Bushus et Saddagnus… di Alberto B. Mariantoni *

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Se volessimo soltanto limitarci a descrivere il mero aspetto formale dell’impari e disgustoso «conflitto» che da più di 11 anni oppone gli USA all’IRAQ, potremmo benissimo ricorrere a Fedro o Caius Iulius Phaedrus (10 /-54) della tradizione latina: «Ad rivum eundem Bushus et Saddagnus venerant, siti compulsi...» (Bushus e Saddagnus, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto stava Bushus, e molto più in basso Saddagnus).
Lo stesso dicasi, se desiderassimo unicamente illustrare il significato ed il senso dell’indegno e vizioso «serial» che da mesi, ormai, continua a tenere il mondo intero, con il fiato sospeso, in una situazione di «non-pace/non-guerra», tra le pretestuose e prevaricatrici accuse di George W. Bush e le puntuali e disarcionanti confutazioni e/o repliche di Saddam Hussein e degli altri membri del governo iracheno: «Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit…» (Allora l'assassino, spinto dalla malvagia bocca, offrì il motivo di lite: "Perché - disse - facesti torbida l'acqua, a me che bevo?”. Saddagnus di rimando, temendo: "Come posso - prego - fare ciò che lamenti, oh Bushus? Da te il liquido scorre ai miei sorsi!").
Identica considerazione, in fine, se ci accontentassimo esclusivamente di prevedere e di anticipare l’inevitabile e scontato esito della meschina e sproporzionata «tenzone» tra Washington e Baghdad: «Repulsus ille veritatis viribus… » (Respinto quello dalle forze della verità: “Prima di questi sei mesi - soggiunse - dicesti male di me". Rispose Saddagnus: “Veramente non ero nato". "Tuo padre, per Ercole - egli riprese - disse male di me"; E così presolo, lo sbrana con ingiusto massacro).
Nel nostro comodo e sbrigativo accostamento allegorico, però, il solo problema che dovremmo comunque tentare di risolvere, sarebbe quello di riuscire a fare effettivamente coincidere - agli occhi dell’opinione pubblica - gli autentici tratti distintivi del «Ra’is iracheno» con quelli di un qualunque ingenuo ed indifeso «agnello»… Ed, allo stesso tempo, fare realmente combaciare le genuine e provabili peculiarità dell’attuale «Presidente americano» con quelle di un qualsiasi scaltro e feroce «lupo»…

Chi è Saddam Hussein?

