ROMA
Anche la Chiesa è stata ferita dagli
attentati di martedì scorso. Il Papa per primo ha espresso l’inappellabile
condanna della violenza terroristica, ha parlato di «giorno buio» per
l'umanità, allo stesso tempo però ha chiesto ai governi occidentali che
il desiderio di giustizia non si trasformi in vendetta, che la guerra
non dilaghi improvvisa fra le nazioni. Parole forti che hanno trovato
riscontro in molte prese di posizione di esponenti della Chiesa di Roma.
«È il momento della giustizia», afferma il card. Ersilio Tonini commentando
quanto sta avvenendo in queste ore. «La giustizia umana è doverosa e sacrosanta,
bisogna agire contro l'impunità, consentirla vuol dire incoraggiare la
violenza. Ma ci vuole una giusta misura. Un intero popolo non deve pagare
per un gruppo di delinquenti». Per questo il cardinale chiede una pausa
di riflessione e la ricerca attenta dei responsabili. In quanto alle voci
diffuse ieri di un coinvolgimento del Vaticano fra i possibili obiettivi
dei terroristi, per il card. Tonini si tratta di un’ipotesi poco probabile.
«Gli Usa sono stati colpiti sul piano politico – dice – non in quanto
paese cristiano. Colpendo gli Stati Uniti hanno voluto dire: siamo più
forti dell’America».
Eminenza, di fronte a fatti così gravi
come quelli dei giorni scorsi che hanno colpito e disorientato l'opinione
pubblica di tutto il mondo, come giudica la reazione della comunità internazionale?
«La nostra condanna deve essere totale, senza
ambiguità o incertezze, i "se" e i "ma" in questo momento sono pericolosi.
Uno dei segni più positivi di questo tempo è la grande commozione, la
solidarietà che spontaneamente è venuta agli Stati Uniti da ogni parte
del mondo; è questo un momento alto della modernità, un motivo di speranza
per il futuro».
Dal Papa - e più in generale da molti
uomini di Chiesa - insieme alla condanna della violenza terroristica e
alla solidarietà verso il popolo americano è venuto anche un appello a
non ricorrere alla vendetta. Qual è la strada da seguire per affermare
un principio di giustizia?
«Il dovere di fare giustizia è un dovere sacrosanto,
non è questo il momento del cosiddetto perdono perché un popolo ha diritto
anche alla giustizia. Ma è importante, come ha ricordato il Santo Padre,
che non si pensi a una vendetta colpendo nel mucchio. Le responsabilità
di un gruppo di delinquenti non vanno confuse con quelle di un popolo;
non bisogna dimenticare che le guerre avvengono fra popoli, cioè fra persone
che sono nostri simili, tutti appartenenti alla famiglia umana. Una pausa
di riflessione è dunque necessaria perché una reazione immediata può avere
conseguenze molto pericolose. Gli errori del passato non vanno ripetuti:
l'hitlerismo non nacque da una catena di ritorsioni che ebbero inizio
dal senso di rivalsa del popolo tedesco dopo i trattati di Versailles?
(quando la Germania firmò la resa al termine del primo conflitto mondiale
e fu costretta a riparazioni molto onerose,ndr)».
C'è un rischio concreto che in questo
clima si produca un conflitto generalizzato fra mondo occidentale e mondo
islamico? Quali distinzioni è necessario compiere su questo versante?
«L'aspetto religioso non può essere chiamato
in causa per questa vicenda. Politica e religione sono spesso la stessa
cosa nei paesi islamici, ma noi non dobbiamo ragionare nello stesso modo.
Il rischio è quello di pensare che tutto il mondo islamico sia fondamentalista,
che ogni arabo sia complice di quanto è avvenuto. In Europa - penso agli
immigrati delle nuove generazioni - nascerebbero delle contrapposizioni
terribili. Vorrei, a questo proposito, sottolineare un altro aspetto relativo
alle conseguenze di questa aggressione: quello del reclutamento. Il mondo
giovanile è sempre alla ricerca di una grande causa, per questo è ancor
più necessario non ricorrere a ritorsioni indiscriminate. Del resto non
c'è di meglio che vedersi perseguitati per unirsi ancora di più. Dunque
è necessario che anche i governi europei facciano attenzione a non lasciarsi
coinvolgere sul versante della contrapposizione religiosa».
Si è diffusa la voce che anche il Vaticano
possa essere fra gli obiettivi dei terroristi. Il card. Sodano ha detto«siamo
esposti come tutti». Secondo lei si tratta di un rischio reale?
«A me sembra che la dichiarazione del card. Sodano
è piuttosto rassicurante che allarmante, nel senso di dire che anche la
Chiesa, anche la Santa Sede, sono esposte come tutti gli altri, non abbiamo
particolari garanzie da questo punto di vista. Colpendo gli Stati Uniti
però i terroristi hanno voluto colpire l’occidente come potenze, non in
quanto realtà cristiana. A loro premeva dare un significato simbolico
al gesto che hanno compiuto, poter dire: “noi siamo più potenti dell’America,
abbiamo fatto qualcosa che ha messo in ginocchio l’America”. Per questo
hanno fatto in modo di sfruttare al massimo i mezzi di comunicazione.
Del reso un inasprimento dei rapporti fra Chiesa e mondo islamico renderebbe
più tesi i rapporti in tutte quelle aree del mondo, dall’Indonesia all’Africa,
dove le due religioni si confrontano».
PIn che misura l'integralismo religioso
rappresenta un pericolo nell'attuale contesto politico?
«Su 42 paesi islamici 12 sono fondamentalisti,
ma questi ultimi tendono ad espandersi. E' quello che sta succedendo in
Algeria, è quello che sta accadendo in Egitto, per non parlare dell'Africa
nel suo insieme. È quindi opportuno che non ci sia una voglia di rivalsa
nei confronti del mondo islamico per non alimentare il fenomeno. All'interno
del mondo religioso il dialogo continua e serve anche ad impedire l'estendersi
del fondamentalismo. Il dialogo fra religioni, pur nel rispetto delle
differenti tradizioni deve proseguire, è un rapporto di collaborazione
essenziale».
Intervista. Di Francesco Peloso al Cardinale Ersilio
Tonini. Quotidiano l'Unità, 16 settembre 2001
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