La tradizione arabo islamica nella cultura europea
di Alessandro Bausani
 

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II modernista musulmano Muhammad Iqbal (m. 1938) scriveva nelle sue Lectures on thè Re-construction of Religious ThOught in Isiam (1951): «II più notevole fenomeno della storia moderna... è l'enorme rapidità con la quale il mondo dell'Islam si muove spiritualmente verso l'Occidente. In questo moto non vi è nulla di male perché la cultura europea, dal suo lato intellettuale, non è che un ulteriore sviluppo di alcune fasi più importanti della cultura islamica». Chi scrive è in buona parte d'accordo - anche se ciò può sembrare paradossale ad alcuni europei ancora non usciti dal tradizionale pregiudizio anti-islamico della nostra cultura - con le parole del profeta di Lahore. [...].

In ultima analisi la Bibbia, Platone, Aristotele, Alessandro Magno, Euclide sono valori comuni alle nostre culture e ci differenziano dalle altre: le differenze fra noi, occidentali e musulmani, sono più quelle di due sottotipi che di due tipi culturali.

Tutta una terminologia

Poiché il vocabolo è forse il residuo più percepibile a prima vista del contatto culturale, mi sia concesso iniziare il discorso citando alcune parole della cultura islamica entrate nella nostra lingua italiana (e per lo più comuni a quasi tutte le lingue europee). Mi servirò a tale scopo di una lucida e, vivace pagina di Giuseppe Gabrieli «Di queste parole - scrive il Gabrieli - molte ne apprendiamo già nella scuola, nella nomenclatura fondamentale delle scienze, specialmente dell'astronomia (zenit, nadir, alidada, azimut, auge; nella denominazione delle stelle: Vega, Aldebaran, Betelgeuze, Rigel, Algol, Altair, Deneb, Fomalhaut ecc.), della matematica, dove gli arabi ci hanno insegnato l'algebra, gli algoritmi, la cifra (e il suo equivalente etimologico zero), della botanica sia officinale o farmacopea (la sena, il tamarindo, il sommacco, lo zenzero, lo zafferano), soprattutto della chimica o alchimia, come essi dicevano, quando adoperiamo alcali, alcool, borace, elisir, lambicchi, talco ecc. Non solo tuttavia nella scuola risuonano, a distanza di secoli, ogni giorno termini delle lingue di popoli musulmani, ma frotte di arabi, di persiani, di saraceni, col turbante o col fez, calzati di babucce, adorni di talismani, di balasci, di turchesi ed altre pietre azzurre o lapislazzuli, ci suggeriscono tanti vocaboli da poterne costruire intere scenette o paesaggi. Essi ci portano ogni giorno, pel nostro vestito, la giubba, lo scialle, il gabbano, mussoline, cotoni, taffetà, baldacchini (cioè «stoffe di Baghdad»), damaschi, gale d'ogni sorta; aprono nelle nostre case alcove e magazzini; dipingono sofà, persiane, materassi, stoffe a ricamo, lavori di tarsia, e poi taccuini, almanacchi; portano carafe, giare, tazze, bricchi; introducono a diletto pappagalli; ci preparano per la notte la bugia (candela di cera che i pisani importavano da Bujayya in Algeria); spargono aromi diversi (muschio, belzoino, olibano, canfora, gelsomino, zibetto); divertono noi e i nostri figli con maschere, coi giochi della zara, della cerbottana, dell'azzardo (= dadi), degli scacchi; fanno risuonare tamburi, nacchere, timballi, ribeche, liuti; forniscono alle nostre mense cibi e bevande: caviale, bottarga, carciofi, caffè, zucchero, alchermes, sciroppi, sorbetti, giulebbi, aranci, limoni, ribes, albicocche... Sono agricoltori, e soprattutto mercanti, arabi o persiani che, scambiandosi salamelecchi, facendo gazzarra, confabulano ancor oggi per le nostre vie, nei bazar e nei fondachi, di tare, di avarie, di risme, di quintali, di carati, di carovane, di maone, di zecca e zecchini, di norie, di carrube, di gabelle, di tariffe e di dogane, dicendosi meschini, cioè poveri, invidiando gli assassini (cioè i mangiatori o bevitori di hashish, il voluttuoso veleno). Ed ecco i marinai del levante che nominano sciabiche, feluche, scirocco, garbino, monsone, simun, darsena, arsenale, cala, catrame, calafato; soldati di terra e di mare che parlano di razzie, turcasso, zagaglia: aspettano l'alfiete, l’almirante o ammiraglio, si dan notizia di califfi, sultani, emiri, visir, dervisci, baili, ecc.

Già questo arido elenco, solo parziale, di vocaboli ci dice quali siano i campi in cui la nostra cultura più deve al mondo islamico; le scienze, la matematica, il commercio e quelle che erano le macchine utensili, o i lussi, i «frigoriferi» di allora ! [...]

Alessandro Bausani
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