Sappiamo tutti chi è Saddam Hussein… Sfortunatamente per lui, infatti, il «Rayessna al-Ghali» («Presidente bene amato») iracheno, lontano dall’essere l’ingenuo ed indifeso «agnello» della favola di Fedro, è semplicemente un «autocrate». Un «despota» mediorientale. Un «dittatore» che – dopo avere sistematicamente e capillarmente eliminato ogni forma d’opposizione o di dissenso all’interno del suo paese – continua a spadroneggiare incontrastato ed inamovibile, sull’Iraq, da all’incirca ventisette anni.
La «memoria corta» dell’opinione pubblica essendo quella che è, l’uomo della strada, molto probabilmente, non lo ricorderà affatto, ma il «feroce Saladino» di Baghdad non è sempre stato l’irriducibile e lo spietato «anti-americano» che oggi tutti preferiscono dipingere…
Al contrario, nel 1975 - quando ancora era Vice-presidente del paese e «numero due» del regime ba’athista del Generale Ahmad Hassan al-Bakr - il suo primo atto ufficiale di governo fu proprio quello di favorire e di avvantaggiare economicamente, nel contesto dell’OPEC, gli Stati Uniti d’America ed il resto dei Paesi industrializzati dell’Occidente: in particolare, facendo in modo che, alla riunione d’Algeri (1975), il prezzo del greggio – vertiginosamente aumentato dopo la Guerra arabo-israeliana del Kippur (1973) ed il conseguente embargo imposto agli Occidentali dai Paesi Arabi produttori di petrolio – fosse considerevolmente ridimensionato!
Non sappiamo se fu per esprimergli profonda gratitudine a proposito di quel suo inatteso e benvenuto «gesto» o per premiarlo platealmente per quella sua «attitudine positiva» nei confronti delle nostre economie, ma una cosa è certa: in Occidente, tra il 1975 ed il 1990, il «despota» Saddam fu intensamente e strettamente «corteggiato», «adulato» e «riverito» dalla quasi totalità dei nostri Governi.
Questi ultimi, infatti, durante quello stesso periodo, lo considerarono apertamente un uomo politico «laico», «illuminato» e «visionario», nonché un «baluardo sicuro» ed «indispensabile» nella lotta al «pericolo islamico», rappresentato – in quell’epoca - dalla rivoluzione Khomeinista iraniana (1979-1980). In tutti i casi, lo propagandarono e lo imposero, alle nostre opinioni pubbliche, come un alleato «oggettivo» ed «imprescindibile».
A riprova di quella tendenza, La Francia, ad esempio, si «sbracciò», in quegli anni, a fornire a Saddam, «chiavi in mano», la famosa Centrale Nucleare di Tammouz (piratescamente bombardata e rasa al suolo dall’aviazione israeliana, nel 1981) ed a «prestargli» - per tutta la durata della guerra Iraq-Iran (1980-1988) - intere squadriglie di Super-Etendard della sua flotta aerea militare nazionale… La Gran Bretagna, dal canto suo, non esitò – insieme alla Germania, all’Italia, alla Svizzera, al Belgio, all’Olanda, al Belgio, alla Spagna, al Giappone, ecc. – a mettergli a disposizione aiuti finanziari a fondo perduto e prestiti astronomici a tasso agevolato, armamenti sofisticati, infrastrutture militari-industriali tecnologicamente avanzate, ecc. E gli Stati Uniti, per non essere da meno, oltre ad assicurare all’Iraq una vera e propria «assistenza militare» ed una quotidiana e dettagliata «copertura» fotografico-satellitare sui posizionamenti e gli spostamenti delle truppe iraniane nel corso di quel conflitto, non indugiò affatto – insieme alla Francia, alla Gran Bretagna ed alla Germania ed, in certi casi, al Brasile ed all’Argentina… – a offrirgli più di 80 miliardi di dollari di armamenti a credito, senza contare la fornitura di numerosi stabilimenti turnkey contract per la produzione ed il condizionamento, per scopi bellici, di gas vescicanti ed asfissianti (come le «mostarde solforose»), di gas nervini (come il «sarin», il «tabun», il «soman» ed il «vx») e molteplici laboratori scientifici per la coltura e l’impiego - come deterrenti militari - del «Bacillus Anthracis», del «Vaiolo», del «Botulino», della «Francisella Tularensis», ecc. Armi, queste ultime, che il «Ra’is di Baghdad», negli ultimi anni della Guerra Iraq-Iran (1986-88), non si privò affatto di utilizzare – con il beneplacito dell’Occidente (l’ex Presidente Reagan e l’attuale Segretario di Stato alla Difesa Donald Rumsfeld ne sanno qualcosa?) – sia contro l’esercito Iraniano (nella regione di Sulemaniya, in particolare) che contro il suo stesso popolo: cioè, i ribelli Kurdi del F.K.I. (Fronte del Kurdistan Iracheno, formato da elementi del Partito Democratico Kurdo di Massoud Barzani, dell’Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani e del Partito Comunista Iracheno), nella regione di Halabja, e le comunità Shi‘ite del Sud dell’Iraq.
Saddam Hussein, dunque, se vogliamo - tra il 1975 ed il 2 Agosto 1990 (data dell’invasione irachena del Kuwait e del fallito tentativo di Baghdad di affrancarsi dall’invadente, inibente e coercitiva tutela statunitense ed atlantica) - era un «dittatore» amico… Un «tiranno» buono… Un personaggio, cioè, che – prima di diventare il classico «mostro nel cassetto», «l’abominevole Hitler» della situazione ed il «pericolo pubblico No. 1» che oggi tutti conosciamo - non aveva nulla da invidiare al resto dei «despoti» e degli «aguzzini» che, da più di 57 anni, continuano imperterriti ed indisturbati a governare, per «conto terzi», il mondo arabo (e non solo quest’ultimo…: il pakistano Parvez Musharraf, docet!), né tanto meno qualcosa da temere dai governi e dai media occidentali! Questo, per la semplice ragione che, il suo regime, era – e continua ad essere – l’ordinaria e corrente «copia conforme» degli altri 21 regimi arabi che l’informazione a «geometria variabile» dei versatili e prezzolati pennivendoli delle nostre «democrazie» - per evidenti ed indicibili motivi d’ordine economico, politico e/o militare – stima più opportuno, in generale (e sicuramente più conveniente e redditizio…, in particolare), definire, «regimi arabi moderati»! (Per saperne di più su Saddam Hussein, il regime iracheno, il ruolo occidentale ed israeliano nel Vicino Oriente e la Guerra del Golfo, vedere il mio: «Gli occhi bendati sul Golfo», Jaca Book, Milano,1991).

Chi è, realmente, George W. Bush?

