudaismo l'accesso alla trascendenza, a Dio, avviene attraverso la mediazione della Terra Promessa, la terra promessa a Israele. La terra è santa ed è attraverso l'insediamento di Israele nella terra promessa che i Giudei attuano la promessa di Dio e realizzano l'alleanza con Dio. Per il cristianesimo questa relazione a Dio, a Dio Padre, si compie invece attraverso la mediazione del Cristo, perché Cristo, figlio di Dio, è venuto a vivere tra gli uomini.- Nel cristianesimo, la mediazione del Figlio di Dio si prolunga, poi, nella mediazione della chiesa.

- Certo. Successivamente attraverso la chiesa e la mediazione del clero, che è un aspetto quanto mai importante. L'Islam invece approfondisce, a mio parere, l'espressione del monoteismo, spogliandolo di qualsiasi mediazione. Non c'è alcuna mediazione tra Dio e ciascuna persona, ciascun individuo innalzato a livello della persona, in quanto coscienza autonoma che accede direttamente a Dio. Tutto ciò è chiaramente espresso dalla preghiera musulmana.

Il musulmano prega da solo. Dovunque si trovi, assolutamente isolato -su una montagna, in un deserto, in una città disabitata- egli fa la sua preghiera da solo, senza alcun intermediario, perché egli è, se vogliamo, direttamente in comunicazione con Dio: una comunicazione a livello intenzionale e di fusione religiosa, ben inteso. Eccoci dunque di fronte ad una promozione estremamente importante, a mio avviso, della persona, perché la persona viene libertà, totalmente liberata, da qualsiasi mediazione umana o materiale, per vivere l'esperienza religiosa della trascendenza di Dio. Questo è molto importante.

- La valorizzazione dell'individuo nell'Islam ha dunque due aspetti: in quanto essere che è chiamato a gestire in proprio al di fuori di qualsiasi mediazione umana, un suo personale destino trascendente e in quanto individuo liberato da meri rapporti di sangue con il clan e promosso al rango di «cittadino» di un'autentica società o, per meglio dire di un'autentica comunità.

- Che cos'è allora questa promozione spirituale di cui ho parlato? In definitiva, è una base predisposta dall'Islam per costruirvi sopra l'uomo nella società, per dotare l'uomo nella società di un criterio di vita sociale, di organizzazione sociale, e per definire una regola per i rapporti tra gli uomini nella comunità: un criterio e una regola che superano e trascendono i criteri di organizzazione utilizzati fino ad allora in Arabia. Tale criterio era prima organizzato, sul sangue, sulla genealogia, sull'appartenenza ad un antenato, fondatore della tribù. Ci si sentiva solidali con gli uomini che avevano lo stesso sangue, lo stesso legame di parentela: reale oppure mitico, non importa, perché, in entrambi i casi, è la genealogia che fonda la solidarietà sociale e regola i rapporti tra gli uomini.

Gli individui che appartengono a tribù diverse possono essere spesso nemici tra di loro, in guerra gli uni con gli altri. C'è però una massima in Arabia che dice : «Bisogna difendere il proprio fratello di sangue, sia che egli sia dalla parte del torto o della ragione». Non c'è alcun bisogno di chiedersi se egli ha ragione o no, in un conflitto: se è il vostro fratello di sangue, il vostro dovere è quello di difenderlo. Ebbene, l'Islam cambia esattamente questo riferimento al sangue, alla nascita, al gruppo limitato della tribù; incrina la struttura tribale, sostituendovi un altro criterio che è la trascendenza di Dio. Gli uomini, tutti gli uomini, sono assolutamente uguali, in quanto creature di Dio.

La storia delle società in cui l'Islam si è diffuso, insomma, è una storia dominata dalla dialettica, dalla lotta tra il criterio coranico della organizzazione della umma e i criteri pre-islamici.

- Se ho ben capito, quando lei parla della umma, intende riferirsi a quella «società ideale» che è stata prefigurata dal Corano?

- Esattamente: la società ideale, quale la prospetta l'insegnamento coranico, in contrapposizione alla realtà storica, e cioè alla realtà funzionale delle diverse società arabe: della Siria, dell'Iraq, dell'Indonesia, del Maghreb, ecc. Alla realtà, insomma, in cui sopravvivono, di fatto, il criterio tribale, il criterio genealogico, il criterio politico.

Le convulsioni che noi registriamo oggi in diversi paesi musulmani sono molto legate a questa contraddizione reale tra l'aspirazione intrinseca ai criteri ideali -l'aspirazione a realizzare la umma- e la realtà storica, sociale e politica che vivono i musulmani e le loro classi dirigenti nazionali, le quali sono state formate, non sul modello coranico che ho già definito ma, -ahimè- sul modello delle correnti nazionalistiche europee del XIX secolo.

L'ideale della «Umma» e la realtà storica

- Mi scusi e insisto sul concetto di umma: un punto cruciale per l'analisi dell'Islam. Può tentare, allora, di definire in maniera più precisa che cos'è la umma?

- D'accordo. La umma, così come la sognano i musulmani da quando hanno ricevuto l'esperienza del Profeta e il messaggio coranico e come un certo numero di musulmani hanno tentato di realizzarla dopo la morte del Profeta, consiste innanzi tutto nel formare una società senza referenza etnica, senza frontiere etniche. Per esempio: l'impero musulmano che è stato realizzato a partire dal 632 fino al XIII secolo almeno, costituiva ciò che si chiama Dar-Islam e cioè «la dimora dell'Islam». Ciò vuoi dire che allora non c'era nessuna frontiera tra i paesi musulmani: si poteva andare da Baghdad fino all'Andalusia senza sentirsi spaesati, dal punto di vista, appunto, della propria appartenenza ad una comunità.

- Allora possiamo dire che la umma è, innanzitutto, la «società dei credenti»?

- Esattamente. È la comunità dei credenti, ma una comunità di credenti che si realizza anche attraverso certe istituzioni: l'istituzione del Califfato, l'amministrazione della giustizia, il sistema educativo, l'etica del mercato e dei rapporti economici. Perché tutto ciò viene organizzato nella prospettiva della umma. E ciò che si chiama la «legge musulmana», la charì'a, non ha una prospettiva sociale limitata, ma una prospettiva universale. Essa infatti ricava le regole e le definizioni giuridiche, perlomeno in linea di principio, dagli elementi forniti dal Corano e dall'insegnamento del Profeta, il quale imposta sempre i problemi in una prospettiva universale. In linea di principio, ho detto, perché poi la realtà è un po' più complessa.

Intervista di Mario Arosio a Mohammed Arkoun da: Islam. Religione e Società ERI 1980
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