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Lo sguardo
sul conflitto asiatico
di Franco Cardini *
Consentite (come ama dire
«Lui») un'impudente provocazione. Dichiaro formalmente di non potermi
dire d'accordo con la maggioranza di voialtri lettori e di tutto il mio
paese: in quanto sono solo - abbiate compassione di me - un razzista tiepido
e moderato. Dico la verità: arrivo a non esser nemmeno troppo convinto
che il razzismo sia una buona cosa.
Lo so. Molti di voi amano ormai parlare
di «superiorità dell'Occidente» e plaudono ai sentimenti di rabbia e di
orgoglio con cui una giornalista italiana trapiantata negli States bolla
come «codardi, sciocchi e masochisti» tutti quelli che magari credono
alla teoria di Samuel Huntington sullo «scontro fra due culture», accettando
in tal modo implicitamente che quella musulmana possa definirsi una cultura.
Che vi devo dire? Ho sempre invidiato le persone di forti, chiari e saldi
convincimenti. Io sono uno sempre pieno di dubbi: che anche quando prende
posizioni dure (e mi è accaduto spesso: e me l'hanno rimproverato, mi
hanno anche dato del fazioso e dell'estremista) non riesce a non chiedersi
se per caso non hanno ragione i suoi avversari. Vi invidio il vostro razzismo
radicale: ma non ce la faccio a seguirvi.
Per esempio, anch'io sono stato atterrito
e commosso dall'orrore dell'11 settembre. Ma ormai da cinque mesi stiamo
elaborando il lutto per quelle (12.000?, 6.000?, 3.000? Non ci hanno mai
detto neppure quante siano con precisione...) povere vittime, ed è giusto:
non bastano le lacrime di tutte le genti del mondo per lavare il sangue
di un solo innocente, figuratevi di qualche migliaio. Ma nessuno - né
la Casa Bianca, né il Pentagono, né la Cia, né l'Fbi, né l'Onu, né la
Nato, né la Cnn, né la Bbc, e potrei riempire paginate di sigle... - si
è degnata di farmi sapere quanti sono stati i morti innocenti seminati
in Afghanistan dalla rappresaglia statunitense, dai collateral damages,
dagli errori delle «bombe intelligenti» e da tutto il resto. Ecco, signori:
non sono - perdonatemi - ancora tanto razzista dal ritenere che alcune
migliaia di vite americane valgano incommensurabilmente e alcune migliaia
di vite afghane (per tacer degli altri: ad esempio gli irakeni che muoiono
ancora, da dieci anni, per colpa dell'inutile embargo) non valgano nulla.
Nemmeno Hitler ha mai urlato nei suoi microfoni un'infamia così enorme
come quella che stiamo affermando noi, col nostro complice silenzio.
C'è stata una guerra, si è detto: avremo
pure il diritto di esercitare la nostra legittima difesa contro il terrorismo,
no? Senza dubbio: ma guerra contro chi? Con quali scopi? I personaggi
additati come i principali e diretti responsabili dell'attentato dell'11
settembre, Usama Bin Laden e il mullah Omar, sono scomparsi nel nulla:
ma ora i Signori della Guerra Atlantica ci dicono che, in verità, non
era certo l'assicurarli alla giustizia lo scopo primario della guerra.
E allora perché, all'inizio del dicembre scorso, hanno perfino messo in
circolazione il pietoso falso della videocassetta che «dimostrava definitivamente»
che Usama era il responsabile dell'attentato (perché prove definitive
non è stato ancora capace di darcene nessuno) e per qualche giorno hanno
difeso quel falso documento al punto che il presidente Bush ha minacciato
la scomunica politica contro chi ne avesse dubitato, salvo poi far grottescamente
scomparire tutto nel nulla? Ci dicono che la rete di al-Queida sia smantellata:
ma chiunque di noi, se fosse parte di un'organizzazione terrorista, starebbe
fermo e zitto ora che tutto il mondo è allertato. Intanto, l'allarme sta
cominciando a calare; si ricomincia a pensare ad altro. Dio non voglia
che qualche brutto risveglio, uno dei prossimi mesi, non c'informi che
la rete di al-Queida è viva e vegeta, o ch'è stata egregiamente ricostituita.
