Dopo il criminale e devastante attacco terroristico contro
gli Usa, diventa davvero difficile immaginare un percorso praticabile
che porti a una pace fra israeliani e palestinesi. Le due torri gemelle
di Manhattan sono crollate anche sopra questo interminabile (dura da 53
anni) e sanguinoso conflitto e peseranno sulla difficile ricerca di una
pace equa e durevole. Perciò è auspicabile che, al più presto, siano esattamente
individuate e colpite le responsabilità e che si riannodi il difficile
dialogo fra governo israeliano e autorità palestinese. Non serve altro
odio e altro sangue, già ne scorre abbastanza in Israele, in Palestina,
sopra i colli della vecchia e della nuova Gerusalemme. Città "santa" per
antonomasia per le tre principali religioni monoteiste, da cinquemila
anni causa e sede dei più atroci eccidi compiuti, sotto differenti stendardi,
in nome e per conto dello stesso Dio. In che cosa consista la "santità"
di questa città, davvero, non si capisce.
Mentre scorrevano le agghiaccianti immagini dei telegiornali,
ci è balenato alla mente uno straordinario evento storico, verificatosi
7 secoli addietro, che dimostra come, almeno quella volta, si "conquistò"
la pace fra cristiani e musulmani senza spargimento di una sola goccia
di sangue. E ci piace sottolineare come quell'evento vide, in qualche
modo, associati i nomi di Palermo e della Sicilia a quelli di Gerusalemme
e della Palestina. Ci riferiamo alla sesta Crociata, all'anomala e controversa
spedizione di Federico II, re di Sicilia e imperatore (scomunicato) del
Sacro Romano Impero, che il 7 settembre 1228 approdò a San Giovanni d'Acri,
sulla costa palestinese, a capo di una flotta e di un esercito interamente
raccolti nel regno di Sicilia, per strappare i luoghi santi da sotto il
dominio dei discendenti del "feroce" Saladino.
Sfidando le ire e le due scomuniche proclamate dal papa
Gregorio IX contro Federico, l'arcivescovo di Palermo, Berardo, volle
accompagnare l'imperatore nella sua ardita missione. In realtà, quella
di Federico non fu una vera crociata, ma un'operazione politica davvero
eccezionale, forse unica, per l'epoca e per le modalità con cui fu realizzata,
poiché fra il capo dell'armata cristiana e quello del soverchiante esercito
mussulmano si stabilì subito un'intesa mirante a risolvere la controversia
mediante un accordo onorevole.
L'imperatore, che più di tutti desiderava evitare lo scontro
militare, scrisse al sultano d'Egitto, Malik al Kamil, parole d'amicizia
e di stima e gli inviò suoi legati, con ricchi doni, a spiegargli le ragioni
della sua forzosa presenza in terra di Palestina. Il sultano gradì molto
l'amabilità del gesto di Federico, ricambiò con più magnificenza i doni
ricevuti e lo informò del fatto che anch'egli era costretto a difendere
Gerusalemme per evitare le ire dei suoi correligionari mussulmani.
Insomma, entrambi i sovrani erano stati costretti a una
prevedibile carneficina perché «Dio lo vuole», questo era lo slogan coniato
alla bisogna dal clero cristiano e dagli imam islamici che alimentava
il peggiore fanatismo religioso che trasformò entrambi i campi in una
massa d'invasati impazienti di andare allo scontro.
Nel campo crociato montava la protesta per l'atteggiamento
dilatorio dell'imperatore che non si decideva a dare battaglia; pur di
dimostrare la sua "doppiezza", i rappresentanti del Papa ordirono la congiura
dall'interno e tentarono perfino un'intesa col nemico musulmano il quale
sdegnosamente rifiutò la profferta, tanta era la stima che il sultano
nutriva per l'imperatore.
Federico, noncurante di quanto avveniva nel suo stesso
campo, s'intrattenne per cinque lunghi mesi in piacevoli trattative (con
al centro dotte discussioni di algebra e di geografia, di poesia e di
astrologia, di filosofia e di scienza veterinaria) col suo vecchio amico
Fahr El Din, ambasciatore del sultano, che aveva già conosciuto alla corte
di Foggia e fors'anche di Palermo.
L'11 febbraio 1229, finalmente i negoziati si conclusero
con un accordo soddisfacente per entrambe le parti: in cambio di un trattato
di alleanza, il sultano rimetteva all'imperatore Gerusalemme e gli altri
luoghi santi della cristianità, mentre ai mussulmani veniva garantito
il diritto del libero accesso alle moschee di Al Aqsa e di Omar. E fu
così che Federico entrò da "conquistatore" a Gerusalemme, di cui si autoproclamò
re, senza che una goccia di sangue fosse versata da ambo le parti.
In tutta la storia pentamillenaria di Gerusalemme fu forse
questa l'unica volta in cui una controversia politicoreligiosa fu risolta
in modo incruento, sulla base di un accordo di pace che assicurò un lungo
periodo di convivenza civile e religiosa alla Palestina e, in generale,
all'area mediterranea. «Questo particolare - spiega lo storico tedesco
Heberard Horst (autore di "Federico II di Svevia") - fa della crociata
di Federico la più singolare di tutte le crociate: un'impresa quasi incomprensibile
per la mentalità aggressiva, lineare, intransigente dei crociati occidentali...
Il comportamento dei due sovrani può essere compreso soltanto con la mentalità
araba, alla quale Federico era molto proclive sin dai tempi della sua
adolescenza palermitana».
È La Sicilia, che allora vide partire il suo illuminato
re per quella memorabile crociata, oggi vive con apprensione, data anche
la sua collocazione geostrategica nel Mediterraneo, la tragica evoluzione
degli eventi e, non essendoci un Federico in circolazione, si affida all'Europa
(l'unica entità politica che ancora lo può fare) affinché metta in atto
una decisa azione politicodiplomatica per una pace globale e giusta nella
regione e per porre fine a questo interminabile conflitto.
Commento. On. Agostino Spataro.
La Repubblica, Palermo, 16 settembre 2001
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