Crediamo tutti di sapere chi è George W. Bush jr.… Ed, invece, come avremo modo di constatare (vedere articolo allegato: «il vero Bush jr.»), quasi nessuno lo conosce veramente per quello che effettivamente è!
Grazie, infatti, al subdolo e capillare «monopolio dell’informazione» che Washington ha instaurato nel mondo ed al sistematico e compiacente «schermo protettivo» che l’insieme dei media occidentali (impropriamente ritenuti «liberi»…) continua servilmente a «stendere» sulla sua persona, la maggior parte degli abitanti della Terra ignora perfettamente la sua specifica natura, il suo iter personale e le sue autentiche e tangibili «qualità» e «peculiarità».
Certo, l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America vorrebbe… (e fa di tutto per…) rassomigliare, almeno formalmente, allo scaltro e feroce «lupo» della favola di Fedro ma, in realtà, è semplicemente un «pupazzo», una «marionetta», un inconsistente ed insignificante «fantoccio»!
Se vogliamo, oltre a calcare supinamente ed indegnamente le «nobili» orme del bisnonno Samuel Prescott (nel 1914-1918 «servo fedele» e «factotum» di Percy A. Rockefeller proprietario della City Bank e della Remington Arms Co., nonché dello speculatore borsistico Bernard Baruch e del banchiere «privato» Clarence Dillon), del nonno Prescott Sheldon («uomo di paglia» e «prestanome» e del gruppo Brown Brothers Harriman) e del padre George Herbert Walker («ex sfortunato petroliere», «ex disastroso coordinatore» del fallito sbarco filo-americano della Baia dei Porci, a Cuba, ed ex «ufficiale di collegamento» del futuro dittatore panamense Manuel Noriega; poi, di punto in bianco… «consulente speciale» e «strisciante leccapiedi», fino al 26 Ottobre 2001, del famigerato Carlyle Group, il principale fornitore di materiale da guerra delle forze armate americane; Direttore della CIA tra il 1976 ed il 1981; Vice-Presidente con Reagan, tra il 1981 ed il 1989; e quarantunesimo Presidente degli USA, tra il 1989 ed il 1992), George W. Bush jr. è addirittura il peggiore epigono della sua stessa «famiglia di lacchè». Ed allo stesso tempo - come la maggior parte dei Presidenti americani degli ultimi settant’anni - il classico «burattino» della situazione. Un personaggio, cioè, interamente «inventato», artatamente «pompato» e totalmente «sponsorizzato» e «manovrato» dagli effettivi detentori del potere reale negli USA. In particolare: il vorace e guerrafondaio complesso militare-industriale del paese (Carlyle Group, Lockheed Martin Corp., McDonnel Duglas Corp., Tennero Inc., General Motors Corp., Northrop Grumman Corp., Raytheon Corp., General Electric, Loral Corp., Boeing Co., United Technologies Corp.); le fameliche ed insaziabili «sorelline» del petrolio (Chevron-Texaco, Exxon-Mobil, Marathon Oil, BP-America - che è la fusione tra Standard Oil e British Petroleum - e BP-AMOCO; senza contare Halliburton Inc., Unocal, Delta Petroleum, TMBR/Sharp Drilling, ecc.); i principali istituti di credito dello spregiudicato e rapace sistema bancario americano (Citicorp, Citibank , Bank of America, First National Bank of Boston, Morgan Stanley, ecc.) ed i maggiori gruppi monopolistici del mercato statunitense (AT&T; Microsoft; Schering-Plough; Monsanto; Tom Brown Inc.; Motorola; Gulfstream Aerospace; General Dynamics; Tribune Company; Gilead Sciences; Amylin Pharmaceuticals; Sears; Roebuck & Co.; Allstate; Kellogg; Asea Brown Boveri; Pharmacia, Ford Motor Company; Lear Corp.; DaimlerChrysler; Philip Morris; Amtrak; America Online; Time Warner; Merck; Abbott Laboratories, Brownstein, Hyatt & Farber; NL Industries; Ford Motor Company, Northwest Airlines; Clorox; C.R. Bard; HCA-The Healthcare Company; Dole Food; Northwest Airlines; Enterprise Rent-A-Car; Greyhound; United Airlines; Union Pacific; Boeing, International Paper; Lucent Technologies; Eastman Kodak; Alcoa; Schering-Plough Corp.; Qualcomm Inc.; Eli Lilly; Charles Schwab; Transamerica Corp.).

Un Governo di «comparse»