C'è stata una guerra, e guai a chi
ha sommessamente proposto di chiamarla altrimenti. Ma alcune centinaia
di prigionieri, in seguito a quella guerra, sono stati deportati nella
base di Guantanamo: e si è negato all'opinione pubblica mondiale il diritto
a qualunque controllo in merito, perfino a qualunque informazione. Si
è parlato di trattamento disumano: ma le autorità statunitensi hanno risposto
di non considerare «prigionieri di guerra» quegli uomini, pur catturati
durante una campagna che in dispregio di tutte le norme del diritto internazionale
e delle convenzioni dell'Onu (ad esempio il giudizio del Consiglio di
Sicurezza, del quale gli Usa hanno ostentatamente fatto a meno) è stata
definita «guerra». Insomma: guerra sì, ma come, quando, nella misura in
cui fa comodo a loro.
Una guerra esterna per appoggiare una
ripresa della guerra civile afghana, con un bel rovesciamento di alleanze:
e dove ci si fa credere che gli afghani siano tutti lieti e onorati per
il massacro del loro paese; e dove le proteste del nuovo governo vengono
sistematicamente ignorate dai mass-media. Una guerra contro terroristi,
ma anche contro ex-alleati: perché fino dal 1996 i taliban avevano assunto
il potere in Afghanistan grazie all'appoggio del Pakistan e dell'Arabia
Saudita, alleati degli Usa, e del governo americano stesso; che ci faceva
affari, che ci trattava questioni petrolifere, che invitava oltreoceano
alcuni loro rappresentanti. La signora Bush ha incantato le altre signore
americane informandole indignata circa il pessimo modo talibano di trattar
le donne: avrebbe potuto utilmente protestare almeno da cinque anni, perché
dalle parti della famiglia di petrolieri nella quale essa è inserita certe
cose ben si sapevano.
Ora, il governo statunitense minaccia
di condannare all'ergastolo il taliban John Walker, accusato del ridicolo
reato di complotto teso a sopprimere soldati statunitensi: ma lo Walker,
ch'è partito per unirsi ai taliban qualche anno fa quand'essi erano alleati
degli Usa, compì allora anche un gesto obiettivamente patriottico. Gli
si vuol ora comminare l'ergastolo per aver fatto, da solo, una scelta
identica a quella che a suo tempo avevano fatto il governo e i petrolieri
del suo paese.
A questo bel gioco, noialtri italiani
stiamo offrendo un fedele contributo. Siamo notoriamente fedeli ai Potenti
Alleati, noialtri. Fulgide pagine di storia patria, dal 1915 al 1943,
sono lì a dimostrarlo. Pare che la campagna afghana ci costi 80 miliardi
al mese, un migliaio di miliardi all'anno. È lì che stanno finendo i soldi
che risparmiamo sui «tagli»? È per le nostre glorie guerriere che stiamo
smantellando lo stato sociale, che notoriamente ci costa troppo?
Ma si risponderà ch'è anche questione
di business. Ora che la guerra sta finendo (anche se non ci dicono nulla
al riguardo) e che grazie ai bombardamenti gli arsenali si sono svuotati
- e bisognerà riempirli: nuova produzione, nuovi posti di lavoro, allegria
gente... - si avvierà anche il discorso della ricostruzione del paese.
Dopo la Libertà Infinita, avremo la Pacchia Infinita degli oleodotti,
dei metanodotti, delle commesse internazionali: la nostra Eni è già in
campana da tempo. Perché il Padrone ha deciso di cambiar cavallo: di mollare
l'ingombrante, insicuro, ambiguo e traballante alleato saudita e di prender
le distanze dai giacimenti petroliferi del Golfo Persico volgendosi ad
altre risorse, ad esempio quelle immense e semi-intatte dell'Asia centrale:
e per questo ci vogliono alleati nuovi, i russi e i cinesi, e l'ottocentesco
Great Game riprende sotto altra forma. Una sfida epocale nuova, affascinante.
