Sogna una Genova "multietnica",
il neopresidente degli industriali Stefano Zara. Una città in cui
gli immigrati non sono più un problema di sicurezza, ma una risorsa
per l’economia. "Sogna" nonostante sognare sia di questi
tempi un po’ pericoloso per gli industriali genovesi ma va anche oltre,
annunciando l’avvio di un progetto operativo che coinvolgerà da subito
due categorie quali l’edilizia e la cantieristica navale, dove la
presenza degli immigrati è più forte. Una bella sfida per questo manager
che per i suoi 63 anni si definisce il traghettatore di un’industria
genovese in forte rinnovamento, anche a livello di vertice associativo,
con sei nuovi membri su tredici, quasi tutti quarantenni ...
... Ce ne sono altri altrettanto importanti».
E cioè?
«C’è il desiderio di fare di Genova una città polimorfica, aperta,
multietnica. Proprio su quest’ultimo aspetto posso annunciare che
avvieremo un progetto innovativo, già stato integralmente condiviso
dall’assemblea. Ritengo che le civiltà multietniche siano più ricche,
abbiano una marcia in più. Chiudersi per noi sarebbe gravissimo. Pensate
che a Genova ci sono 21.000 immigrati regolari, 19.000 dei quali extracomunitari.
E’ come avere due volte gli abitanti di Recco».
E gli irregolari?
«L’uno per cento secondo le stime della Questura, anche se il numero
mi pare molto ottimistico. Comunque è un fatto che già oggi, e non
disponessimo di queste persone, entreremmo in una crisi violenta.
Ecco perché è necessario avviare quanto prima un progetto intelligente,
una "gestione di testa" della situazione insieme al volontariato,
alle istituzioni e ad altri. In caso contrario li subiremo e sarà
un problema di sicurezza. Ne parleremo da subito con l’edilizia, che
dispone anche di una scuola edile, e con le riparazioni navali».
Presidente, sareste favorevole a una fusione fra Genoa e Samp?
«Sì, anche se quest’idea mi è costata una durissima reprimenda di
mia madre, che ha 94 anni e che è genoana sfegatata. Ma io ritengo
che Genova debba avere una sola squadra per arrivare in Europa».
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