World Trade Center. E se facessimo un po' di autocritica?
 
 
" Commento. World Trade Center. E se facessimo un po' di autocritica? Di Stefano Allievi "
 
 

Non sono un esperto di questioni internazionali. Non sono un esperto di terrorismo. Non ho contatti con l'intelligence. In breve, non ho alcun titolo per parlare di questo argomento con qualche originalità. L'unico, minuscolo titolo che posso vantare, è che per mestiere mi occupo di islam, o meglio di musulmani: ma di quelli che stanno in Europa, soprattutto. E quelli che conosco io non mettono bombe. Insomma, non so niente, nello specifico. Parlo, quindi, da semplice cittadino. Ignorante per definizione. Ho saputo di quello che è successo da una giornalista di Blusat 2000, una emittente cattolica che occasionalmente mi usa come commentatore sull'islam, che mi chiedeva un parere sugli attentatori suicidi e i kamikaze. Si sapeva poco, ancora; ma ho dato diligentemente il mio generico parere sul ruolo del suicidio volontario nelle culture non occidentali. Non prima di aver specificato che, per l'ora dell'attentato, avevo un alibi. E da quel momento ho acceso la CNN. Sono stato poi contattato da qualche altro giornalista: Rai 3, per esempio, mi ha interrotto giusto quando mi interrogavo sul perché dell'odio nei confronti degli Stati Uniti, e le sue ragioni. Non mi sento censurato, ovviamente: sarebbe ridicolo. Ma ho scelto di non lasciarmi dire la mia opinione da altri. Per cui ieri, 12 settembre, primo giorno del dopo-World Trade Center, ho deciso di non comprare e non leggere i giornali, non guardare la tv, e non ascoltare la radio, per lasciare sedimentare dentro di me le reazioni che la notizia e le prime immagini mi hanno suscitato. Non sono cambiate, rispetto alle prime, istintive.

Punto uno. Ovvio, l'attentato è agghiacciante. E spettacolare. Provo orrore, come la maggior parte (non come tutti: questa è retorica, che lascio ai professionisti del settore, giornalisti e politici in primo luogo). Mi disgusta che muoiano dei civili. Mi ripugna che muoiano uomini e donne ingiustamente, in generale. E' orribile. E' ingiusto. Ma per carattere sono abituato a trarre dal peggio, e anche dalle ingiustizie, degli insegnamenti (è l'unico modo con cui riesco ad accettare il peggio, e le ingiustizie, quando fanno irruzione nella mia vita). E allora ci provo. Che cosa possiamo imparare da questo attentato?
Che gli Stati Uniti hanno molti nemici, in primo luogo. Uno è Bin Laden. Molti altri stanno altrove, Stati Uniti inclusi (Oklahoma City, Atlanta, Waco, tanto per dire). Stavolta sono stati bravi, dal loro punto di vista: hanno colpito al cuore - il World Trade Center, il Pentagono, per poco forse anche il Presidente (una lunga tradizione, tutta interna, in Usa). Niente da dire: professionisti. Ma professionisti con un credo. Con qualche amico avevo provato a stilare un elenco di questi nemici. Tra quelli che avrebbero la capacità logistica, tanto per dire, avremmo potuto metterci il narcotraffico. Ma nemici lo sono fino a un certo punto (talvolta sono persino complici). Hanno la capacità, i soldi, i piloti. Ma il movente non c'è (per quanto ci possa essere un movente razionalmente comprensibile e spiegabile in fatti di questo genere - la storia delle bombe nostrane insegna). E soprattutto, non hanno niente in cui credere, a parte i soldi. E per soldi non si fanno attacchi suicidi. Dunque c'è di mezzo l'odio, e l'odio è in sé qualcosa che meriterebbe una spiegazione, se non ci si vuole accontentare del "molti nemici, molto onore" (uno slogan fascista, incidentalmente, non democratico). Il gioco potrebbe continuare, ma lo lascio qui. Voglio tornare agli insegnamenti.

