Se
volessimo soltanto limitarci a descrivere il mero aspetto formale dell’impari
e disgustoso «conflitto» che da più di 11 anni oppone
gli USA all’IRAQ, potremmo benissimo ricorrere a Fedro o Caius
Iulius Phaedrus (10 /-54) della tradizione latina: «Ad rivum eundem
Bushus et Saddagnus venerant, siti compulsi...» (Bushus e Saddagnus,
spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in
alto stava Bushus, e molto più in basso Saddagnus).
Lo stesso dicasi, se desiderassimo unicamente illustrare il significato
ed il senso dell’indegno e vizioso «serial» che da
mesi, ormai, continua a tenere il mondo intero, con il fiato sospeso,
in una situazione di «non-pace/non-guerra», tra le pretestuose
e prevaricatrici accuse di George W. Bush e le puntuali e disarcionanti
confutazioni e/o repliche di Saddam Hussein e degli altri membri del
governo iracheno: «Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam
intulit…» (Allora l'assassino, spinto dalla malvagia bocca,
offrì il motivo di lite: "Perché - disse - facesti
torbida l'acqua, a me che bevo?”. Saddagnus di rimando, temendo:
"Come posso - prego - fare ciò che lamenti, oh Bushus? Da
te il liquido scorre ai miei sorsi!").
Identica considerazione, in fine, se ci accontentassimo esclusivamente
di prevedere e di anticipare l’inevitabile e scontato esito della
meschina e sproporzionata «tenzone» tra Washington e Baghdad:
«Repulsus ille veritatis viribus… » (Respinto quello
dalle forze della verità: “Prima di questi sei mesi - soggiunse
- dicesti male di me". Rispose Saddagnus: “Veramente non
ero nato". "Tuo padre, per Ercole - egli riprese - disse male
di me"; E così presolo, lo sbrana con ingiusto massacro).
Nel nostro comodo e sbrigativo accostamento allegorico, però,
il solo problema che dovremmo comunque tentare di risolvere, sarebbe
quello di riuscire a fare effettivamente coincidere - agli occhi dell’opinione
pubblica - gli autentici tratti distintivi del «Ra’is iracheno»
con quelli di un qualunque ingenuo ed indifeso «agnello»…
Ed, allo stesso tempo, fare realmente combaciare le genuine e provabili
peculiarità dell’attuale «Presidente americano»
con quelle di un qualsiasi scaltro e feroce «lupo»…
Chi
è Saddam Hussein?
Sappiamo
tutti chi è Saddam Hussein… Sfortunatamente per lui, infatti,
il «Rayessna al-Ghali» («Presidente bene amato»)
iracheno, lontano dall’essere l’ingenuo ed indifeso «agnello»
della favola di Fedro, è semplicemente un «autocrate».
Un «despota» mediorientale. Un «dittatore» che
– dopo avere sistematicamente e capillarmente eliminato ogni forma
d’opposizione o di dissenso all’interno del suo paese –
continua a spadroneggiare incontrastato ed inamovibile, sull’Iraq,
da all’incirca ventisette anni.
La «memoria corta» dell’opinione pubblica essendo
quella che è, l’uomo della strada, molto probabilmente,
non lo ricorderà affatto, ma il «feroce Saladino»
di Baghdad non è sempre stato l’irriducibile e lo spietato
«anti-americano» che oggi tutti preferiscono dipingere…
Al contrario, nel 1975 - quando ancora era Vice-presidente del paese
e «numero due» del regime ba’athista del Generale
Ahmad Hassan al-Bakr - il suo primo atto ufficiale di governo fu proprio
quello di favorire e di avvantaggiare economicamente, nel contesto dell’OPEC,
gli Stati Uniti d’America ed il resto dei Paesi industrializzati
dell’Occidente: in particolare, facendo in modo che, alla riunione
d’Algeri (1975), il prezzo del greggio – vertiginosamente
aumentato dopo la Guerra arabo-israeliana del Kippur (1973) ed il conseguente
embargo imposto agli Occidentali dai Paesi Arabi produttori di petrolio
– fosse considerevolmente ridimensionato!
Non sappiamo se fu per esprimergli profonda gratitudine a proposito
di quel suo inatteso e benvenuto «gesto» o per premiarlo
platealmente per quella sua «attitudine positiva» nei confronti
delle nostre economie, ma una cosa è certa: in Occidente, tra
il 1975 ed il 1990, il «despota» Saddam fu intensamente
e strettamente «corteggiato», «adulato» e «riverito»
dalla quasi totalità dei nostri Governi.
Questi ultimi, infatti, durante quello stesso periodo, lo considerarono
apertamente un uomo politico «laico», «illuminato»
e «visionario», nonché un «baluardo sicuro»
ed «indispensabile» nella lotta al «pericolo islamico»,
rappresentato – in quell’epoca - dalla rivoluzione Khomeinista
iraniana (1979-1980). In tutti i casi, lo propagandarono e lo imposero,
alle nostre opinioni pubbliche, come un alleato «oggettivo»
ed «imprescindibile».