Per rendersene conto, basta dare una rapida «occhiata» alla composizione dell’attuale staff dirigenziale statunitense: lo stesso Bush jr., in passato, è stato direttore di una filiale del gruppo Carlyle ed - insieme al padre - ha ricevuto onorari da questa società fino all’Ottobre del 2001, data alla quale la famiglia Bin Laden (sic!) ha venduto le sue azioni…; il Vice-Presidente Dick Cheney continua ad essere totalmente legato all’industria militare del paese ed al gruppo petrolifero Halliburton Inc.; il Segretario di Stato o Ministro degli Esteri Colin Powell è fortemente «ancorato» alla General Dynamics, Gulfstream Aerospace e America Online; l’Attorney General o Ministro della Giustizia John Ashcroft è la particolare «emanazione» di AT&T, Microsoft, Schering-Plough, Monsanto ed Enterprise Rent-A-Car; il Segretario di Stato alla Difesa Donald Rumsfeld la specifica «persona di fiducia» di General Dynamics, Gulfstream Aerospace, Asea Brown Boveri, Gilead Sciences, G.D. Searle/Pharmacia, General Instrument/Motorola, Tribune Company, Amylin Pharmaceuticals, Sears, Roebuck & Co., Allstate e Kellogg; la Segretaria di Stato agli Interni Gale Norton è strettamente «infeudata» con Delta Petroleum, BP Amoco, NL Industries, Brownstein, Hyatt & Farber, e Ford Motor Company; la Consigliera alla Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice è la diretta e fedele espressione di Chevron, Charles Schwab e Transamerica Corp.; il Segretario di Stato al Tesoro Paul O'Neill è l’interessato «factotum» di Alcoa, Lucent Technologies, International Paper ed Eastman Kodak; il Segretario di Stato al Commercio Donald L. Evans è «l’uomo di punta» di Tom Brown Inc. e di TMBR/Sharp Drilling; il Segretario di Stato all’Energia Spencer Abraham è la «longa manus» di General Motors, Ford Motor Company, Lear Corp. e DaimlerChrysler; il Segretario di Stato alla Sanità ed ai Servizi Umani Tommy G. Thompson è apertamente «vincolato» a Philip Morris (sic!), GeneralElectric, Merck, Amtrak, America Online, Time Warner ed Abbott Laboratories; la Segretaria di Stato al Lavoro Elaine Chao è «l’espressione semi-nascosta» di Bank of America, Northwest Airlines, Clorox, C.R. Bard, HCA-The Healthcare Company e Dole Food; la Segretaria di Stato all’Agricoltura Ann M. Veneman è il «pezzo da novanta» di Monsanto Co e Pharmacia Co., (i principali produttori e propagatori di O.G.M. nel mondo!); il Segretario di Stato ai Trasporti Norman Y. Mineta è lo speciale «periscopio» di Lockheed Martin, Northwest Airlines, Greyhound, United Airlines, Union Pacific e Boeing; il Segretario di Stato agli ex-combattenti Anthony Principi è «l’informale» ed efficace «plenipotenziario» di Lockheed Martin, Ford Motor Company, Microsoft, Schering-Plough Corp., Federal Network, QTC Medical Services e Qualcomm Inc.; il Responsabile dello Staff presidenziale Andrew H. Card Jr. è uno degli «uomini» di General Motors; il Direttore dell’Amministrazione e del Budget della Casa Bianca, Mitch Daniels, Jr. è uno dei «delegati» di General Electric, Citigroup, Eli Lilly e Merck.

