ROMA
- "Quel pomeriggio del 7 settembre entra Simona nella
mia stanza. E mi dice, mi grida: "Sono arrivati loro..." Ha
la faccia spaventata...".
Simona Pari guarda fisso davanti a sé, mentre ricorda il momento
del suo sequestro.
"Sono arrivati loro..., dice Simona".
Loro
chi? Perché dice loro?
"Non lo so perché dice "loro". Lo dice come chi
vuole indicare qualcosa di cattivo. Dietro Simona c'era un uomo con
un grosso fucile, che ci ha spinto nel corridoio e ci ha fatto accucciare
sui talloni. Io ero l'ultima a essere stata presa. Gli altri erano già
tutti accucciati nel corridoio. Ci chiedono i nomi".
Quanti
erano i sequestratori?
"Non lo ricordo. Io ricordo soltanto quello che è entrato
nella mia stanza alle spalle di Simona".
Dicono
che fossero 15 o 20. Dicono che erano vestiti con divise militari e
il capo fosse in abiti civili. E' vero?
"Non lo so. Non lo ricordo. Non credo di aver visto tanta gente...
Ricordo soltanto che ci chiedono il nome e ci portano via. Io e Simona
veniamo spinte nella stessa auto. Ci dicono di abbassare la testa, di
piegarci tra il sedile e il planale dell'auto. Non riuscivo a rendermi
conto di essere stata rapita. Avevo paura. Sentivo la mia impotenza.
Mi sentivo fragile come una pagliuzza spinta dal vento. Mi sono aggrappata
alla sola cosa che è parsa potermi dare un po' di coraggio. Era
Simona accanto a me".
Al
Kubaissi, del Consiglio degli Ulema, ha riferito che lei e Simona Torretta
eravate molto preoccupate prima di quel 7 settembre. E' vero?
"E' vero che andammo da Al Kubaissi. Pensavamo di incontrarlo da
molto tempo, perché volevamo far conoscere agli Ulema i nostri
progetti e il nostro lavoro. Non ricordo - e sono portata ad escluderlo
- che ci siamo mostrate preoccupate. Certo, abbiamo parlato della situazione
caotica del Paese, ma non della nostra paura, che non avevamo".
Quindi
vi spingono nella macchina. E che cosa succede?
"Stiamo in macchina per un tempo che non riesco a quantificare.
Non hai punti di riferimento. Sei con la testa a guardare il pavimento
della macchina. Con il cuore che va su e giù. Non pensi al tempo.
Comunque, arriviamo in una casa che non so dire. Lì ci tratteniamo
il tempo necessario affinché ci bendino. Risaliamo sulla macchina
e ci portano in quella che per 21 giorni è stata la nostra prigione".
Come
era questa prigione?
"Una stanza. C'erano dei materassi a terra, un divano, una finestra
piccola e alta che ci impediva di guardare fuori. Accanto, aveva un
bagno che, dopo i primi giorni, abbiamo potuto utilizzare senza chiedere
il permesso. Ci hanno lasciate bendate per un periodo molto lungo. Avevo
paura".
Vi
hanno, per così dire, interrogato?
"Sì. I primi colloqui sono stati molto aspri. Ci chiedevano
chi eravamo, perché eravamo in Iraq, che cosa stavamo facendo.
Era soprattutto Simona (Torretta ndr.) a rispondere. In inglese, gli
spiegava i nostri progetti, da quanto tempo la nostra organizzazione
era in Iraq. Spiegava che non avevamo mai lavorato con il governo dell'occupazione.
Diceva che nessuno dei nostri progetti è stato mai finanziato
da alcun governo della coalizione. Parlava delle scuole che stavamo
ricostruendo, dei nostri stretti contatti con la comunità irachena,
del lavoro con le donne e bambini di Bagdad".
Vi
hanno mai contestato di essere delle spie?
"No".
Il
commissario straordinario della Croce rossa sostiene da qualche giorno
che i vostri nomi e quello di Enzo Baldoni erano in un elenco di spie
delle forze anglo-americane trafugato dai saddamiti. Come è possibile
che non vi hanno mai contestato di essere delle spie?
"Io non so perché Scelli dice questo. So che non ci hanno
mai accusato di essere delle spie".
Quanti
interrogatori, per così dire, siete state costrette ad affrontare?
"Del primo ho detto. E ricordo che è stato il più
duro. Nei giorni successivi, si è creato un clima che, pur severo,
permetteva un maggiore dialogo. E allora, io e Simona siamo riuscite,
forse meglio, a spiegare quale era il senso del nostro lavoro. A trasmettere
lo spirito di solidarietà con il popolo iracheno, che lo ha sempre
animato. Credo che siamo riuscite in quelle conversazioni - come devo
definirle? - a renderli consapevoli che ci rendevamo conto delle dolorose
violazioni che il popolo iracheno era costretto a subire. Abbiamo spiegato
che la questione dei diritti umani, dovunque e da chiunque vengano calpestati,
è la questione che più ci interessa affrontare. Ci parlavano
delle violazioni subite dalle donne nel carcere di Abu Ghraib. E noi
rispondevamo che sempre, contro quelle violazioni, avevamo lavorato.