A riprova di quella tendenza, La Francia, ad esempio, si «sbracciò»,
in quegli anni, a fornire a Saddam, «chiavi in mano», la
famosa Centrale Nucleare di Tammouz (piratescamente bombardata e rasa
al suolo dall’aviazione israeliana, nel 1981) ed a «prestargli»
- per tutta la durata della guerra Iraq-Iran (1980-1988) - intere squadriglie
di Super-Etendard della sua flotta aerea militare nazionale… La
Gran Bretagna, dal canto suo, non esitò – insieme alla
Germania, all’Italia, alla Svizzera, al Belgio, all’Olanda,
al Belgio, alla Spagna, al Giappone, ecc. – a mettergli a disposizione
aiuti finanziari a fondo perduto e prestiti astronomici a tasso agevolato,
armamenti sofisticati, infrastrutture militari-industriali tecnologicamente
avanzate, ecc. E gli Stati Uniti, per non essere da meno, oltre ad assicurare
all’Iraq una vera e propria «assistenza militare»
ed una quotidiana e dettagliata «copertura» fotografico-satellitare
sui posizionamenti e gli spostamenti delle truppe iraniane nel corso
di quel conflitto, non indugiò affatto – insieme alla Francia,
alla Gran Bretagna ed alla Germania ed, in certi casi, al Brasile ed
all’Argentina… – a offrirgli più di 80 miliardi
di dollari di armamenti a credito, senza contare la fornitura di numerosi
stabilimenti turnkey contract per la produzione ed il condizionamento,
per scopi bellici, di gas vescicanti ed asfissianti (come le «mostarde
solforose»), di gas nervini (come il «sarin», il «tabun»,
il «soman» ed il «vx») e molteplici laboratori
scientifici per la coltura e l’impiego - come deterrenti militari
- del «Bacillus Anthracis», del «Vaiolo», del
«Botulino», della «Francisella Tularensis»,
ecc. Armi, queste ultime, che il «Ra’is di Baghdad»,
negli ultimi anni della Guerra Iraq-Iran (1986-88), non si privò
affatto di utilizzare – con il beneplacito dell’Occidente
(l’ex Presidente Reagan e l’attuale Segretario di Stato
alla Difesa Donald Rumsfeld ne sanno qualcosa?) – sia contro l’esercito
Iraniano (nella regione di Sulemaniya, in particolare) che contro il
suo stesso popolo: cioè, i ribelli Kurdi del F.K.I. (Fronte del
Kurdistan Iracheno, formato da elementi del Partito Democratico Kurdo
di Massoud Barzani, dell’Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal
Talabani e del Partito Comunista Iracheno), nella regione di Halabja,
e le comunità Shi‘ite del Sud dell’Iraq.
Saddam Hussein, dunque, se vogliamo - tra il 1975 ed il 2 Agosto 1990
(data dell’invasione irachena del Kuwait e del fallito tentativo
di Baghdad di affrancarsi dall’invadente, inibente e coercitiva
tutela statunitense ed atlantica) - era un «dittatore» amico…
Un «tiranno» buono… Un personaggio, cioè, che
– prima di diventare il classico «mostro nel cassetto»,
«l’abominevole Hitler» della situazione ed il «pericolo
pubblico No. 1» che oggi tutti conosciamo - non aveva nulla da
invidiare al resto dei «despoti» e degli «aguzzini»
che, da più di 57 anni, continuano imperterriti ed indisturbati
a governare, per «conto terzi», il mondo arabo (e non solo
quest’ultimo…: il pakistano Parvez Musharraf, docet!), né
tanto meno qualcosa da temere dai governi e dai media occidentali! Questo,
per la semplice ragione che, il suo regime, era – e continua ad
essere – l’ordinaria e corrente «copia conforme»
degli altri 21 regimi arabi che l’informazione a «geometria
variabile» dei versatili e prezzolati pennivendoli delle nostre
«democrazie» - per evidenti ed indicibili motivi d’ordine
economico, politico e/o militare – stima più opportuno,
in generale (e sicuramente più conveniente e redditizio…,
in particolare), definire, «regimi arabi moderati»! (Per
saperne di più su Saddam Hussein, il regime iracheno, il ruolo
occidentale ed israeliano nel Vicino Oriente e la Guerra del Golfo,
vedere il mio: «Gli occhi bendati sul Golfo», Jaca Book,
Milano,1991).
Chi
è, realmente, George W. Bush?
Crediamo
tutti di sapere chi è George W. Bush jr.… Ed, invece, come
avremo modo di constatare (vedere articolo allegato: «il vero
Bush jr.»), quasi nessuno lo conosce veramente per quello che
effettivamente è!
Grazie, infatti, al subdolo e capillare «monopolio dell’informazione»
che Washington ha instaurato nel mondo ed al sistematico e compiacente
«schermo protettivo» che l’insieme dei media occidentali
(impropriamente ritenuti «liberi»…) continua servilmente
a «stendere» sulla sua persona, la maggior parte degli abitanti
della Terra ignora perfettamente la sua specifica natura, il suo iter
personale e le sue autentiche e tangibili «qualità»
e «peculiarità».
