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MONDO ARABO,
"QUESTO SCONOSCIUTO"
di Enrico Galoppini *
Percezione ardua
Raccogliendo il cortese invito del direttore della "Gazzetta di Sondrio"
a scrivere un articolo sull’annosa questione della nostra lacunosa conoscenza
del mondo arabo, non faccio mistero di aver avvertito una certa preoccupazione,
dopo tutto quel che è stato detto e mandato in stampa dopo il fatidico
11 settembre.
Preoccupazione di scrivere banalità, perché passata la buriana degli attacchi
all’arma bianca di coloro che avrebbero voluto veder "ristabiliti i diritti
della Civiltà", quali che fossero gli obiettivi da castigare (per non
parlare dei metodi), si è pian piano tornati a ragionare, ma vergare una
serie di considerazioni non di maniera, e che non tributino il consueto
ossequio a quel bon ton rassicurante che caratterizza la maggior
parte degli interventi sul tema della nostra percezione del mondo arabo,
resta ancora impresa assai ardua.
I limiti dell’orientalismo e … dei lettori
L’Europa ha sviluppato un’apposita branca del sapere per venirne a capo,
l’orientalismo. Sviluppatosi e giunto all’apice delle sue fortune quando
il mondo arabo era controllato più o meno direttamente sotto forma di
colonie, protettorati, mandati. La ragion d’essere dell’orientalismo non
va perciò disgiunta da obiettivi pratici, in primis quello di fornire
un’immagine rassicurante e controllabile dell’Oriente, ma nella sua fortuna
come genere va rintracciata anche un sincera e naturale curiosità verso
un mondo diverso e perciò attraente.
E anche oggi gli scritti degli esperti sono l’obbligato viatico per la
maggior parte di coloro che intendono farsi un’idea sul mondo arabo. Da
questo punto di vista ce n’è per tutti i gusti: nella produzione degli
arabisti sono individuabili infatti differenti impostazioni, che spaziano
dall’appello a far quadrato contro un imminente invasione di sempiterni
"saraceni" alla melensaggine di coloro che si ostinano a vedere il mondo
come un immenso "villaggio globale", dove le specificità culturali si
stempererebbero in nome di un’illusoria "religione dell’umanità". In mezzo
stanno gli approcci più credibili, pur tuttavia inevitabilmente condizionati
dalle preferenze e dalle personali idiosincrasie dei singoli studiosi.
Ciò è del tutto normale, dato che quot homines, tot sententiae.
Ma il problema è che nel 99% dei casi, per un’inveterata abitudine a circondarci
di immagini consolatorie e fortificanti, finiamo per abbeverarci a quelle
fonti che intuiamo o, peggio, sappiamo già corrispondere alle nostre personalissime
preferenze e idiosincrasie. Il risultato è dunque che - come per tutto
il resto - si ingenera un perverso circolo vizioso per cui si leggono
solo coloro che del mondo arabo ci danno un’immagine che non urti le nostre
sensibilità. Tanto per non restare nel generico, diciamo che se arabi
e musulmani ci preoccupano seriamente corriamo in libreria a procurarci
l’ultimo pamphlet in "stile Lepanto", mentre se con l’immigrazione
di arabi di religione islamica nutriamo la neanche troppo recondita speranza
che essa stemperi la supremazia del cattolicesimo, ci tufferemo nelle
pagine del sociologo "progressista" di turno.
Invece, per non far torto a nessuno, e perché è bene sentire davvero tutte
le campane (soprattutto quando si tratta di " farci un’idea "), proporrei
a chi non ha la possibilità di recarsi in loco e di acquisire elementi
di prima mano, di leggere autori quanto più disparati per orientamento
e sensibilità, anche se a pelle possono risultarci antipatici.
Semplificazioni e "spauracchio islamico"
Tuttavia, quella che dovrebbe costituire un’aurea regola pare esser ignorata
soprattutto da quegli ambienti che si sono presi l’incarico di agitare
lo "spauracchio islamico": per essi gli arabi, per lo più musulmani, "sono
essenzialmente fanatici e massacrano i cristiani". Deroghe e sfumature
a quest’assioma non sono ammesse.