Sempre per i diritti umani calpestati".
Lei,
con Simona, ha detto nei giorni scorsi che i sequestratori hanno fatto
le "verifiche" su quel che dicevate.
"Io non so se hanno fatto delle verifiche. So che la situazione,
con il passare dei giorni, è diventata più fluida. Riuscivamo
meglio - mi sembra - a convincerli della sincerità delle nostre
intenzioni e dei nostri progetti. Dico che la situazione diventava più
fluida perché anche le nostre condizioni di vita in quella stanza
sono migliorate, dopo qualche giorno. Ci hanno tolto le bende. Ci hanno
dato quei vestiti con cui poi siamo tornate in Italia, e biancheria
e sapone e dentifricio e buon cibo. Continuamente ci chiedevano se avevamo
bisogno di qualcosa. La colazione era addirittura ricca, con crema,
sciroppo di dattero, pane appena sfornato e tè. Mai ci è
mancato il riso e la carne. E, nonostante tutto questo, sempre ci chiedevano
se avevamo bisogno di qualcosa".
Questa
"fluidità" della vostra condizione attenuava anche
la paura?
"No. Avevo sempre paura. Era una paura che a tratti mi paralizzava.
Me ne stavo in silenzio, allora, e afferravo un pensiero felice. Che
so, degli amici che non vedevo da molto tempo. Un luogo che mi mancava
e dove ero stata sempre serena. Capisce che voglio dire? Pensavo a che
cosa volevo fare dopo quello che mi stava capitando. Riuscivo così
a tenere la paura sotto controllo".
Riusciva
a dormire?
"Sono riuscita a dormire anche la prima notte. Sono crollata di
schianto, schiacciata dallo stress. E nei giorni successivi, priva della
condizione del tempo che passava, incerta e impaurita da quello che,
da un momento all'altro, poteva succedermi ho vissuto come in uno stato
di sonnacchiosa e confusa trance".
Che
cosa si diceva con l'altra Simona?
"Non potevamo parlare molto. Ci costringevano a stare in silenzio,
l'una in un angolo, l'altra in un altro angolo della stanza".
Avete
detto che a un certo punto i sequestratori vi hanno intrattenuto sui
princìpi dell'Islam.
"E' vero. Abbiamo discusso della loro religione. Raccontavano il
loro Islam con molte citazioni del Profeta Maometto. A proposito del
mondo, della vita... Non mi ricordo".
Simona
Torretta, che è seduta accanto a Simona Pari, vestita di nero
con un'espressione un po' corrucciata, ritiene di dover spiegare meglio.
Dice: "Ci parlavano dei cinque pilastri dell'Islam. Della professione
di fede, dell'imposta coranica, del pellegrinaggio alla Mecca, del digiuno,
della preghiera".
Ne approfitto per chiedere a Simona Torretta la fondatezza di un sussurro
che ha molto successo in queste ore.
E'
vero che lei intende convertirsi all'Islam?
Simona Torretta ride e risponde: "Ho studiato l'arabo. Studio l'Islam
e voglio ancora approfondirlo. E' una curiosità intellettuale.
Non ho nessuna intenzione di convertirmi".
Con
il passare dei giorni e con la minore tensione diminuiva anche l'angoscia,
il timore di essere uccise?
Simona Pari: "Ogni giorno mi chiedevo: "Che cosa vorranno
fare di noi?". Pensavo costantemente che mi avrebbero uccisa. Quasi
vedevo il momento".
Rivedeva quelle orribili immagini di decapitazione?
Simona chiude gli occhi, come per scacciare quel pensiero, quell'immagine.
Si rifiuta anche di dire "decapitazione". Scuote soltanto
il capo e invoca con gli occhi un'altra domanda.
Con Simona Torretta ha mai parlato dell'ipotesi più infausta?
"No. Mai parlato. Scacci quel pensiero dalla tua testa. Figurarsi
dalle tue parole. E poi io, in quelle giornate che sono lunghissime,
non avevo paura soltanto che i miei sequestratori mi uccidessero. In
quella situazione lì hai paura di tutto. Anche che facciano un
blitz e ti ammazzino".
Avete
registrato una cassetta con le vostre voci per dare la prova in vita.
"Non voglio rispondere a questa domanda. C'è il segreto
istruttorio".
Lo
ha detto Scelli, pubblicamente. Dove è il segreto?
"Non voglio rispondere".
Siete
state mai filmate?
"Non voglio rispondere".
Al
telefono vi è stato mai passato Scelli o un qualche altro italiano?
"Anche qui credo di dover rispettare il segreto istruttorio".
Quale
segreto istruttorio? Scelli ha detto di aver parlato con voi.
"Non voglio rispondere".
Avete
avuto, e lei in particolare, frutta e yogurt e acqua minerale? Questo,
all'esterno è parso come un indizio dell'identità del
gruppo.
"Non ho mai chiesto yogurt, né mi è stato mai dato.
Bevevamo acqua da caraffe. Non mi è parsa acqua minerale".
