Orazione per gli incolpevoli

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Muoiono gli incolpevoli, quelli come noi, nel pezzo di mondo che sembrava il più sicuro.

Tanto sicuro che da quella porzione di pianeta scintillante di orgoglio – in realtà tanto piccola in confronto alla vastità del mondo – sono partite spedizioni militari volte a tutelare i nostri valori e i supremi interessi occidentali. La Libia, L’Iraq, e altri paesi straccioni, bombardati per ragioni non chiare a tutti ma perfettamente legittime per una certa informazione, per una certa politica e per il popolo dei sondaggi, sempre d’accordo quando si tratta di mostrare la forza in posti talmente lontani che non sappiamo bene neanche come collocarli su una carta geografica, e che di certo non possono mettere a repentaglio la nostra ricchezza, o il benessere pulito delle nostre case.

E invece ci sono arrivati addosso e hanno fatto una cosa eclatante, impensabile, che ci ha tenuti attaccati agli speciali televisivi, che ci ha fatto comperare il giornale tremanti di inquietudine per quella parola dal suono sinistro alla quale siamo disabituati: ”guerra”.

(benché ce ne siano tante, in quelle parti di mondo di cui ci frega poco o niente, che quei nostri valori e quella nostra civiltà faro e luce di benessere e prosperità, vede come poco importanti, quasi ineluttabili fatalità di popoli troppo brutti, e poveri e sporchi).

Il dramma è da noi, nella città simbolo, nel sacrario del danaro e degli affari. Vediamo quelle foto appese e ci fanno star male, sono considerati dispersi ma sappiamo che non è così. Sono gli incolpevoli e hanno facce di tanti tipi perché quel paese di sicuro è fatto di tante anime e di tante storie che vengono da lontano e le persone, se si adattano al sistema, sono ben accette qualsiasi sia la commedia o la tragedia che si portano dietro o dentro al cuore.

Muoiono e ci straziano perché li vediamo in diretta che cercano disperatamente di salvarsi sventolando fazzoletti bianchi alle finestre di una trappola di vetro e cemento, e poi quei grattacieli si frantumano, cascano per terra come succede al cinema in quei film ad effetto che piacciono tanto proprio perché fino ad ora erano talmente irreali da svuotare la mente e farci sentire rassicurati, all’uscita dal cinema, ritrovando con sollievo il colore delle cose, le strade, i negozi, la vita che scorre tranquilla.

Ma non è Indipendence day, è la realtà, anche se una realtà dilatata da un’informazione ossessiva che la storpia, la allarga, la rende incubo mentre ce la mostra da tutte le angolazioni.

Poi senti che dopo il conto dei dispersi ti parlano dei mercati e allora non capisci che cosa c’entra, quando dei passeggeri inconsapevoli sono stati usati come bersagli e mandati a morire da gente strana che non possiamo capire, che si prepara con meticolosa precisione per mesi o per anni a dare la vita senza un cedimento, senza un tentennamento per qualcosa che gli infilano in testa come grande e importante.

Forse ha ragione Susan Sontag quando dice che li puoi chiamare in qualsiasi modo ma di certo non sono vili. Sembra troppo bello per essere vero che il colpevole dell’orrenda strage sia l’arabo cattivo e ricchissimo, che parla con l’aria esaltata lanciando proclami da un punto imprecisato di un paese dove anni fa ha lottato a fianco degli agenti segreti americani per frenare quello che sembrava il pericolo più grande, il comunismo, ovvero il male. E allora ti viene spontaneo pensare che se esiste davvero il miliardario saudita, se non è una creazione su misura della nostra informazione e del nostro simbolico, come li ha fatti tutti quei miliardi, vendendo cosa e a chi, e che cosa gli ha dato la CIA quando sosteneva lui e quegli altri fanatici contro l’ex Urss, che cosa gli ha promesso e perché?

Francesca Mazzucato

Commento pubblica sul portale genovese mentelocale

 


Speciale strage americana.
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