Non sono un esperto di questioni internazionali.
Non sono un esperto di terrorismo. Non ho contatti con l'intelligence.
In breve, non ho alcun titolo per parlare di questo argomento con qualche
originalità. L'unico, minuscolo titolo che posso vantare, è che per mestiere
mi occupo di islam, o meglio di musulmani: ma di quelli che stanno in
Europa, soprattutto. E quelli che conosco io non mettono bombe. Insomma,
non so niente, nello specifico. Parlo, quindi, da semplice cittadino.
Ignorante per definizione. Ho saputo di quello che è successo da una giornalista
di Blusat 2000, una emittente cattolica che occasionalmente mi usa come
commentatore sull'islam, che mi chiedeva un parere sugli attentatori suicidi
e i kamikaze. Si sapeva poco, ancora; ma ho dato diligentemente il mio
generico parere sul ruolo del suicidio volontario nelle culture non occidentali.
Non prima di aver specificato che, per l'ora dell'attentato, avevo un
alibi. E da quel momento ho acceso la CNN. Sono stato poi contattato da
qualche altro giornalista: Rai 3, per esempio, mi ha interrotto giusto
quando mi interrogavo sul perché dell'odio nei confronti degli Stati Uniti,
e le sue ragioni. Non mi sento censurato, ovviamente: sarebbe ridicolo.
Ma ho scelto di non lasciarmi dire la mia opinione da altri. Per cui ieri,
12 settembre, primo giorno del dopo-World Trade Center, ho deciso di non
comprare e non leggere i giornali, non guardare la tv, e non ascoltare
la radio, per lasciare sedimentare dentro di me le reazioni che la notizia
e le prime immagini mi hanno suscitato. Non sono cambiate, rispetto alle
prime, istintive.
Punto uno. Ovvio, l'attentato è agghiacciante.
E spettacolare. Provo orrore, come la maggior parte (non come tutti: questa
è retorica, che lascio ai professionisti del settore, giornalisti e politici
in primo luogo). Mi disgusta che muoiano dei civili. Mi ripugna che muoiano
uomini e donne ingiustamente, in generale. E' orribile. E' ingiusto. Ma
per carattere sono abituato a trarre dal peggio, e anche dalle ingiustizie,
degli insegnamenti (è l'unico modo con cui riesco ad accettare il peggio,
e le ingiustizie, quando fanno irruzione nella mia vita). E allora ci
provo. Che cosa possiamo imparare da questo attentato?
Che gli Stati Uniti hanno molti nemici, in primo luogo. Uno è Bin Laden.
Molti altri stanno altrove, Stati Uniti inclusi (Oklahoma City, Atlanta,
Waco, tanto per dire). Stavolta sono stati bravi, dal loro punto di vista:
hanno colpito al cuore - il World Trade Center, il Pentagono, per poco
forse anche il Presidente (una lunga tradizione, tutta interna, in Usa).
Niente da dire: professionisti. Ma professionisti con un credo. Con qualche
amico avevo provato a stilare un elenco di questi nemici. Tra quelli che
avrebbero la capacità logistica, tanto per dire, avremmo potuto metterci
il narcotraffico. Ma nemici lo sono fino a un certo punto (talvolta sono
persino complici). Hanno la capacità, i soldi, i piloti. Ma il movente
non c'è (per quanto ci possa essere un movente razionalmente comprensibile
e spiegabile in fatti di questo genere - la storia delle bombe nostrane
insegna). E soprattutto, non hanno niente in cui credere, a parte i soldi.
E per soldi non si fanno attacchi suicidi. Dunque c'è di mezzo l'odio,
e l'odio è in sé qualcosa che meriterebbe una spiegazione, se non ci si
vuole accontentare del "molti nemici, molto onore" (uno slogan fascista,
incidentalmente, non democratico). Il gioco potrebbe continuare, ma lo
lascio qui. Voglio tornare agli insegnamenti.
Punto due. La rappresaglia. Sono sconcertato,
lo ammetto. Ammetto la mia ingenuità nel rimanere sorpreso dalla facilità,
dalla leggerezza, dal cinismo con cui giornalisti e commentatori ripetono
che gli Stati Uniti ovviamente dovranno procedere a una rappresaglia,
e in fretta: non per colpire chi li ha colpiti, ma per ribadire il loro
ruolo di superpotenza. Cosa temo? Temo una rappresaglia stupida, indiscriminata,
cinica appunto: una rappresaglia purchessia. Una rappresaglia tanto per
colpire. Poiché, come ovvio, gli Stati Uniti, quando colpiranno, colpiranno
insieme agli alleati (la Nato ha detto che considererà l'attacco subito
dagli Usa come rivolto contro se stessa), e se colpiranno male (magari
bombardando una fabbrica di medicinali spacciandola per una fabbrica di
ordigni chimici, come già successo) l'odio dei non occidentali aumenterà.