Inutile sbalordirsi

Tenuto conto di queste realtà, dobbiamo ancora domandarci il perché del rifiuto, da parte dell’Amministrazione Bush, di ratificare il «Protocollo di Kyoto» (relativo alla riduzione dei gas ad «effetto serra»)? Dobbiamo ancora continuare a questionarci per conoscere le reali ragioni dell’atteggiamento statunitense al «Summit della Terra» di Johannesburg o a quello di Durban, sul «razzismo», sempre in Sud Africa? Abbiamo bisogno di comprendere il motivo per cui, il «libero-scambismo» propagandato e selvaggiamente imposto da Washington ai nostri paesi, rima quasi sempre - negli USA - con il più egoistico ed arrogante «protezionismo» (ad esempio, i 100 miliardi di euro ultimamente devoluti ai produttori agricoli statunitensi o l’iniqua tassa del 30% recentemente introdotta sulle importazioni d’acciaio in provenienza dall’Europa e dal Giappone)? In aggiunta, c’è ancora necessità di sbalordirsi a proposito delle contraddizioni di fondo che emergono - ad esempio - tra i discorsi ufficialmente «moralizzatori» di Bush jr. (come quello del 9 Luglio 2002, alla Borsa di New York…) e le quotidiane e costanti implicazioni della classe politica americana negli scandali economici della maggior parte delle grandi imprese del paese, come Enron, WorldCom, Merrill Lynch, Andersen, Global Crossing, Qwest Communications International, Dynegy, Adelphia Communications, Xerox, Imclone, Tyco, ecc.?
Inoltre, dopo le invereconde e capillari «connections» che abbiamo potuto verificare tra la politica e l’economia negli USA, è tuttora lecito stupirsi, se il traffico di droga (oppio, coca, cannabis), nel mondo – che rappresenta all’incirca 700 miliardi di euro all’anno (più del 9% del commercio mondiale!) - seguita ad essere principalmente alimentato dai paesi (Pakistan, Turchia, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Tagikistan, Kirghisistan, Egitto, Laos, Nepal, Birmania, Thailandia, Guatemala, Giamaica, Colombia, Bolivia, ecc.) che intrattengono delle strette relazioni con Washington? E’ ancora valido determinare i motivi che spingono la Casa Bianca a rifiutare qualsiasi incontro al vertice con l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo di Parigi che si propone di smantellare i «paradisi fiscali» e di reprimere il conseguente traffico e riciclaggio di «denaro sporco?» E’ ancora utile interrogarsi, per individuare le ragioni che pressano gli Stati Uniti a volere assolutamente imporre al mondo i loro O.G.M. (organismi geneticamente modificati) o le carni commestibili dei loro allevamenti debitamente «doppate» con numerosi prodotti farmaceutici (tra i più conosciuti: il 17 beta estradiolo, il progesterone, il testosterone, lo zeramolo e l’acetato di trembolone e di melengesterolo)?
Conoscendo, tra l’altro, «chi» tira effettivamente «le fila» della politica americana, è ancora sensato chiedersi il perché dell’«inattesa» e «sbalorditiva» ricusazione statunitense del «Trattato sul bando totale dei test nucleari» o degli «Accordi START» (riduzione dell’insieme degli armamenti strategici); oppure, il loro antagonismo alla «Convenzione sulle armi biologiche e chimiche» del 1972; o ancora, la loro opposizione al «progetto onusiano» contro il «traffico illegale di armi leggere» nel mondo; ovvero, il loro rifiuto di fornire una qualunque spiegazione ai responsabili dell’Unione Europea a proposito di «Echelon» (il sofisticato sistema americano ed anglosassone di sorveglianza elettronica dell’insieme delle comunicazioni telefoniche, fax ed e-mail)??
Diciamocelo francamente: è ancora ragionevole lambiccarsi il cervello per comprendere il significato ed il senso dell’insolente e sfrontata ostilità dell’attuale Presidente americano nei confronti del «Tribunale Penale Internazionale» (TPI)? E’ ancora opportuno evocare l’incontrollabile ed inarrestabile «spirale della violenza», per spiegare la rimessa in discussione degli «Accordi di pace» israelo-palestinesi del 1994, l’arrivo al potere di Sharon e la messa in pratica della tracotante e criminale politica colonialista, vessatrice e massacratrice di Tel-Aviv, in Palestina? E’ ancora equilibrato parlare di «Attacco all’America», per scoprire la vera origine degli «attentati» dell’11 Settembre 2001 e le reali ragioni dell’«inevitabile» e consequenziale «guerra infinita» al terrorismo degli ex freedom fighters filo-americani di al-Qa’ida?
In fine, sapendo come stanno davvero le cose negli USA, dobbiamo ancora arrovellarci il cervello, per afferrare le ragioni del colossale e farneticante aumento del budget americano della «Difesa» che è passato dai 297,7 miliardi di dollari del 1998 agli attuali 331 miliardi (all’incirca, un miliardo di dollari al giorno! Quando, comparativamente, i quindici Paesi membri dell’Unione Europea – su «consiglio disinteressato» dei loro «padroni» USA – sono passati, per lo stesso genere di spese, dai loro complessivi 180,5 miliardi di dollari del 1998, agli attuali 144,4 miliardi)? Dobbiamo ancora spremerci le meningi, per individuare e circoscrivere i reali motivi che spingono la Casa Bianca a volere a tutti costi demonizzare, aggredire ed eliminare Saddam Hussein, per intronizzare, al suo posto, un qualunque Sharif ‘Ali Bin Al-Hussein (finalizzato e provvidenziale «pronipote» di terzo/quarto grado dell’ultimo Re d’Iraq e classico «dandy di servizio» degli interessi USA, nonché strumentale ed addomesticato duplicato dell’attuale «mescalero» afghano Hamid Karzai)?
Inutile, quindi, riferirsi al Lupus et Agnus di Fedro, per tentare di spiegare i minacciosi e rivoltanti «venti di guerra» che sembrano, ancora una volta, planare indisturbati sul malcapitato Iraq… Ugualmente vano ed inefficace cercare di interpretare il cosiddetto «duello all’ultimo sangue» tra Bush e Saddam, in chiave di semplice e programmato «regolamento di conti» tra gangsters…

Il «nano» ed il «gigante»

