Nel testamento del rais le indicazioni al suo popolo

di LEONARDO COEN *


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GERUSALEMME - Nei rari momenti di lucidità, in questi ultimi drammatici giorni di Ramadan, Yasser Arafat ha chiesto alla moglie Suha Tawil di raccogliere e trascrivere le sue ultime volontà: è lei, dunque, che ha in custodia il testamento dell'Irriducibile. Si tratta di un documento corposo ed articolato, una sorta di estremo saluto al popolo palestinese e una raccomandazione: mai rinunciare alla legittima aspirazione di edificare uno Stato indipendente, soprattutto lottare uniti per i propri diritti, evitando la trappola israeliana, perché il nemico dei palestinesi ha tutto l'interesse a fomentare divisioni e lotte fratricide.

Il testo comincia con una citazione: quella della Surat Al-Fatiha, il primo versetto del Corano in cui si proclama la magnificenza e la misericordia di Allah. È anche la formula rituale per le sepolture. Nel testamento Arafat affronta il problema della sua tomba. O meglio, chiede di essere seppellito a Gerusalemme, nel piccolo cimitero musulmano adiacente alla Porta della Misericordia dirimpetto al Monte degli Ulivi, chiusa in tempi remoti dagli Ottomani perché la tradizione ebraica vuole che da lì, nel Giorno del Giudizio, passi il Messia su un asino bianco.

Anche per questo Sharon ha sempre detto: "Fin che sarò al potere, e non ho alcuna intenzione di dimettermi, non consentirò ad Arafat di farsi seppellire a Gerusalemme Est o nella Spianata delle Moschee". Quasi un anatema. La polemica sulla tomba di Arafat è vecchia come l'occupazione della Città Santa da parte degli israeliani, dopo la guerra del 1967. Arafat sostiene di aver ereditato 13 metri quadrati di terreno, lo spazio per sistemare una lapide circondata da un praticello, secondo l'uso musulmano, e quei 13 metri quadrati stanno proprio sotto il Monte degli Ulivi, a Gerusalemme Est.

Ma l'amministrazione israeliana li ha confiscati con uno stratagemma, appigliandosi ad una pretesa "assenza del proprietario". La disputa è uno dei tanti conflitti collaterali che hanno accompagnato la feroce guerra tra il Raìs e il suo acerrimo rivale Sharon, che per fare un dispetto ad Arafat comprò casa proprio dentro la Città Vecchia e per di più nel quartiere degli arabi: è facile individuarla perché sopra sventola un'enorme bandiera con la stella di David e perché sotto le finestre la pietra dell'abitazione viene imbrattata da graffiti color rosso sangue.

Nel testamento, Arafat insiste perché venga seppellito a Gerusalemme e non altrove. Un compromesso potrebbe essere Abu Dis, su di un'altura che fronteggia la Città Vecchia. Da lì si vede la Cupola della Roccia ricoperta d'oro, in arabo Qubbet es-Sakhra, edificata sul luogo che gli ebrei rivendicano perché lì c'è la roccia su cui Abramo stava per sacrificare il figlio Isacco. Insomma, tomba con vista sulla Spianata delle Moschee.

Ma Arafat ha sempre tenuto ai simboli. E ai loro significati: il poeta palestinese Mahmud Darwich gli dedicò queste parole: "Noi gli accordiamo tutta la nostra piena fiducia anche criticandolo... egli è il nostro capo e il simbolo della nostra storia contemporanea... egli abita nei nostri sogni e nei nostri cuori". Sentendosi uomo della "provvidenza", Arafat ha legato la sua vita al destino dei palestinesi e vuole legare anche la sua morte all'ideale pantheon della sua patria. In questi intrecci emotivi, sa che il funerale deve essere celebrato nella terra per cui ha sempre lottato.

Per questo, il problema della tomba è molto importante. Lo sa benissimo Sharon, il capo del governo israeliano teme che le esequie del Rais possano trasformarsi in qualcosa di incontrollabile, e lo temono pure i palestinesi moderati: aprire le porte della Spianata per l'eventuale funerale di Arafat è giudicato un azzardo, un gesto capace di innescare tensioni e derive pericolose sul piano dell'ordine pubblico e su quello politico-militare.

È tuttavia l'ultima, estrema sfida di Arafat. Non a caso i coloni minacciano di impedire l'eventuale funerale nella Città Vecchia. Non a caso qualcuno ha parlato di una tomba a Ramallah, a ridosso del Muro, in un punto dove gli ingegneri che l'hanno eretto hanno lasciato un buco, perché così si possa intravedere Gerusalemme.
Un'offesa, più che un atto di generosità. E non a caso, Arafat, ha ribadito con ostinazione di voler la tomba lassù, nella Spianata, in attesa del Giudizio Universale quando solo gli uomini giusti saranno in grado di afferrare l'Haram, la Catena di Salomone, salvandosi dalle fiamme dell'inferno.

Arafat, sfida non soltanto Sharon, sfida i vecchi poteri palestinesi, a lui ostili, quelli incarnati dalla potente famiglia degli Husseini (alla quale diceva di appartenere) che ebbero nel gran mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini l'eroe della resistenza palestinese nel 1948. E che hanno due tombe in questo inaccessibile sacro recinto. Loro hanno detto no alla pretesa di Arafat di solennizzare la sua traccia nel mondo dei vivi, cercando riposo eterno nel terzo luogo santo dell'Islam.

(5 novembre 2004)

Tratto dal sito www.repubblica.it


Articolo ripubblicato da Arab.it in data 15 ottobre 2004 

 
 


 
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