Certo, l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America
vorrebbe… (e fa di tutto per…) rassomigliare, almeno formalmente,
allo scaltro e feroce «lupo» della favola di Fedro ma, in
realtà, è semplicemente un «pupazzo», una
«marionetta», un inconsistente ed insignificante «fantoccio»!
Se vogliamo, oltre a calcare supinamente ed indegnamente le «nobili»
orme del bisnonno Samuel Prescott (nel 1914-1918 «servo fedele»
e «factotum» di Percy A. Rockefeller proprietario della
City Bank e della Remington Arms Co., nonché dello speculatore
borsistico Bernard Baruch e del banchiere «privato» Clarence
Dillon), del nonno Prescott Sheldon («uomo di paglia» e
«prestanome» e del gruppo Brown Brothers Harriman) e del
padre George Herbert Walker («ex sfortunato petroliere»,
«ex disastroso coordinatore» del fallito sbarco filo-americano
della Baia dei Porci, a Cuba, ed ex «ufficiale di collegamento»
del futuro dittatore panamense Manuel Noriega; poi, di punto in bianco…
«consulente speciale» e «strisciante leccapiedi»,
fino al 26 Ottobre 2001, del famigerato Carlyle Group, il principale
fornitore di materiale da guerra delle forze armate americane; Direttore
della CIA tra il 1976 ed il 1981; Vice-Presidente con Reagan, tra il
1981 ed il 1989; e quarantunesimo Presidente degli USA, tra il 1989
ed il 1992), George W. Bush jr. è addirittura il peggiore epigono
della sua stessa «famiglia di lacchè». Ed allo stesso
tempo - come la maggior parte dei Presidenti americani degli ultimi
settant’anni - il classico «burattino» della situazione.
Un personaggio, cioè, interamente «inventato», artatamente
«pompato» e totalmente «sponsorizzato» e «manovrato»
dagli effettivi detentori del potere reale negli USA. In particolare:
il vorace e guerrafondaio complesso militare-industriale del paese (Carlyle
Group, Lockheed Martin Corp., McDonnel Duglas Corp., Tennero Inc., General
Motors Corp., Northrop Grumman Corp., Raytheon Corp., General Electric,
Loral Corp., Boeing Co., United Technologies Corp.); le fameliche ed
insaziabili «sorelline» del petrolio (Chevron-Texaco, Exxon-Mobil,
Marathon Oil, BP-America - che è la fusione tra Standard Oil
e British Petroleum - e BP-AMOCO; senza contare Halliburton Inc., Unocal,
Delta Petroleum, TMBR/Sharp Drilling, ecc.); i principali istituti di
credito dello spregiudicato e rapace sistema bancario americano (Citicorp,
Citibank , Bank of America, First National Bank of Boston, Morgan Stanley,
ecc.) ed i maggiori gruppi monopolistici del mercato statunitense (AT&T;
Microsoft; Schering-Plough; Monsanto; Tom Brown Inc.; Motorola; Gulfstream
Aerospace; General Dynamics; Tribune Company; Gilead Sciences; Amylin
Pharmaceuticals; Sears; Roebuck & Co.; Allstate; Kellogg; Asea Brown
Boveri; Pharmacia, Ford Motor Company; Lear Corp.; DaimlerChrysler;
Philip Morris; Amtrak; America Online; Time Warner; Merck; Abbott Laboratories,
Brownstein, Hyatt & Farber; NL Industries; Ford Motor Company, Northwest
Airlines; Clorox; C.R. Bard; HCA-The Healthcare Company; Dole Food;
Northwest Airlines; Enterprise Rent-A-Car; Greyhound; United Airlines;
Union Pacific; Boeing, International Paper; Lucent Technologies; Eastman
Kodak; Alcoa; Schering-Plough Corp.; Qualcomm Inc.; Eli Lilly; Charles
Schwab; Transamerica Corp.).