La condizione dei cristiani in ambiente a maggioranza islamica varia naturalmente
da paese a paese, se non da zona a zona di uno stesso Stato. E non è una
gran prova di abilità dialettica opporre obiezioni estrapolando un lotto
di cosiddetti "Paesi musulmani estremisti", ciò rivelandosi un mero artificio
retorico che come un boomerang potrebbe essere rispedito al mittente:
c’è qualcuno che può sensatamente sostenere che il Paese in cui i più
osservano i precetti della Quaresima sia un "Paese cristiano estremista"?
Una certa responsabilità nella genesi di questo tipo di semplificazioni
va a mio avviso attribuita all’impostazione prevalente negli studi specialistici
di cui sopra. Procedendo per grandi categorie, essi hanno creato la figura
di un cosiddetto "musulmano", uguale dal Marocco al Borneo, immerso in
un universo tolkienianamente plasmato dal Corano. Si è formata
quindi l’idea che non esistano persone uniche, originali, irripetibili:
vi sarebbe solo una "Grande Madre dell’Islam" che - dati demografici alla
mano - genera "musulmani" archetipici che presto o tardi ci sottometteranno.
Con questo non vogliamo dire che tra le popolazioni che nell’Islam si
identificano non siano rintracciabili dei tratti comuni e, in una certa
misura, unificanti (ma gli arabi non sono tutti musulmani, e gli arabi
musulmani sono una minoranza all’interno della cosiddetta umma - comunità
dei credenti - islamica). Ma per problematizzare, preferisco ricorrere
all’esperienza personale, impareggiabile maestra, e far parlare situazioni
reali e persone in carne ed ossa incontrate in un paese arabo, la Giordania.
Esperienze vs generalizzazioni
Per onestà intellettuale dico subito che al momento non sono un cristiano
osservante, e che a mio avviso per essere "buoni cristiani" non ci si
può arrampicare sugli specchi argomentando che ciascuno fa il cristiano
a modo suo. Ci si regoli come si vuole, ma chiamiamo le cose col loro
nome.
Dunque in Giordania il Natale non solo non viene osteggiato poiché laggiù
vive una rilevante comunità cristiana (che vede cattolici, evangelici,
ortodossi, copti), ma addirittura - in ossequio ad una moda prettamente
consumistica - incoraggiato negli ambienti di quella che potrebbe essere
definita "borghesia emancipata". Si vedono così MacDonald's ed altri luoghi
dove si veicola la cultura che "emancipa", appunto, belli addobbati a
festa, compresi i Babbi Natale alle pareti. E aggiungiamo che queste cose
accadono persino nei pressi della moschea dell'Università. I giordani
musulmani che stanno al gioco sono naturalmente quelli che già hanno rescisso
alcuni legami con le loro tradizioni religiose: non assolvono l'orazione
e osservano il digiuno di Ramadan a volte sì a volte no.
Vi sono tuttavia anche dei musulmani osservanti che non hanno niente da
ridire riguardo a questa ostentazione di simboli natalizi che sinceramente
ha lasciato perplesso anche me, perché vi ho ritrovato gli aspetti peggiori
di un certo nostro clima natalizio, che a tutto ormai invoglia tranne
che alla riflessione e al raccoglimento in se stessi. Altri musulmani
si sorprendono che la religione cristiana si presti a delle commistioni
così pesanti con faccende che di religioso hanno ben poco. E poi ci meravigliamo
dell'Islam che "non distingue il foro interno dall'ambito pubblico"...
Nel residence per studenti in cui alloggiavo ad Amman, abitavano
anche due fratelli cristiani di Nazareth. Le due famiglie che lo gestiscono
sono composte da musulmani osservanti (uno dei capofamiglia ha compiuto
il pellegrinaggio alla Mecca un’infinità di volte), il che non significa
"fanatici", come purtroppo qualcuno vorrebbe insinuare: sono ligi alle
prescrizioni della loro religione, punto e basta, e di gente così tra
gli arabi musulmani ce n'è fortunatamente ancora parecchia. Diciamo "fortunatamente"
perché abbiamo operato il confronto con vari "emancipati", e va detto
che quanto ad affidabilità e serietà negli impegni presi si nota la differenza,
anche se è ovvio che si trovano ottime persone anche tra i "fedeli tiepidi".
