La proposta del neo gruppo parlamentare "Sicilia 2010" d'inviare, a
turno, delegazioni di deputati regionali in Palestina, se effettivamente
attuata, sarebbe un atto emblematico significativo della volontà di
pace dei siciliani e una testimonianza concreta di solidarietà col popolo
palestinese.
In Sicilia esiste una speciale sensibilità verso le vicissitudini dei
popoli arabi e palestinese in particolare che nel passato si è espressa
nei modi più diversi, sempre riconducibili allo spirito di convivenza
pacifica e di cooperazione.
Ai tempi della guerra del Kippur, era il 1973, circolava una battuta
(attribuita ad Achille Occhetto, allora segretario regionale del Pci)
che esprimeva, fra il serio e il faceto, il sentimento dei siciliani:
«La Sicilia è l'unico Stato arabo a non aver dichiarato guerra a Israele».
In quegli anni, Palermo e la Sicilia divennero centri di un magnifico
movimento pacifista, di accoglienza di migliaia di giovani esiliati
o rifugiati politici provenienti dai vari Paesi mediterranei allora
angariati da dittature fasciste o da regimi militari che costellavano
le rive del Mediterraneo. La Sicilia progressista reagì nell'unico modo
possibile, organizzando la solidarietà e promovendo il dibattito e l'azione
politica per trasformare il Mediterraneo da luogo di sanguinosi conflitti
in un mare di pace e di cooperazione.
Il Pci tentò di organizzare a Palermo una grande Conferenza mediterranea
alla quale furono invitati i leader più prestigiosi dei movimenti di
liberazione del mondo arabo: da Arafat a Boumedienne, da Gheddafi a
Bourghiba. Molti aderirono all'invito, ma purtroppo quella conferenza
venne prima rinviata e poi annullata.
La prima volta che incontrai Yasser Arafat, a Lisbona nel 1977, gli
ricordai la mancata iniziativa e il nostro rammarico di non averlo potuto
ospitare a Palermo. Arafat rispose che il rammarico più grande era il
suo poiché desiderava tantissimo visitare la «Siqilia», quest'Isola
bellissima che «ogni arabo porta nel cuore».
In effetti, nell'immaginario collettivo degli arabi, la Sicilia (almeno
quella del periodo arabonormanno) è rappresentata come una sorta di
paradiso in terra, come una metà agognata, perciò ancora oggi tutti
la rimpiangono (insieme all'Andalusia) come un territorio ambito che
l'Islam ha perduto. Con il leader palestinese ci siamo visti in altre
occasioni e sempre ci ha chiesto della «Siqilia». Come quando l'andammo
a trovare a Beirut, nel suo bunker anche allora minacciato dalle truppe
israeliane del generale Ariel Sharon il quale, insieme con le falangi
dei cristianomaroniti libanesi, attuò mesi dopo uno fra i più orrendi
massacri di vecchi, donne e bambini palestinesi rinchiusi nei campi
profughi di Sabra e Chatila. O in occasioni di conferenze internazionali:
a Damasco, Baghdad, Tunisi, Tripoli e a Roma nell'82 dove, oltre a incontrare
il presidente Pertini, parlò nell'Aula della Camera ovvero nel primo
Parlamento occidentale nel quale si era formata una larga maggioranza
di parlamentari (circa 500, da Berlinguer a Craxi a Zaccagnini) che
richiedeva al governo il riconoscimento politico dell'Olp e il diritto
per i palestinesi ad avere uno Stato.
L'ultima volta, a Roma nel 1998, si ricordò della «Siqilia» e gli promettemmo
che una delegazione siciliana sarebbe andata a Gerusalemme est, il giorno
dell'imminente (allora così si pensava) proclamazione dello Stato indipendente
di Palestina.
Oggi Yasser Arafat, leader di un popolo oppresso ma invitto, è prigioniero
dell'esercito più potente del Medio Oriente. Sharon continua ad accanirsi
contro un leader privato di acqua e luce, nell'illusione di umiliarlo
e costringerlo alla resa. Evidentemente conosce poco il personaggio
e sta sottovalutando la capacità di resistenza di Arafat e del popolo
palestinese.
* Commento di Agostino
Spataro pubblicato su La Repubblica (Palermo)
del 04.04.2002.
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