La vera verità sul «conflitto» che oppone, da ormai 11 anni, gli Stati Uniti all’Iraq, è da ricercarsi in tutt’altra direzione: quella - a mio giudizio - della «strategia economica» per fini di «dominazione politica e militare» del mondo.
Se abbiamo, infatti, la pazienza di dare uno sguardo ad un qualunque Atlante e ci dilettiamo a paragonare le annesse tavole di sintesi demografica, mineralogica, merceologica, tecnologica, finanziaria, industriale e commerciale degli Stati Uniti e quelle del continente Euro-Asiatico, ci accorgiamo che l’insieme dei paesi che compongono quest’ultima area geopolitica, rappresentano cumulativamente una potenzialità generale che è di gran lunga superiore a quella che è normalmente vantata o pretesa dagli USA nei loro singoli confronti.
In altri termini, se la totalità dei paesi del vecchio continente decidessero, un giorno, per pura ipotesi, di mettere in comune la globalità delle loro risorse e delle loro potenzialità economiche (cioè, tutte le loro materie prime, tutta la loro tecnologia, tutte le loro capacità finanziarie, bancarie, industriali e commerciali, tutta la loro manodopera, l’incommensurabile vastità e le infinite esigenze dei loro territori e l’inesauribile mercato consumistico che è rappresentato dalla somma aritmetica delle loro popolazioni) costituirebbero immediatamente il primo impero politico, economico e militare del mondo. Una potenza tale che, a suo confronto diretto, gli Stati Uniti - oltre a dovere immediatamente rinunciare al ruolo di superpotenza che, fino ad ora, hanno infondatamente ed indebitamente usurpato – apparirebbero, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, come una potenza di secondo piano. Un «potenza», cioè, il cui ruolo politico internazionale rassomiglierebbe rapidamente, come per incanto, a quello che la Polonia o la Bulgaria, tra il 1945 ed il 1990, esercitavano all’interno del «Patto di Varsavia» sovietico!
Conosciamo la situazione reale dell’economia statunitense… Dopo avere, negli anni 1980-1990, scelleratamente delocalizzato la maggior parte della loro industria di produzione consumistica in Estremo Oriente ed avere stoltamente concentrato l’essenziale del loro avvenire economico all’interno di tre regioni specifiche del paese (California = «nuove tecnologie»; Texas = «industria petrolifera»; Florida = «complesso militare-indusriale»), gli strateghi di Washington erano praticamente convinti che il problema della crescita economica del paese sarebbe stato determinato dal dilagare nel mondo delle loro «nuove tecnologie»; quello della disoccupazione autoctona, sarebbe stato in gran parte risolto dal consequenziale potenziamento e sviluppo dell’«economia virtuale» o «on-line»; quello dei consumi interni, dall’importazione dei prodotti finiti, a basso costo, dalle loro aziende che nel frattempo si erano trasferite in Asia.

I conti senza «l’oste»

Quella loro, a dir poco, azzardata e poco felice scelta di strategia economica, però, era confortata dal fatto che, in quell’epoca, gli Stati Uniti - oltre ad essere restati (dopo la caduta dell’URSS) la sola superpotenza militare del mondo - potevano tranquillamente permettersi il lusso (visti pure gli stretti legami che gli USA intrattenevano con l’Arabia Saudita ed il Kuwait) di bruciare all’incirca 15 milioni di barili di petrolio al giorno (di cui 9,5 milioni, importati dai paesi del Golfo e pagati a prezzi «politici» irrisori… In tutti i casi, estremamente meno esosi di quelli che allora pagava - ed oggi continua a pagare - l’Unione Europea!), per alimentare e sostenere, al minor costo possibile, la totalità del consumo energetico del paese.
Iniziata tra il Luglio del 1990 ed il Marzo 1991 (periodo della penultima importante recessione economica USA che coincise - guarda caso! – con la trappola tesa all’Iraq il 2 Agosto 1990 e la successiva “crociata” statunitense per “liberare” il Kuwait in nome del diritto, dei principi e della morale…) e rivelatasi fragorosamente e drammaticamente al gran pubblico a partire dal Marzo 2001, la crisi economica statunitense (notevolmente aggravata dalla situazione di bancarotta fraudolenta nella quale continuano a operare la maggior parte degli istituti bancari nord-americani che, da più di 20 anni, insistono a volere portare in attivo, nei loro bilanci, i miliardi di dollari che, a suo tempo, furono allegramente prestati all’URSS, al Messico, all’Argentina, al Brasile ed alla maggior parte dei paesi del Terzo mondo, e che mai e poi mai saranno loro restituiti!), ha un nome: quello delle «nuove tecnologie».
Queste ultime, infatti, lontano dall’ottenere i successi scontati che i loro più quotati «guru» avevano spavaldamente preannunciato, si sono inevitabilmente ed oggettivamente urtate a due ostacoli principali: quello dell’impossibilità, da parte della maggior parte dei paesi del mondo (eccetto l’Europa Occidentale, il Giappone e l’Australia), di poterle finanziariamente acquistare e quello dell’impossibilità, per la maggioranza dei cittadini delle singole nazioni del Globo, di poterle intellettualmente «assorbire» e «maturare», in tempi brevi.
Quell’inattesa situazione, a sua volta, ha provocato negli USA una serie di «contraccolpi» economici, come gli innumerevoli ed inarrestabili «tracolli in borsa» dei principali titoli tecnologici del paese; l’accumulazione impressionante degli invenduti nel campo elettronico e computeristico; la riduzione considerevole dei profitti per le principali aziende del settore; lo scadimento della produzione industriale; la caduta del PIL; la diminuzione complessiva dei consumi; l’assottigliamento generale del volume globale delle importazioni e delle esportazioni; un deficit commerciale trimestrale di all’incirca 130 miliardi di dollari; la considerevole diminuzione negli investimenti industriali; e, quindi, un ulteriore e notevole incremento della disoccupazione…
Ed a nulla sono servite, fino ad ora, le successive decurtazioni dei tassi d’interesse voluti dalla Federal Reserve (tassi passati, nel corso del solo anno 2001, dal 6,5% all’1,75%: il tasso più basso registrato dal 1947!), per tentare di rilanciare la «macchina economica» statunitense.
Per gli Stati Uniti, dunque, tra le ultime carte da «giocare», per non essere costretti in breve tempo a dichiarare fallimento, rimanevano soltanto quella del «petrolio» e quella dell’«armamento».