Un
Governo di «comparse»
Per rendersene
conto, basta dare una rapida «occhiata» alla composizione
dell’attuale staff dirigenziale statunitense: lo stesso Bush jr.,
in passato, è stato direttore di una filiale del gruppo Carlyle
ed - insieme al padre - ha ricevuto onorari da questa società
fino all’Ottobre del 2001, data alla quale la famiglia Bin Laden
(sic!) ha venduto le sue azioni…; il Vice-Presidente Dick Cheney
continua ad essere totalmente legato all’industria militare del
paese ed al gruppo petrolifero Halliburton Inc.; il Segretario di Stato
o Ministro degli Esteri Colin Powell è fortemente «ancorato»
alla General Dynamics, Gulfstream Aerospace e America Online; l’Attorney
General o Ministro della Giustizia John Ashcroft è la particolare
«emanazione» di AT&T, Microsoft, Schering-Plough, Monsanto
ed Enterprise Rent-A-Car; il Segretario di Stato alla Difesa Donald
Rumsfeld la specifica «persona di fiducia» di General Dynamics,
Gulfstream Aerospace, Asea Brown Boveri, Gilead Sciences, G.D. Searle/Pharmacia,
General Instrument/Motorola, Tribune Company, Amylin Pharmaceuticals,
Sears, Roebuck & Co., Allstate e Kellogg; la Segretaria di Stato
agli Interni Gale Norton è strettamente «infeudata»
con Delta Petroleum, BP Amoco, NL Industries, Brownstein, Hyatt &
Farber, e Ford Motor Company; la Consigliera alla Sicurezza Nazionale
Condoleezza Rice è la diretta e fedele espressione di Chevron,
Charles Schwab e Transamerica Corp.; il Segretario di Stato al Tesoro
Paul O'Neill è l’interessato «factotum» di
Alcoa, Lucent Technologies, International Paper ed Eastman Kodak; il
Segretario di Stato al Commercio Donald L. Evans è «l’uomo
di punta» di Tom Brown Inc. e di TMBR/Sharp Drilling; il Segretario
di Stato all’Energia Spencer Abraham è la «longa
manus» di General Motors, Ford Motor Company, Lear Corp. e DaimlerChrysler;
il Segretario di Stato alla Sanità ed ai Servizi Umani Tommy
G. Thompson è apertamente «vincolato» a Philip Morris
(sic!), GeneralElectric, Merck, Amtrak, America Online, Time Warner
ed Abbott Laboratories; la Segretaria di Stato al Lavoro Elaine Chao
è «l’espressione semi-nascosta» di Bank of
America, Northwest Airlines, Clorox, C.R. Bard, HCA-The Healthcare Company
e Dole Food; la Segretaria di Stato all’Agricoltura Ann M. Veneman
è il «pezzo da novanta» di Monsanto Co e Pharmacia
Co., (i principali produttori e propagatori di O.G.M. nel mondo!); il
Segretario di Stato ai Trasporti Norman Y. Mineta è lo speciale
«periscopio» di Lockheed Martin, Northwest Airlines, Greyhound,
United Airlines, Union Pacific e Boeing; il Segretario di Stato agli
ex-combattenti Anthony Principi è «l’informale»
ed efficace «plenipotenziario» di Lockheed Martin, Ford
Motor Company, Microsoft, Schering-Plough Corp., Federal Network, QTC
Medical Services e Qualcomm Inc.; il Responsabile dello Staff presidenziale
Andrew H. Card Jr. è uno degli «uomini» di General
Motors; il Direttore dell’Amministrazione e del Budget della Casa
Bianca, Mitch Daniels, Jr. è uno dei «delegati» di
General Electric, Citigroup, Eli Lilly e Merck.
Inutile
sbalordirsi
Tenuto conto
di queste realtà, dobbiamo ancora domandarci il perché
del rifiuto, da parte dell’Amministrazione Bush, di ratificare
il «Protocollo di Kyoto» (relativo alla riduzione dei gas
ad «effetto serra»)? Dobbiamo ancora continuare a questionarci
per conoscere le reali ragioni dell’atteggiamento statunitense
al «Summit della Terra» di Johannesburg o a quello di Durban,
sul «razzismo», sempre in Sud Africa? Abbiamo bisogno di
comprendere il motivo per cui, il «libero-scambismo» propagandato
e selvaggiamente imposto da Washington ai nostri paesi, rima quasi sempre
- negli USA - con il più egoistico ed arrogante «protezionismo»
(ad esempio, i 100 miliardi di euro ultimamente devoluti ai produttori
agricoli statunitensi o l’iniqua tassa del 30% recentemente introdotta
sulle importazioni d’acciaio in provenienza dall’Europa
e dal Giappone)? In aggiunta, c’è ancora necessità
di sbalordirsi a proposito delle contraddizioni di fondo che emergono
- ad esempio - tra i discorsi ufficialmente «moralizzatori»
di Bush jr. (come quello del 9 Luglio 2002, alla Borsa di New York…)
e le quotidiane e costanti implicazioni della classe politica americana
negli scandali economici della maggior parte delle grandi imprese del
paese, come Enron, WorldCom, Merrill Lynch, Andersen, Global Crossing,
Qwest Communications International, Dynegy, Adelphia Communications,
Xerox, Imclone, Tyco, ecc.?