Punto due. La rappresaglia. Sono sconcertato, lo ammetto. Ammetto la mia ingenuità nel rimanere sorpreso dalla facilità, dalla leggerezza, dal cinismo con cui giornalisti e commentatori ripetono che gli Stati Uniti ovviamente dovranno procedere a una rappresaglia, e in fretta: non per colpire chi li ha colpiti, ma per ribadire il loro ruolo di superpotenza. Cosa temo? Temo una rappresaglia stupida, indiscriminata, cinica appunto: una rappresaglia purchessia. Una rappresaglia tanto per colpire. Poiché, come ovvio, gli Stati Uniti, quando colpiranno, colpiranno insieme agli alleati (la Nato ha detto che considererà l'attacco subito dagli Usa come rivolto contro se stessa), e se colpiranno male (magari bombardando una fabbrica di medicinali spacciandola per una fabbrica di ordigni chimici, come già successo) l'odio dei non occidentali aumenterà. E coinvolgerà l'intero occidente. Temo - poiché di questo mi occupo - che, al di là della risposta politica e militare, ci sarà quella sociale. Quale l'opinione sull'islam, che già non gode di buona stampa? Quanti coloro che si sentiranno in diritto di bruciare una moschea qui, di non concedere un visto a un cittadino arabo là, di fermarlo o controllarlo (o arrestarlo) dieci volte di più di un altro straniero, che già è controllato mille volte di più di un occidentale? Quante ingiustizie si faranno? Quante mancate parità di trattamento scopriremo?

Punto tre. Ma torniamo all'odio. Perché non ragionarci sopra? Possibile che non ci siano errori, che siamo (che gli americani siano) infallibili? E' credibile considerarci (-li) solo vittime? Provo disgusto, estetico ed etico (le cose sono legate), nel vedere che qualcuno festeggia la morte di qualcun altro. Specie se quel qualcun altro non è un orrendo dittatore ma inermi vittime civili, che non hanno responsabilità della politica americana nel mondo. Ma davvero siamo tutti irresponsabili? Possibile che nessuno si domandi le ragioni di questo odio? Possibile che la reazione a cui pensiamo sia solo la prova di forza? Davvero siamo ancora così primitivi? Gli Usa non hanno nulla da rimproverarsi? L'arroganza, che ha nome protocolli di Kyoto, denuncia del trattato sulle armi chimiche o sulle mine, Palestina, conferenza di Durban, scudo spaziale, Echelon, segnali a tutto campo che si vuole fare da soli e che ci se ne frega delle conseguenze e dell'opinione altrui, e chi più ne ha più ne metta, non c'entrano nulla? Certo, non giustificano quello che è successo, ci mancherebbe - ma davvero non spiegano nulla? E gli amici dell'America non hanno nulla da rimproverarsi? Gli amici sono tali quando spiegano ai loro amici quando sbagliano. Chi di noi l'ha fatto? Non voglio fare della rozza politica interna in questo momento: non ne vale la pena. Lo prendo dunque come un esempio di un modo più generale di ragionare, che coinvolge maggioranza e opposizione. Un presidente del consiglio, come il nostro, che nel suo primo incontro con gli Stati Uniti, nella persona del loro presidente, dichiara "io sto con l'America prima ancora di sapere dove sta l'America", che cosa ci dice? A parte il gusto della spiritosaggine che può perdere chiunque ("per la battuta mi farei spellare", cantava anni fa Guccini - ma non è sempre un pregio), e l'avvilente servilismo che dimostra, che risultati ottiene questa politica? Davvero serviamo gli interessi dell'America? E quelli del mondo? E, incidentalmente, i nostri?

Punto quattro. Non è una considerazione cinica; al contrario, chiedo scusa della parola desueta, è amorevole. Gli Stati Uniti, per la prima volta da molto tempo, hanno assaggiato l'acre sapore della guerra sul loro territorio. Uomini e donne sono morti, mutilati, feriti, i loro cari li piangeranno. L'eterna tragedia della guerra e del sangue, "quell'antica festa crudele" di cui ha parlato un nostro storico, ha brutalmente svegliato gli Usa in una mattina che avrebbe dovuto essere, come tutte le altre, di pace. Ho una speranza. Che - forse non subito, ma domani, passata l'emozione - qualcuno, negli Stati Uniti stessi, si interroghi, su questo sapore. Un paese che l'ha portata spesso altrove; un paese che - va detto, non si può dimenticare - ha generosamente pagato il prezzo di guerre altrui (si pensi alla seconda guerra mondiale); un paese che ha sparato facilmente - però altrove - oggi scopre, riscopre, quale terribile costo questo comporti, in particolare per chi non c'entra: i civili, ancora una volta. Qualcuno, in questo grande paese, rifletterà su che cos'è la guerra, sui costi che implica, sulle ingiustizie che comporta? Non c'è come subire una terribile ingiustizia per comprendere quanto sia terribile l'ingiustizia, e per sentirsi solidali con altri che subiscono ingiustizie, magari per mano nostra. Qualcuno ci rifletterà? Ci spero, lo credo.

Punto cinque. Accendo una radio a caso. Ascolto la seguente notizia: su un treno, negli Usa, sono stati arrestati tre individui "con il tipico vestito da terrorista islamico: barba lunga, turbante, tunica". Che Allah ce la mandi buona.

Stefano Allievi

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