«L’uovo di Colombo» americano

La carta del «petrolio», però, era fortemente handicappata e resa insicura dall’instabile situazione politica interna in Arabia Saudita e nel Kuwait, e quella dell’«armamento» era momentaneamente inutilizzabile, in quanto - dopo la fine della «Guerra fredda», la scomparsa dell’URSS e la «spoliticizzazione» e «l’allineamento economico» della Cina - obiettivamente non esistevano più «nemici», degni di questo nome… A meno che, di inventarseli di sana pianta!
E per «inventarli» come si doveva, ecco, dunque, uno dietro l’altro – dopo le puntuali «boccate di ossigeno» che gli USA, negli ultimi vent’anni, avevano già potuto ottenere per la loro economia dai loro interventi militari in Nicaragua, a Panama, a Grenada, ad Haiti, in Somalia, nel Sudan, in Libia, nel Libano, in Iraq e nei differenti Stati dell’ex Iugoslavia – spuntare, provvidenziali, dal «cappello del mago»: Sharon in Israele… per provocare i Paesi arabi ed islamici e creare un artificiale ed incontenibile «scontro di civiltà» tra Occidente e mondo musulmano; gli (auto?) attentati dell’11 Settembre 2001… per scatenare una guerra contro l’Afghanistan, occupare il paese e prendere piede, formalmente o informalmente, in Asia centrale e, di conseguenza, soggiogare militarmente, senza colpo ferire…, la quasi totalità delle ex repubbliche musulmane sovietiche (dove, è noto a tutti, esistono importantissime riserve di gas e di petrolio); e, dulcis in fundo, il «pericolo» Saddam!
Ma per quale ragione - direte voi - proprio Saddam…? Quando, sappiamo benissimo, che lo stesso padre di Bush jr., nel 1990-1991, 41° Presidente degli Stati Uniti e capo della più importante coalizione militare messa in piedi dall’epoca del Secondo conflitto mondiale, con i suoi carri armati a pochissimi chilometri da Baghdad, alla fine della Guerra del Golfo (1991), non solo (secondo la versione ufficiale…) lo lasciò in vita per non «infierire»… ma, affermando di averlo ormai militarmente «sgominato» e politicamente reso «inoffensivo», lo mantenne addirittura al potere (quasi sicuramente, per dare modo all’opinione pubblica mondiale di potere meglio distinguere, con più spigliata facilità, i responsabili dei già citati «regimi arabi moderati»…), in Iraq?

Diversi «piccioni» con una «fava»…

Rimettere dopo 11 anni, il «pericolo» Saddam sul «tappeto»…, sembra - a prima vista - una flagrante e grossolana contraddizione/impostura… Eppure, non lo è!
Se prendiamo in conto, infatti, la terribile crisi economica che gli USA stanno attraversando, i recenti e preoccupanti «attriti» e «dissapori» con l’Arabia Saudita ed il pericolo mortale che rappresenterebbe - per la loro economia e la loro sempre più contestata egemonia politica e militare - un eventuale accordo (anche esclusivamente economico!) tra l’Unione Europea e la CSI (Russia e paesi ex sovietici rimasti nel «girone» di Mosca), ci accorgiamo immediatamente che il «pericolo» Saddam - per i reali detentori del potere negli USA (e non certo, per i «parrocchetti» dell’Amministrazione Bush jr.!) – era (ed è…) l’unico «pericolo» che il loro paese avrebbe potuto agevolmente ed impunemente paventare, per togliersi momentaneamente e sicuramente d’impaccio e, contemporaneamente, fare «bingo» su tutta la linea!
Come fare altrimenti… per «distrarre» l’opinione pubblica americana, ridare «spago» all’economia del paese, rimettere al «passo» l’Arabia Saudita ed impedire a tutti i costi una qualsiasi intesa eurasiatica, avendo simultaneamente una qualunque concreta speranza di continuare ad assicurarsi il ruolo di superpotenza e, quindi, il dominio del mondo, per i prossimi 40/50 anni, senza per altro dovere, in nessun modo, rischiare alcunché?
E’ semplice: prendendo diversi «piccioni» con la «fava» Saddam!