Inoltre, dopo le invereconde e capillari «connections» che
abbiamo potuto verificare tra la politica e l’economia negli USA,
è tuttora lecito stupirsi, se il traffico di droga (oppio, coca,
cannabis), nel mondo – che rappresenta all’incirca 700 miliardi
di euro all’anno (più del 9% del commercio mondiale!) -
seguita ad essere principalmente alimentato dai paesi (Pakistan, Turchia,
Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Tagikistan, Kirghisistan, Egitto,
Laos, Nepal, Birmania, Thailandia, Guatemala, Giamaica, Colombia, Bolivia,
ecc.) che intrattengono delle strette relazioni con Washington? E’
ancora valido determinare i motivi che spingono la Casa Bianca a rifiutare
qualsiasi incontro al vertice con l’Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo di Parigi che si propone di smantellare i «paradisi
fiscali» e di reprimere il conseguente traffico e riciclaggio
di «denaro sporco?» E’ ancora utile interrogarsi,
per individuare le ragioni che pressano gli Stati Uniti a volere assolutamente
imporre al mondo i loro O.G.M. (organismi geneticamente modificati)
o le carni commestibili dei loro allevamenti debitamente «doppate»
con numerosi prodotti farmaceutici (tra i più conosciuti: il
17 beta estradiolo, il progesterone, il testosterone, lo zeramolo e
l’acetato di trembolone e di melengesterolo)?
Conoscendo, tra l’altro, «chi» tira effettivamente
«le fila» della politica americana, è ancora sensato
chiedersi il perché dell’«inattesa» e «sbalorditiva»
ricusazione statunitense del «Trattato sul bando totale dei test
nucleari» o degli «Accordi START» (riduzione dell’insieme
degli armamenti strategici); oppure, il loro antagonismo alla «Convenzione
sulle armi biologiche e chimiche» del 1972; o ancora, la loro
opposizione al «progetto onusiano» contro il «traffico
illegale di armi leggere» nel mondo; ovvero, il loro rifiuto di
fornire una qualunque spiegazione ai responsabili dell’Unione
Europea a proposito di «Echelon» (il sofisticato sistema
americano ed anglosassone di sorveglianza elettronica dell’insieme
delle comunicazioni telefoniche, fax ed e-mail)??
Diciamocelo francamente: è ancora ragionevole lambiccarsi il
cervello per comprendere il significato ed il senso dell’insolente
e sfrontata ostilità dell’attuale Presidente americano
nei confronti del «Tribunale Penale Internazionale» (TPI)?
E’ ancora opportuno evocare l’incontrollabile ed inarrestabile
«spirale della violenza», per spiegare la rimessa in discussione
degli «Accordi di pace» israelo-palestinesi del 1994, l’arrivo
al potere di Sharon e la messa in pratica della tracotante e criminale
politica colonialista, vessatrice e massacratrice di Tel-Aviv, in Palestina?
E’ ancora equilibrato parlare di «Attacco all’America»,
per scoprire la vera origine degli «attentati» dell’11
Settembre 2001 e le reali ragioni dell’«inevitabile»
e consequenziale «guerra infinita» al terrorismo degli ex
freedom fighters filo-americani di al-Qa’ida?
In fine, sapendo come stanno davvero le cose negli USA, dobbiamo ancora
arrovellarci il cervello, per afferrare le ragioni del colossale e farneticante
aumento del budget americano della «Difesa» che è
passato dai 297,7 miliardi di dollari del 1998 agli attuali 331 miliardi
(all’incirca, un miliardo di dollari al giorno! Quando, comparativamente,
i quindici Paesi membri dell’Unione Europea – su «consiglio
disinteressato» dei loro «padroni» USA – sono
passati, per lo stesso genere di spese, dai loro complessivi 180,5 miliardi
di dollari del 1998, agli attuali 144,4 miliardi)? Dobbiamo ancora spremerci
le meningi, per individuare e circoscrivere i reali motivi che spingono
la Casa Bianca a volere a tutti costi demonizzare, aggredire ed eliminare
Saddam Hussein, per intronizzare, al suo posto, un qualunque Sharif
‘Ali Bin Al-Hussein (finalizzato e provvidenziale «pronipote»
di terzo/quarto grado dell’ultimo Re d’Iraq e classico «dandy
di servizio» degli interessi USA, nonché strumentale ed
addomesticato duplicato dell’attuale «mescalero» afghano
Hamid Karzai)?
Inutile, quindi, riferirsi al Lupus et Agnus di Fedro, per tentare di
spiegare i minacciosi e rivoltanti «venti di guerra» che
sembrano, ancora una volta, planare indisturbati sul malcapitato Iraq…
Ugualmente vano ed inefficace cercare di interpretare il cosiddetto
«duello all’ultimo sangue» tra Bush e Saddam, in chiave
di semplice e programmato «regolamento di conti» tra gangsters…
Il
«nano» ed il «gigante»
La vera verità sul «conflitto» che oppone, da ormai
11 anni, gli Stati Uniti all’Iraq, è da ricercarsi in tutt’altra
direzione: quella - a mio giudizio - della «strategia economica»
per fini di «dominazione politica e militare» del mondo.
Se abbiamo, infatti, la pazienza di dare uno sguardo ad un qualunque
Atlante e ci dilettiamo a paragonare le annesse tavole di sintesi demografica,
mineralogica, merceologica, tecnologica, finanziaria, industriale e
commerciale degli Stati Uniti e quelle del continente Euro-Asiatico,
ci accorgiamo che l’insieme dei paesi che compongono quest’ultima
area geopolitica, rappresentano cumulativamente una potenzialità
generale che è di gran lunga superiore a quella che è
normalmente vantata o pretesa dagli USA nei loro singoli confronti.