Ditemi che è per questo che si è fatto la guerra: altro che legittima
difesa, altro che giustizia...
E poi - lo hanno dichiarato alto, certi
partiti di governo da sempre sensibili sul tasto della dignità nazionale
- era anche una questione di tener alta la nostra bandiera, mica solo
d'interessi e di sicurezza. Li prendo in parola, questi difensori dell'onore
del Paese. Concordo profondamente con tali principi. E aspetto con ansia
di apprezzare la forza delle loro vibrate proteste, in parlamento e sulle
piazze, alla notizia di qualche giorno fa: che il pilota statunitense
responsabile della strage del Cermis (quella i cui colpevoli sono stati
ritenuti innocenti da un tribunale americano statunitense: uno schiaffo
in piena faccia agli italiani) è stato di recente premiato per il suo
eroico comportamento sui cieli dell'Irak.
Siamo dinanzi a una guerra dimenticata:
e non ce ne accorgiamo neppure. Siamo dinanzi all'ennesimo conflitto originato
dalla schizofrenia dell'Occidente egemonizzato dagli Usa, che predica
di Diritti dell'Uomo e semina solo Volontà di Potenza. Fanno la guerra
anche con i nostri ragazzi e con i nostri soldi e nemmeno si degnano di
ammetterci a uno straccio di fantomatico Consiglio di Guerra: nossignori,
è solo il Grande Sceriffo che può decidere se, dove e quando estendere
il conflitto (Somalia? Filippine? Iran?), e non si cura né dei malumori
interni - zittiti dal Patriotic Act, autentica legge liberticida - né
di quelli della stessa Nato. Una guerra in cui la potenza egemone non
accetta neppur formalmente il contributo del consiglio degli alleati.
Nemmeno Hitler ci aveva mai trattato con tanta superbia: lui, i generali
italiani li faceva sedere al tavolo e fingeva di ascoltarli.
Siete contenti di tutto questo? Buon
pro vi faccia. E vi meravigliate se la crisi israeliano-palestinese si
aggrava e se la tensione internazionale minaccia di appesantirsi? Tanto,
la risposta è pronta: l'altro ieri, il mondo era in pericolo a causa della
follia nazista; ieri, per colpa della tirannide comunista; oggi, per via
del fanatismo islamico. C'è sempre un nemico esterno, c'è sempre un colpevole
cui addossare la responsabilità delle cose che non vanno: e se il mondo
è dominato dall'ingiustizia, se il pianeta muore assassinato dall'inquinamento,
se i bambini africani e latino-americani muoiono di fame, la colpa sarà
certo di qualcuno: non già comunque nostra, noi siamo tutti così civili
e democratici. Quando ragiona così un individuo, rifiutando ogni responsabilità
e addossandole agli altri, lo si definisce un paranoico; quando lo fa
una civiltà intera, la si definisce «superiore». Poi dice che uno si butta
a sinistra, diceva il principe De Curtis. Già: peccato che la sinistra
non ci sia più.
Have a good new millennium, Occidente.
Con tanto Mac Donald's, tanta Coca Cola, tanto star system, tanto Nike,
tanto Adidas, tanta speculazione in borsa. Goditi la superiorità della
tua cultura. Io, cristianuccio vigliacco e razzista tiepido, ti e mi auguro
solo che non ti càpiti mai quello che meriti.
Franco Cardini
Pubblica in "La
gazzetta del Mezzogiorno, del 13.2.2002
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Il Prof. Franco Cardini, docente di Storia medievale
presso le Università di Firenze e San Marino, è il presidente di IDENTITA’
EUROPEA (www.identitaeuropea.org),
un’Associazione Culturale Internazionale che si propone di favorire la
conoscenza delle radici storiche, culturali e spirituali dell’Europa.
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