Siamo dinanzi a una guerra dimenticata: e non ce ne accorgiamo neppure.
Siamo dinanzi all'ennesimo conflitto originato dalla schizofrenia dell'Occidente
egemonizzato dagli Usa, che predica di Diritti dell'Uomo e semina solo
Volontà di Potenza. Fanno la guerra anche con i nostri ragazzi e con i
nostri soldi e nemmeno si degnano di ammetterci a uno straccio di fantomatico
Consiglio di Guerra: nossignori, è solo il Grande Sceriffo che può decidere
se, dove e quando estendere il conflitto (Somalia? Filippine? Iran?),
e non si cura né dei malumori interni - zittiti dal Patriotic Act, autentica
legge liberticida - né di quelli della stessa Nato. Una guerra in cui
la potenza egemone non accetta neppur formalmente il contributo del consiglio
degli alleati. Nemmeno Hitler ci aveva mai trattato con tanta superbia:
lui, i generali italiani li faceva sedere al tavolo e fingeva di ascoltarli.
Ma vediamo il loro atteggiamento verso i due fratelli cristiani di Nazareth.
I proprietari musulmani del residence li portavano come esempio
da seguire, al confronto con diversi musulmani "figli di papà", loro ospiti,
mandati lì a studiare dai Paesi del Golfo. Questi non solo si lasciavano
andare ad ogni sorta di amenità come se avessero "scoperto la vita", ma
davano inoltre parecchi pensieri ai suddetti proprietari quando si trattava
di saldare, ad esempio, il canone dell'affitto o il conto delle telefonate
che immancabilmente sostenevano di non aver fatto. Facevano dunque una
ben magra figura di fronte a dei correligionari, i quali preferivamo mille
volte i due fratelli cristiani.
Un giorno, uno dei proprietari mi chiese, sperando in una risposta affermativa,
se stessi osservando i precetti della Quaresima come i due di Nazareth,
ed io, un po’ imbarazzato perché avevo cominciato ad entrare nel loro
modo di vedere le cose - filtrato attraverso l’ottica religiosa -, dissi
la verità e risposi di no. In quel momento le mie quotazioni, poi ‘risollevatesi’,
ai suoi occhi erano cadute a picco come quelle del tipo di quella réclame
che le imbrocca tutte con la ragazza salvo poi sfoderare l’inelegante
"pedalino"!
E citiamo un altro episodio. Alcuni giorni prima del Natale del 1998,
assistetti ad una festa di tarânîm (canti) presso il teatro della
chiesa evangelica di Amman, dove mi regalarono una versione del Vangelo
in arabo e inglese. Lì non ho visto cristiani assediati da una folla musulmana
malintenzionata. Si potrebbe discutere sul fatto che la diffusione del
Protestantesimo può rappresentare una strategia da "cavallo di Troia"
attuata dagli Stati Uniti, ma questo ci condurrebbe troppo lontano. E,
specularmente, non è escluso che alcuni perseguano davvero, attraverso
la da‘wa (l’appello all’Islam a fini di proselitismo) finanziata
con i petrodollari, una strategia di islamizzazione dell'Europa. Nell’economia
del discorso che stiamo sviluppando però, l'importante è che nessuno stesse
minacciando quei cristiani arabi di alcunché. In una città in cui è normale
ascoltare le campane delle chiese copta e ortodossa e su, al Jebel
Luwaybdeh, anche quelle della chiesa cattolica.
Potrei continuare a raccontare alcune piccole esperienze personali, come
gli inviti a condividere l'iftâr (il pasto con cui ogni giorno
si "rompe il digiuno" di Ramadan) assieme a degli amici musulmani
arabi, malesi, turchi, malgrado non fossi affatto a digiuno dall’alba.
Personalmente, consiglio vivamente di accettare, qualora se ne presentassero,
inviti di questo tipo. Per una sorta di eterogenesi dei fini assolutamente
incomprensibile per chi vede le cose solo in un’ottica conflittuale, ho
ricavato da situazioni come questa anche motivi per interessarmi più di
quanto non avessi fatto prima ad alcuni aspetti del Cristianesimo.