In altri termini, se la totalità dei paesi del vecchio continente
decidessero, un giorno, per pura ipotesi, di mettere in comune la globalità
delle loro risorse e delle loro potenzialità economiche (cioè,
tutte le loro materie prime, tutta la loro tecnologia, tutte le loro
capacità finanziarie, bancarie, industriali e commerciali, tutta
la loro manodopera, l’incommensurabile vastità e le infinite
esigenze dei loro territori e l’inesauribile mercato consumistico
che è rappresentato dalla somma aritmetica delle loro popolazioni)
costituirebbero immediatamente il primo impero politico, economico e
militare del mondo. Una potenza tale che, a suo confronto diretto, gli
Stati Uniti - oltre a dovere immediatamente rinunciare al ruolo di superpotenza
che, fino ad ora, hanno infondatamente ed indebitamente usurpato –
apparirebbero, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, come
una potenza di secondo piano. Un «potenza», cioè,
il cui ruolo politico internazionale rassomiglierebbe rapidamente, come
per incanto, a quello che la Polonia o la Bulgaria, tra il 1945 ed il
1990, esercitavano all’interno del «Patto di Varsavia»
sovietico!
Conosciamo la situazione reale dell’economia statunitense…
Dopo avere, negli anni 1980-1990, scelleratamente delocalizzato la maggior
parte della loro industria di produzione consumistica in Estremo Oriente
ed avere stoltamente concentrato l’essenziale del loro avvenire
economico all’interno di tre regioni specifiche del paese (California
= «nuove tecnologie»; Texas = «industria petrolifera»;
Florida = «complesso militare-indusriale»), gli strateghi
di Washington erano praticamente convinti che il problema della crescita
economica del paese sarebbe stato determinato dal dilagare nel mondo
delle loro «nuove tecnologie»; quello della disoccupazione
autoctona, sarebbe stato in gran parte risolto dal consequenziale potenziamento
e sviluppo dell’«economia virtuale» o «on-line»;
quello dei consumi interni, dall’importazione dei prodotti finiti,
a basso costo, dalle loro aziende che nel frattempo si erano trasferite
in Asia.
I conti senza
«l’oste»
Quella loro,
a dir poco, azzardata e poco felice scelta di strategia economica, però,
era confortata dal fatto che, in quell’epoca, gli Stati Uniti
- oltre ad essere restati (dopo la caduta dell’URSS) la sola superpotenza
militare del mondo - potevano tranquillamente permettersi il lusso (visti
pure gli stretti legami che gli USA intrattenevano con l’Arabia
Saudita ed il Kuwait) di bruciare all’incirca 15 milioni di barili
di petrolio al giorno (di cui 9,5 milioni, importati dai paesi del Golfo
e pagati a prezzi «politici» irrisori… In tutti i
casi, estremamente meno esosi di quelli che allora pagava - ed oggi
continua a pagare - l’Unione Europea!), per alimentare e sostenere,
al minor costo possibile, la totalità del consumo energetico
del paese.
Iniziata tra il Luglio del 1990 ed il Marzo 1991 (periodo della penultima
importante recessione economica USA che coincise - guarda caso! –
con la trappola tesa all’Iraq il 2 Agosto 1990 e la successiva
“crociata” statunitense per “liberare” il Kuwait
in nome del diritto, dei principi e della morale…) e rivelatasi
fragorosamente e drammaticamente al gran pubblico a partire dal Marzo
2001, la crisi economica statunitense (notevolmente aggravata dalla
situazione di bancarotta fraudolenta nella quale continuano a operare
la maggior parte degli istituti bancari nord-americani che, da più
di 20 anni, insistono a volere portare in attivo, nei loro bilanci,
i miliardi di dollari che, a suo tempo, furono allegramente prestati
all’URSS, al Messico, all’Argentina, al Brasile ed alla
maggior parte dei paesi del Terzo mondo, e che mai e poi mai saranno
loro restituiti!), ha un nome: quello delle «nuove tecnologie».
Queste ultime, infatti, lontano dall’ottenere i successi scontati
che i loro più quotati «guru» avevano spavaldamente
preannunciato, si sono inevitabilmente ed oggettivamente urtate a due
ostacoli principali: quello dell’impossibilità, da parte
della maggior parte dei paesi del mondo (eccetto l’Europa Occidentale,
il Giappone e l’Australia), di poterle finanziariamente acquistare
e quello dell’impossibilità, per la maggioranza dei cittadini
delle singole nazioni del Globo, di poterle intellettualmente «assorbire»
e «maturare», in tempi brevi.
