Dylan Thomas
ha scritto una poesia di guerra intitolata "E la guerra non avrà dominio"
("And Death Shall Have No Dominion"). In Israele, ce l'ha. Qui la guerra
governa: il governo di Israele regna su un dominio di morte. Perciò
la cosa più incredibile riguardo agli attacchi terroristici di questi
giorni è l'incredulità di Israele.
La propaganda e l'indottrinamento in Israele
riescono a mantenere le informazioni su questi attacchi separate dalla
realtà del paese. Nei media israeliani (e americani) la storia è fatta
di assassini arabi e vittime israeliane, il cui solo peccato sarebbe
stato l'aver chiesto sette giorni di grazia. Ma qualunque persona la
cui mente vada non a un anno, ma solo a una settimana o a poche ore
fa, sa che la storia è diversa, che ciascun attacco è un altro anello
in una catena di orribili fatti di sangue che ha segnato gli ultimi
34 anni e non ha che una causa: un'occupazione brutale. Un'occupazione
che umilia, affama, nega il lavoro, demolisce le case, distrugge i raccolti,
ammazza i bambini, incarcera i minori senza processo in condizioni terribili,
lascia che i bambini piccoli muoiano ai checkpoint e diffonde bugie.
La scorsa settimana, dopo l'assassinio di Abu
Hanoud, una giornalista di Yediot Ahronot mi ha chiesto se mi sentivo
"sollevata". Non ero spaventata all'idea che "un assassino come quello
andasse in giro libero"? No, non mi sentivo sollevata, le ho detto,
e non mi sentirò sollevata finché gli assassini dei bambini palestinesi
continueranno ad andare in giro liberi. Le uccisioni di quei bambini,
come l'uccisione di un sospetto senza processo o l'uccisione di un bambino
di dieci anni poco prima dell'attacco a Gerusalemme, garantiscono che
nessun bambino israeliano può andare a scuola sentendosi al sicuro.
Ogni bambino israeliano pagherà per la morte dei cinque bambini a Gaza
e gli altri a Jenin, Ramallah, Hebron.
I palestinesi hanno imparato da Israele che ogni
vittima deve essere vendicata dieci volte tanto, cento volte tanto.
Hanno detto ripetutamente che finché non ci sarà la pace a Ramallah
e Jenin, non ci sarà pace a Gerusalemme e Tel Aviv. Perciò non spetta
ai palestinesi rispettare sette giorni di tregua, ma alle forze di occupazione
israeliane.
Venerdì è stato riportato che dei politici di
entrambe le parti avevano raggiunto un accordo a Gerusalemme per permettere
la riapertura del casinò, da cui dipende la loro sussistenza. Lo hanno
fatto senza l'intervento americano, senza commissioni ad alto livello,
solo con l'assistenza di legali e uomini d'affari che hanno promesso
alle parti ciò che serviva. Questo dimostra che il conflitto non è tra
i leader: quando una questione li riguarda direttamente (a differenza
della morte dei bambini) sono veloci a trovare una soluzione.
Questo rafforza la mia convinzione che tutti
noi, israeliani e palestinesi, siamo vittime dei politici che giocano
d'azzardo con la vita dei nostri figli sul tavolo dell'onore e del prestigio.
Per loro, i bambini valgono meno che le fiche della roulette.
Ma questi attacchi servono agli interessi della
politica israeliana - una politica finalizzata a farci dimenticare che
la guerra oggi riguarda la protezione degli insediamenti e la continuazione
dell'occupazione, una politica che spinge i giovani palestinesi al suicidio
e a portare con sé i bambini israeliani, animati dall'invocazione di
Sansone "muoia Sansone con tutti i filistei", una politica escogitata
per farci credere che "loro vogliono anche Tel Aviv e Jaffa" e che "non
c'è nessuno con cui parlare", nel momento stesso nel quale vengono liquidati
tutti i possibili interlocutori.
Ora che sappiamo che i nostri leader sono capaci
di pace quando c'è un motivo economico, dobbiamo chiedere che facciano
la pace quando sono in gioco cose di minore importanza, come la vita
dei nostri figli. Finché tutti i genitori di Israele e della Palestina
non si solleveranno contro i politici e non gli chiederanno di tenere
a freno le loro voglie di conquista e di spargimenti di sangue, il reame
sotterraneo dei bambini sepolti continuerà a crescere. Sin dall'inizio
dei tempi, le madri hanno levato con chiarezza la loro voce per la vita
e contro la morte. Oggi dobbiamo alzarci in piedi contro la trasformazione
dei nostri figli in uccisori e uccisi, dobbiamo insegnare loro a non
sostenere crudeli macchinazioni, e costringere i politici - che dicono,
con Abner e Ioab: "potrebbero alzarsi i giovani e scontrarsi davanti
a noi" - a fare spazio a quelli che possono sedere al tavolo del negoziato
e accettare una pace vera e giusta, che sono preparati a portare avanti
il dialogo non con lo scopo di ingannare e manipolare l'altra parte,
non per umiliare l'altro e costringerlo in ginocchio, ma per raggiungere
una soluzione che consideri le ragioni dell'altro, una soluzione priva
di razzismo e bugie. Altrimenti la morte continuerà ad avere il suo
dominio su di noi.
Propongo che i genitori che non hanno ancora
perso i loro figli guardino sotto i loro piedi e prestino attenzione
alle voci che salgono dal regno della morte, sul quale camminano giorno
dopo giorno e ora dopo ora, perché solo là tutti capiamo che non c'è
differenza tra una vita e un'altra, che poco importa quale sia il colore
della nostra pelle o della nostra carta d'identità, o quale bandiera
sventola su quale collina e in che direzione ci mettiamo quando preghiamo.
Nel regno della morte i bambini israeliani giacciono
accanto a quelli palestinesi, i soldati dell'esercito d'occupazione
accanto agli attentatori suicidi, e nessuno ricorda chi era Davide e
chi era Golia, perché hanno visto in faccia la verità e hanno capito
di essere stati imbrogliati e ingannati, che politici senza sentimenti
o coscienza hanno perso al gioco le loro vite mentre continuano a giocare
d'azzardo con la vita di tutti noi. Abbiamo dato loro il potere, attraverso
elezioni democratiche, di fare della nostra casa un'arena di omicidi
senza fine. Solo se li fermeremo, potremo tornare a una vita normale
in questo luogo, e allora la morte non avrà dominio.
Traduzione di Marina
Impallomeni
*
La scrittrice e
docente universitaria pacifista Nurit Peled-Elhahan, figlia dello
scomparso generale pacifista Mati Peled, tre anni fa ha perso una figlia
tredicenne in un attentato di Hamas. Ieri, insieme allo scrittore palestinese
Izzat Ghassawi, è stata insignita dal parlamento europeo del prestigioso
premio Sakharov per i diritti umani per la sua incessante attività a
favore della pace e della riconciliazione .
* Da "Il
Manifesto" del 13 Dicembre 2001
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