Generalizzazioni e "scontro di civiltà"
In questi piccoli episodi, a mio avviso, sono racchiusi dei preziosi insegnamenti.
Essi dimostrano l’esatto contrario di quello che i cantori dello scontro
di civiltà salmodiano dalla mattina alla sera. Quei musulmani, con nomi,
volti, storie - non i "musulmani" degli orientalisti o di quelli che credono
di rendere un servizio alla nostra "civiltà" tacciando di "barbarie" gli
altri -, sarebbero stati ben felici di avere tra i loro ospiti un "buon
cristiano". Altro che intolleranza verso i cristiani. Se non si trova
il tempo di raccontare neppure una di queste brevi esperienze, come si
fa a discettare su come "i musulmani" ci vorrebbero sistemare? E bisogna
anche osservare che se non si hanno da raccontare episodi così semplici
eppure tanto densi di significato dopo anni che ci si occupa di arabi
e musulmani, forse con quelle realtà ci si è sempre posti male.
Dunque, attenzione alle generalizzazioni. Ma chi è senza peccato scagli
la prima pietra! Diverse volte mi è capitato di vedermi iscrivere d’ufficio
in qualche categoria bella e confezionata per la demonizzazione senz’appello.
Come dimenticare quello yemenita che mi catechizzava con fare arrogante
come se fossi un alieno, un essere perverso, esponente di un mondo di
dissoluti? Oppure quell’altro sbruffone, convinto che le donne in Europa
sono tutte delle poco di buono. Ad ogni modo non spetta a noi allestire
il corrispettivo del nostro orientalismo, l’"occidentalismo", né spetta
a noi fare vela per l’Oriente per imporvi un Corano glossato e sfrondato
ad usum delphini. Che ciascuno, se ne sente la necessità, lavi i suoi
"panni sporchi" a casa propria.
Potrei continuare a raccontare alcune piccole esperienze personali, come
gli inviti a condividere l'iftâr (il pasto con cui ogni giorno si "rompe
il digiuno" di Ramadan) assieme a degli amici musulmani arabi, malesi,
turchi, malgrado non fossi affatto a digiuno dall’alba. Personalmente,
consiglio vivamente di accettare, qualora se ne presentassero, inviti
di questo tipo. Per una sorta di eterogenesi dei fini assolutamente incomprensibile
per chi vede le cose solo in un’ottica conflittuale, ho ricavato da situazioni
come questa anche motivi per interessarmi più di quanto non avessi fatto
prima ad alcuni aspetti del Cristianesimo.
Generalizzazioni e "scontro di civiltà"
In questi piccoli episodi, a mio avviso, sono racchiusi dei preziosi insegnamenti.
Essi dimostrano l’esatto contrario di quello che i cantori dello scontro
di civiltà salmodiano dalla mattina alla sera. Quei musulmani, con nomi,
volti, storie - non i "musulmani" degli orientalisti o di quelli che credono
di rendere un servizio alla nostra "civiltà" tacciando di "barbarie" gli
altri -, sarebbero stati ben felici di avere tra i loro ospiti un "buon
cristiano". Altro che intolleranza verso i cristiani. Se non si trova
il tempo di raccontare neppure una di queste brevi esperienze, come si
fa a discettare su come "i musulmani" ci vorrebbero sistemare? E bisogna
anche osservare che se non si hanno da raccontare episodi così semplici
eppure tanto densi di significato dopo anni che ci si occupa di arabi
e musulmani, forse con quelle realtà ci si è sempre posti male.
Potrei continuare a raccontare alcune piccole esperienze personali, come
gli inviti a condividere l'iftâr (il pasto con cui ogni giorno si "rompe
il digiuno" di Ramadan) assieme a degli amici musulmani arabi, malesi,
turchi, malgrado non fossi affatto a digiuno dall’alba. Personalmente,
consiglio vivamente di accettare, qualora se ne presentassero, inviti
di questo tipo. Per una sorta di eterogenesi dei fini assolutamente incomprensibile
per chi vede le cose solo in un’ottica conflittuale, ho ricavato da situazioni
come questa anche motivi per interessarmi più di quanto non avessi fatto
prima ad alcuni aspetti del Cristianesimo.