E'
stata lei a dire ai suoi sequestratori questa sua predilezione alimentare?
"Non mi è stata mai chiesta, né io l'ho mai detta".
E
come può essere saltata fuori la storia?
"Non lo deve chiedere a me".
Quando
vi siete accorte che la liberazione era vicina?
"Quel giorno ci hanno fatto indossare delle giubbe e un copricapo
con tre veli. Ci hanno fatto salire in macchina, dove erano già
Manhaz e Ra'ad, che vedevamo per la prima volta dal 7 settembre. Nel
tragitto in macchina - dietro quei veli non si vedeva nulla - ci hanno
chiesto scusa per quei giorni. Ci hanno ricordato la condizione del
popolo iracheno e la loro disperazione per quel che accade. Abbiamo
viaggiato tantissimo".
Tutti
abbiamo visto il filmato di Al Jazeera. C'era qualcosa di artefatto.
Sembrava una messa in scena.
"Non era una messa in scena. Io me ne stavo dietro quel velo. Non
vedevo nulla. Non sapevo quel che mi poteva accadere. Ero come intontita.
Quando Simona mi ha detto "tiralo su!", l'ho tirato su come
un automa. Allora ho visto Scelli e ho pensato che finalmente era finita".
La
pistola. Avete visto che è stata consegnata a Scelli?
"Certo, ce l'aveva l'uomo che ci ha accompagnato in macchina".
Era
la pistola che doveva uccidervi?
Risponde Simona Torretta: "Io questa storia che quella pistola
dovesse ucciderci non l'ho mai sentita. La consegna a Scelli ha solo
un valore simbolico, di amicizia, di pace, di risentimento e conflitto
finiti. Come nella tradizione araba".
Perché
siete state rapite?
"Perché siamo italiane".
C'è
un filo che lega il vostro sequestro al rapimento degli altri italiani,
i quattro body guard e Enzo Baldoni ucciso dopo il suo interprete Ghareeb?
Simona Pari: "C'è? Io non lo vedo".
Non
avete mai pensato che questo filo possa esserci? Voi conoscevate Paolo
Simeone e Valeria Castellani, i "reclutatori" di Quattrocchi,
Stefio, Cupertino e Agliana. Baldoni vi aveva consegnato il suo denaro
in deposito prima di partire per Najaf. Ghareeb "era di casa"
nelle stanze di "Un Ponte per...". Come non si fa a pensare,
anche soltanto per un attimo, anche soltanto per cancellarlo, che un
filo possa esserci?
"E' vero, ho incontrato Simeone e Castellani in una sola occasione.
Baldoni è passato da noi, come tutti gli italiani che arrivavano
a Bagdad. Ghareeb era un uomo che si dava molto da fare per gli iracheni
e noi gli davamo una mano".
Per
Scelli, Ghareeb era un "doppiogiochista, palestinese spia degli
israeliani".
Simona Pari: "Per noi, Ghareeb era un uomo generoso che veniva
di tanto in tanto a chiedere medicine per portarle ai malati".
Simona Torretta: "... E in questo slancio si prendeva anche dei
rischi. Ricordo che organizzò un convoglio verso Falluja nei
giorni dei peggiori bombardamenti sulla città. Riuscì
anche a portare fuori da quella infelice città un gruppo di feriti.
Al "Ponte", per definizione, teniamo la porta aperta a tutti.
Non diciamo "tu sì, tu no". Se viene qualcuno e ha
bisogno di medicine da portare a un malato, gliele diamo. Se vuole organizzare
un convoglio umanitario gli diamo una mano senza chiedergli chi è
e perché lo fa. E' la nostra filosofia. Sono i valori delle organizzazioni
internazionali di solidarietà e di pace".
Tra
le vostre parole, c'è qualche assenza che mette a disagio. Non
avete mai chiesto che gli altri ostaggi siano liberati. Non avete mai
condannato il terrorismo che uccide gli innocenti. Ritenete di poterlo
fare adesso?
Simona Pari guarda Simona Torretta e non comprendo se con imbarazzo
o fastidio. Ci sono lunghi momenti di silenzio, fino a quando Simona
Torretta dice: "Fallo! Dillo!".
Simona Pari: "Noi non sapevamo neanche che ci fossero degli ostaggi
oltre noi. Nessuno ce lo ha detto, nessuno ce ne ha parlato. No. No,
lo giuro. Nessuno ci ha parlato dell'inglese prigioniero, né
degli americani decapitati. Io dico che ogni vita deve essere salvata.
Che il diritto alla vita è sacro ovunque e per chiunque. Se mi
chiede del terrorismo, le rispondo che c'è il terrorismo e c'è
la resistenza. La lotta di resistenza di un popolo per liberare il Paese
occupato è garantita dal diritto internazionale. Il terrorismo
uccide indiscriminatamente anche i civili. Condanno il terrorismo. Nessuno
può chiedermi di condannare una lotta di resistenza".
(1 ottobre 2004)
* Pubblicato
da la Repubblica.it
il 1 ottobre
2004
|