E coinvolgerà l'intero occidente. Temo - poiché di questo mi occupo -
che, al di là della risposta politica e militare, ci sarà quella sociale.
Quale l'opinione sull'islam, che già non gode di buona stampa? Quanti
coloro che si sentiranno in diritto di bruciare una moschea qui, di non
concedere un visto a un cittadino arabo là, di fermarlo o controllarlo
(o arrestarlo) dieci volte di più di un altro straniero, che già è controllato
mille volte di più di un occidentale? Quante ingiustizie si faranno? Quante
mancate parità di trattamento scopriremo?
Punto tre. Ma torniamo all'odio. Perché
non ragionarci sopra? Possibile che non ci siano errori, che siamo (che
gli americani siano) infallibili? E' credibile considerarci (-li) solo
vittime? Provo disgusto, estetico ed etico (le cose sono legate), nel
vedere che qualcuno festeggia la morte di qualcun altro. Specie se quel
qualcun altro non è un orrendo dittatore ma inermi vittime civili, che
non hanno responsabilità della politica americana nel mondo. Ma davvero
siamo tutti irresponsabili? Possibile che nessuno si domandi le ragioni
di questo odio? Possibile che la reazione a cui pensiamo sia solo la prova
di forza? Davvero siamo ancora così primitivi? Gli Usa non hanno nulla
da rimproverarsi? L'arroganza, che ha nome protocolli di Kyoto, denuncia
del trattato sulle armi chimiche o sulle mine, Palestina, conferenza di
Durban, scudo spaziale, Echelon, segnali a tutto campo che si vuole fare
da soli e che ci se ne frega delle conseguenze e dell'opinione altrui,
e chi più ne ha più ne metta, non c'entrano nulla? Certo, non giustificano
quello che è successo, ci mancherebbe - ma davvero non spiegano nulla?
E gli amici dell'America non hanno nulla da rimproverarsi? Gli amici sono
tali quando spiegano ai loro amici quando sbagliano. Chi di noi l'ha fatto?
Non voglio fare della rozza politica interna in questo momento: non ne
vale la pena. Lo prendo dunque come un esempio di un modo più generale
di ragionare, che coinvolge maggioranza e opposizione. Un presidente del
consiglio, come il nostro, che nel suo primo incontro con gli Stati Uniti,
nella persona del loro presidente, dichiara "io sto con l'America prima
ancora di sapere dove sta l'America", che cosa ci dice? A parte il gusto
della spiritosaggine che può perdere chiunque ("per la battuta mi farei
spellare", cantava anni fa Guccini - ma non è sempre un pregio), e l'avvilente
servilismo che dimostra, che risultati ottiene questa politica? Davvero
serviamo gli interessi dell'America? E quelli del mondo? E, incidentalmente,
i nostri?
Punto quattro. Non è una considerazione
cinica; al contrario, chiedo scusa della parola desueta, è amorevole.
Gli Stati Uniti, per la prima volta da molto tempo, hanno assaggiato l'acre
sapore della guerra sul loro territorio. Uomini e donne sono morti, mutilati,
feriti, i loro cari li piangeranno. L'eterna tragedia della guerra e del
sangue, "quell'antica festa crudele" di cui ha parlato un nostro storico,
ha brutalmente svegliato gli Usa in una mattina che avrebbe dovuto essere,
come tutte le altre, di pace. Ho una speranza. Che - forse non subito,
ma domani, passata l'emozione - qualcuno, negli Stati Uniti stessi, si
interroghi, su questo sapore. Un paese che l'ha portata spesso altrove;
un paese che - va detto, non si può dimenticare - ha generosamente pagato
il prezzo di guerre altrui (si pensi alla seconda guerra mondiale); un
paese che ha sparato facilmente - però altrove - oggi scopre, riscopre,
quale terribile costo questo comporti, in particolare per chi non c'entra:
i civili, ancora una volta. Qualcuno, in questo grande paese, rifletterà
su che cos'è la guerra, sui costi che implica, sulle ingiustizie che comporta?
Non c'è come subire una terribile ingiustizia per comprendere quanto sia
terribile l'ingiustizia, e per sentirsi solidali con altri che subiscono
ingiustizie, magari per mano nostra. Qualcuno ci rifletterà? Ci spero,
lo credo.
Punto cinque. Accendo una radio a caso.
Ascolto la seguente notizia: su un treno, negli Usa, sono stati arrestati
tre individui "con il tipico vestito da terrorista islamico: barba lunga,
turbante, tunica". Che Allah ce la mandi buona.
Stefano Allievi
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