Quell’inattesa situazione, a sua volta, ha provocato negli USA
una serie di «contraccolpi» economici, come gli innumerevoli
ed inarrestabili «tracolli in borsa» dei principali titoli
tecnologici del paese; l’accumulazione impressionante degli invenduti
nel campo elettronico e computeristico; la riduzione considerevole dei
profitti per le principali aziende del settore; lo scadimento della
produzione industriale; la caduta del PIL; la diminuzione complessiva
dei consumi; l’assottigliamento generale del volume globale delle
importazioni e delle esportazioni; un deficit commerciale trimestrale
di all’incirca 130 miliardi di dollari; la considerevole diminuzione
negli investimenti industriali; e, quindi, un ulteriore e notevole incremento
della disoccupazione…
Ed a nulla sono servite, fino ad ora, le successive decurtazioni dei
tassi d’interesse voluti dalla Federal Reserve (tassi passati,
nel corso del solo anno 2001, dal 6,5% all’1,75%: il tasso più
basso registrato dal 1947!), per tentare di rilanciare la «macchina
economica» statunitense.
Per gli Stati Uniti, dunque, tra le ultime carte da «giocare»,
per non essere costretti in breve tempo a dichiarare fallimento, rimanevano
soltanto quella del «petrolio» e quella dell’«armamento».
«L’uovo
di Colombo» americano
La carta
del «petrolio», però, era fortemente handicappata
e resa insicura dall’instabile situazione politica interna in
Arabia Saudita e nel Kuwait, e quella dell’«armamento»
era momentaneamente inutilizzabile, in quanto - dopo la fine della «Guerra
fredda», la scomparsa dell’URSS e la «spoliticizzazione»
e «l’allineamento economico» della Cina - obiettivamente
non esistevano più «nemici», degni di questo nome…
A meno che, di inventarseli di sana pianta!
E per «inventarli» come si doveva, ecco, dunque, uno dietro
l’altro – dopo le puntuali «boccate di ossigeno»
che gli USA, negli ultimi vent’anni, avevano già potuto
ottenere per la loro economia dai loro interventi militari in Nicaragua,
a Panama, a Grenada, ad Haiti, in Somalia, nel Sudan, in Libia, nel
Libano, in Iraq e nei differenti Stati dell’ex Iugoslavia –
spuntare, provvidenziali, dal «cappello del mago»: Sharon
in Israele… per provocare i Paesi arabi ed islamici e creare un
artificiale ed incontenibile «scontro di civiltà»
tra Occidente e mondo musulmano; gli (auto?) attentati dell’11
Settembre 2001… per scatenare una guerra contro l’Afghanistan,
occupare il paese e prendere piede, formalmente o informalmente, in
Asia centrale e, di conseguenza, soggiogare militarmente, senza colpo
ferire…, la quasi totalità delle ex repubbliche musulmane
sovietiche (dove, è noto a tutti, esistono importantissime riserve
di gas e di petrolio); e, dulcis in fundo, il «pericolo»
Saddam!
Ma per quale ragione - direte voi - proprio Saddam…? Quando, sappiamo
benissimo, che lo stesso padre di Bush jr., nel 1990-1991, 41° Presidente
degli Stati Uniti e capo della più importante coalizione militare
messa in piedi dall’epoca del Secondo conflitto mondiale, con
i suoi carri armati a pochissimi chilometri da Baghdad, alla fine della
Guerra del Golfo (1991), non solo (secondo la versione ufficiale…)
lo lasciò in vita per non «infierire»… ma,
affermando di averlo ormai militarmente «sgominato» e politicamente
reso «inoffensivo», lo mantenne addirittura al potere (quasi
sicuramente, per dare modo all’opinione pubblica mondiale di potere
meglio distinguere, con più spigliata facilità, i responsabili
dei già citati «regimi arabi moderati»…), in
Iraq?
Diversi
«piccioni» con una «fava»…
Rimettere
dopo 11 anni, il «pericolo» Saddam sul «tappeto»…,
sembra - a prima vista - una flagrante e grossolana contraddizione/impostura…
Eppure, non lo è!
Se prendiamo in conto, infatti, la terribile crisi economica che gli
USA stanno attraversando, i recenti e preoccupanti «attriti»
e «dissapori» con l’Arabia Saudita ed il pericolo
mortale che rappresenterebbe - per la loro economia e la loro sempre
più contestata egemonia politica e militare - un eventuale accordo
(anche esclusivamente economico!) tra l’Unione Europea e la CSI
(Russia e paesi ex sovietici rimasti nel «girone» di Mosca),
ci accorgiamo immediatamente che il «pericolo» Saddam -
per i reali detentori del potere negli USA (e non certo, per i «parrocchetti»
dell’Amministrazione Bush jr.!) – era (ed è…)
l’unico «pericolo» che il loro paese avrebbe potuto
agevolmente ed impunemente paventare, per togliersi momentaneamente
e sicuramente d’impaccio e, contemporaneamente, fare «bingo»
su tutta la linea!
Come fare altrimenti… per «distrarre» l’opinione
pubblica americana, ridare «spago» all’economia del
paese, rimettere al «passo» l’Arabia Saudita ed impedire
a tutti i costi una qualsiasi intesa eurasiatica, avendo simultaneamente
una qualunque concreta speranza di continuare ad assicurarsi il ruolo
di superpotenza e, quindi, il dominio del mondo, per i prossimi 40/50
anni, senza per altro dovere, in nessun modo, rischiare alcunché?