Dunque, attenzione alle generalizzazioni. Ma chi è senza peccato scagli
la prima pietra! Diverse volte mi è capitato di vedermi iscrivere d’ufficio
in qualche categoria bella e confezionata per la demonizzazione senz’appello.
Come dimenticare quello yemenita che mi catechizzava con fare arrogante
come se fossi un alieno, un essere perverso, esponente di un mondo di
dissoluti? Oppure quell’altro sbruffone, convinto che le donne in Europa
sono tutte delle poco di buono. Ad ogni modo non spetta a noi allestire
il corrispettivo del nostro orientalismo, l’"occidentalismo", né spetta
a noi fare vela per l’Oriente per imporvi un Corano glossato e sfrondato
ad usum delphini. Che ciascuno, se ne sente la necessità, lavi
i suoi "panni sporchi" a casa propria.
Che fare?
Noi, nel nostro piccolo, possiamo intanto cominciare a porci delle banalissime
domande, che sono poi quelle che stanno alla base dell’idea di dar vita
a www.aljazira.it, un sito
internet che propone articoli tradotti dalla stampa araba.
1- Perché gli inviati in Medio
Oriente non conoscono l’arabo?
2- Perché non vengono acquistati, tradotti e trasmessi alcuni ottimi
reportage prodotti dalle migliori tv arabe?
3- Perché i canali destinati alla diffusione non stop di
musica non propongono anche della musica araba?
4- Perché veniamo edotti su tutte le mode e i pettegolezzi che
circolano a New York, Londra e Parigi e nessuno mai raccoglie analoghi
spunti dalla varia umanità che abita il mondo arabo?
5- Perché la lingua araba è esclusa dalle scuole superiori e anche
a livello universitario spesso la si insegna secondo schemi più adatti
a lingue morte e sepolte?
6- Perché si ascoltano lamentele sulla penuria, nei media,
di persone in grado di tradurre dall’arabo, mentre chi è davvero in grado
di farlo deve sudare le proverbiali sette camicie per trovare una porta
aperta?
Per non dilungarmi, azzardo un’ipotesi,
sulla scorta della situazione che mi trovo ad osservare, quella appunto
caratterizzata dalla mania di generalizzare. Forse, affrontare seriamente
i punti che ho elencato romperebbe l’incantesimo in cui ci troviamo, tutto
qui.
La mia speranza è così quella di aver
apportato alcuni elementi utili di riflessione e poche certezze, anche
se, non mi stancherò mai di ripeterlo, un conto è leggere un libro, i
vari rapporti sulla libertà religiosa nei Paesi a maggioranza islamica,
assistere ad un sia pur utile programma d’approfondimento, un altro andare
a verificare di persona e vivere qualche esperienza.
E siamo onesti, non tiriamo in ballo la "barbarie", il "Medioevo islamico",
le scuole coraniche, le donne oppresse, i bambini poveri, il business
della droga eccetera per giustificare delle guerre, legittime per carità
dal punto di vista di chi le conduce, ma che mai vengono intraprese per
risolvere delle questioni prese unicamente a pretesto per scatenarle.
Enrico Galoppini
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* Enrico
Galoppini, nato a Roma nel 1969, si è laureato in Storia Contemporanea
all’Università di Pisa e diplomato in lingua araba presso la University
of Jordan di Amman e l’Institut Bourguiba des langues vivantes di Tunisi.
Interprete e traduttore dall’arabo, nel 2001 ha lavorato ad un progetto
di catalogazione del patrimonio urbanistico e archeologico della Repubblica
dello Yemen. Particolarmente interessato agli aspetti religiosi e storici-politici
del mondo arabo-islamico, all'immaginario occidentale su arabi e musulmani,
ma anche all'attualità e a fenomeni di costume, collabora a "La Porta
d’Oriente", "Diorama Letterario", "Africana" e ad alcune riviste on line,
tra cui "Est-Ovest".
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