L’ «arma» del petrolio

Non dimentichiamo, infatti, che un eventuale guerra statunitense contro l’Iraq - dopo la tutela militare e politica che Washington ha imposto alla maggior parte delle petro-monarchie del Golfo ed all’Afghanistan, ed i «protettorati» formali o informali che è riuscita a realizzare sulle ex Repubbliche musulmane sovietiche – farebbe immediatamente «rientrare nei ranghi» Riyad e neutralizzerebbe definitivamente l’Iran. Inoltre, la diretta o indiretta presa di possesso del petrolio iracheno (potenzialmente 3/4 milioni di barili al giorno) - insieme al WTI americano, al petrolio della Penisola Arabica, quello delle Repubbliche musulmane dell’Asia centrale, quello messicano, quello venezuelano (ed il Brent del mare del Nord?) - metterebbe nelle mani degli USA, il «monopolio» di all’incirca i tre quarti (circa 900 miliardi di barili) delle riserve d’idrocarburi attualmente accertate e disponibili sul nostro pianeta. E con quella certezza energetica nel «cassetto», gli Stati Uniti si assicurerebbero senz’altro la «parte del leone» nel mondo, per almeno mezzo secolo: in particolare, avrebbero la possibilità di concedere, alla loro malandata economia, la tanto attesa «boccata d’ossigeno» che permetterebbe alla loro società di uscire rapidamente dalla crisi; in secondo luogo, avrebbero l’occasione di ricompattare la loro opinione pubblica e rinverdirebbero notevolmente, agli occhi dei propri amministrati, il tradizionale sentimento di potenza e d’invincibilità che caratterizza e tiene unita l’eterogenea e squinternata società americana; in terzo luogo, giocando «l’ago della bilancia», in materia energetica, con gli interessi mercantili divergenti dell’Unione Europea (che ha assolutamente bisogno dell’energia petrolio) e della Russia (che produce petrolio ed ha delle riserve accertate per all’incirca 65 miliardi di barili), ricatterebbero alternativamente i due blocchi di paesi (in poche parole: facendo artatamente aumentare il prezzo del petrolio, gli Stati Uniti sarebbero in grado di soffocare drasticamente l’economia europea, mentre facendolo abilmente scendere, sarebbero in condizione di creare delle serie difficoltà alla già vacillante e tuttora instabile economia russa) e, mettendo commercialmente l’uno contro l’altro, ne impedirebbero la possibile intesa; in fine, rendendo indispensabile la loro presenza militare in Europa, nel Vicino Oriente ed in Asia Centrale (soprattutto a causa dei possibili disordini generalizzati che la guerra contro l’Iraq potrebbe scatenare all’interno del mondo arabo e musulmano), darebbero la possibilità alla loro «macchina da guerra» di rinforzarsi ulteriormente e di continuare ad imporre - manu militari e contro ogni umana logica - il ruolo politico ed economico «guida» di Washington all’insieme dei paesi del mondo.
Che le suddette congetture o eventualità rappresentassero (e continuino a rappresentare…) le reali intenzioni di Washington nella sfrenata ed assurda corsa alla guerra all’Iraq, sembra l’abbiano capito perfino il «satrapo» Putin e il «valletto» Chirac. Ed è per quella ragione che – nonostante l’attacco «terroristico» alla petroliera francese nello Yemen e la recente «presa di ostaggi» filo-cecena al teatro di Mosca – i due hanno continuato imperterriti ad ostacolare, con tutti i mezzi a loro disposizione, fino alla «risoluzione 1441» del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, i frettolosi e furbeschi progetti americani di guerra immediata all’Iraq.
Come avremo, però, ben presto, modo di constatare… il «piano Iraq», per gli USA, ce n’est que partie remise…

Alberto B. Mariantoni

(*) Note biografiche sull’Autore

Alberto Bernardino Mariantoni è nato a Rieti il 7 Febbraio del 1947. E’ specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni del Medio Oriente. Politologo, scrittore e giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per diciotto anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed internazionali, come «Le Journal de Genève» e «Radio Vaticana». Ha al suo attivo decine e decine di inchieste e di reportages in zone di guerra e di conflitti politici soprattutto in area mediorientale. E’ autore di oltre trecento interviste ai protagonisti politici dei paesi del Terzo Mondo e della vita politica internazionale. Ha scritto: «Gli occhi bendati sul Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991) e «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (ed. Pygmalion, Paris, 1992). Dal 1994, è Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese.

 
 


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