E’ semplice: prendendo diversi «piccioni» con la «fava»
Saddam!
L’
«arma» del petrolio
Non dimentichiamo,
infatti, che un eventuale guerra statunitense contro l’Iraq -
dopo la tutela militare e politica che Washington ha imposto alla maggior
parte delle petro-monarchie del Golfo ed all’Afghanistan, ed i
«protettorati» formali o informali che è riuscita
a realizzare sulle ex Repubbliche musulmane sovietiche – farebbe
immediatamente «rientrare nei ranghi» Riyad e neutralizzerebbe
definitivamente l’Iran. Inoltre, la diretta o indiretta presa
di possesso del petrolio iracheno (potenzialmente 3/4 milioni di barili
al giorno) - insieme al WTI americano, al petrolio della Penisola Arabica,
quello delle Repubbliche musulmane dell’Asia centrale, quello
messicano, quello venezuelano (ed il Brent del mare del Nord?) - metterebbe
nelle mani degli USA, il «monopolio» di all’incirca
i tre quarti (circa 900 miliardi di barili) delle riserve d’idrocarburi
attualmente accertate e disponibili sul nostro pianeta. E con quella
certezza energetica nel «cassetto», gli Stati Uniti si assicurerebbero
senz’altro la «parte del leone» nel mondo, per almeno
mezzo secolo: in particolare, avrebbero la possibilità di concedere,
alla loro malandata economia, la tanto attesa «boccata d’ossigeno»
che permetterebbe alla loro società di uscire rapidamente dalla
crisi; in secondo luogo, avrebbero l’occasione di ricompattare
la loro opinione pubblica e rinverdirebbero notevolmente, agli occhi
dei propri amministrati, il tradizionale sentimento di potenza e d’invincibilità
che caratterizza e tiene unita l’eterogenea e squinternata società
americana; in terzo luogo, giocando «l’ago della bilancia»,
in materia energetica, con gli interessi mercantili divergenti dell’Unione
Europea (che ha assolutamente bisogno dell’energia petrolio) e
della Russia (che produce petrolio ed ha delle riserve accertate per
all’incirca 65 miliardi di barili), ricatterebbero alternativamente
i due blocchi di paesi (in poche parole: facendo artatamente aumentare
il prezzo del petrolio, gli Stati Uniti sarebbero in grado di soffocare
drasticamente l’economia europea, mentre facendolo abilmente scendere,
sarebbero in condizione di creare delle serie difficoltà alla
già vacillante e tuttora instabile economia russa) e, mettendo
commercialmente l’uno contro l’altro, ne impedirebbero la
possibile intesa; in fine, rendendo indispensabile la loro presenza
militare in Europa, nel Vicino Oriente ed in Asia Centrale (soprattutto
a causa dei possibili disordini generalizzati che la guerra contro l’Iraq
potrebbe scatenare all’interno del mondo arabo e musulmano), darebbero
la possibilità alla loro «macchina da guerra» di
rinforzarsi ulteriormente e di continuare ad imporre - manu militari
e contro ogni umana logica - il ruolo politico ed economico «guida»
di Washington all’insieme dei paesi del mondo.
Che le suddette congetture o eventualità rappresentassero (e
continuino a rappresentare…) le reali intenzioni di Washington
nella sfrenata ed assurda corsa alla guerra all’Iraq, sembra l’abbiano
capito perfino il «satrapo» Putin e il «valletto»
Chirac. Ed è per quella ragione che – nonostante l’attacco
«terroristico» alla petroliera francese nello Yemen e la
recente «presa di ostaggi» filo-cecena al teatro di Mosca
– i due hanno continuato imperterriti ad ostacolare, con tutti
i mezzi a loro disposizione, fino alla «risoluzione 1441»
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, i frettolosi e furbeschi
progetti americani di guerra immediata all’Iraq.
Come avremo, però, ben presto, modo di constatare… il «piano
Iraq», per gli USA, ce n’est que partie remise…
Alberto B. Mariantoni
(*) Note
biografiche sull’Autore
Alberto
Bernardino Mariantoni è nato a Rieti il 7 Febbraio del 1947.
E’ specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni
del Medio Oriente. Politologo, scrittore e giornalista, è stato
per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le
Nazioni Unite di Ginevra e per diciotto anni sul tamburino di «Panorama».
Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed internazionali,
come «Le Journal de Genève» e «Radio Vaticana».
Ha al suo attivo decine e decine di inchieste e di reportages in zone
di guerra e di conflitti politici soprattutto in area mediorientale.
E’ autore di oltre trecento interviste ai protagonisti politici
dei paesi del Terzo Mondo e della vita politica internazionale. Ha scritto:
«Gli occhi bendati sul Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991)
e «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (ed. Pygmalion,
Paris, 1992). Dal 1994, è Presidente della Camera di Commercio
Italo-Palestinese.
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