Chiediamo
alle Autorità locali di... creare condizioni per un pieno inserimento
nella cittadinanza e nei circuiti del lavoro (a ogni livello) di "quelli
che vengono per restare", vivere e lavorare nella nostra comunità.
Una città che, in mancanza di un significativo processo di arricchimento
demografico, resta a grave rischio di senescenza". Nella stesura
definitiva questo passaggio è andato perduto. Visto che me ne si
offre il destro, vorrei riprenderlo nello spazio che Genova Impresa
dedica all'approfondimento delle tesi lanciate da Forum.
i lavoratori immigrati: una risorsa per genova
Il tema immigrazione lo si può trattare
in molti modi. Ad esempio, facendo appello ai valori della solidarietà e del cosmopolitismo; magari ricordando come noi stessi, in un non troppo
lontano passato, si sia vissuta la dolorosa condizione dell'emigrante
(il vero inno genovese, .Ma se ghe pensu, che altro è
se non il canto della nostalgia di un nostro concittadino, da tempo emigrato
in America Latina?). lo preferisco seguire un approccio diverso. Cioè,
un ragionamento che privilegia la logica fredda degli interessi
e si articola in tre passaggi: la reale dimensione della "questione
immigrazione" come questa venga affrontata dai vari paesi occidentali
e - infine - che cosa, al proposito, convenga realmente a noi genovesi.
Punto primo: il fenomeno dal punto di vista
quantitativo e strutturale.
Attorno al tema immigrazione si sta sviluppando una retorica che trova
giustificazione nella crisi di sovranità che affligge gli Stati
a seguito della globalizzazione economica: attraverso la drammatizzazione
della "minaccia alle frontiere" si tende a realizzare una ri-nazionalizzazione
in chiave propagandistica del discorso politico (con una contraddizione
evidente: come combinare le spinte alla creazione di spazi economici senza
frontiere e le spinte all'intensificazione dei controlli alle frontiere
per tenere fuori immigrati e rifugiati?). Ma al di là
delle drammatizzazioni, appunto retoriche, ci siamo domandati quali siano
le vere cifre in gioco? I dati più recenti parlano di circa 120
milioni di immigrati nel mondo (stima che probabilmente - esclude i clandestini)
e di circa 20 milioni di profughi e rifugiati (di cui solo il 30% ha trovato
asilo nei paesi "ricchi"). Anche se incrementassimo le cifre
ufficiali con ipotesi plausibili sul sommerso, i numeri
ricavati non risulterebbero poi così inquietanti. Specie se rapportati
a una popolazione mondiale che ormai si aggira sui 6 miliardi di individui.
Ne consegue che la realtà smentisce l'immagine popolare (e la retorica
politica) dell'invasione di una moltitudine di poveri che sommerge la
nostra civiltà. Del resto, i recenti studi mettono in evidenza
come i flussi migratori non derivino dalla sommatoria di casuali decisioni
individuali ma siano altamente condizionati e strutturati secondo reti
economiche, sociali ed etniche complesse (la vicenda ottocentesca dei
liguri concentrati alla Boca e dei siciliani a Broccolino potrebbe confermarlo).
Dunque, un grande problema geopolitico, indotto dal ridisegno degli assetti
globali. Come reagiscono gli Stati (che, non dimentichiamolo, hanno partecipato
alla costruzione del nuovo sistema economico)? In modi assai diversi:
alcuni paesi, come la Germania, hanno politiche di naturalizzazione basate
sullo jus sanguinis (sulla discendenza), altri, come la
Francia, sullo jus soli (il luogo di nascita); Stati Uniti,
Canadà e Svezia facilitano l'acquisizione della cittadinanza mentre
il Giappone, con la legge sull'immigrazione del '90, si apre solo a categorie
professionali qualificate (e possibilmente occidentali). In ogni caso,
operano sulla scena anche le convenzioni internazionali sui diritti umani
(a partire dalla "dichiarazione universale" dell'ONU, 1948)
e l'attività quotidiana dei tribunali nel riempire i vuoti
giuridici delle legislazioni nazionali in materia. Rendiamoci
conto - allora - che tutte le categorie con cui affrontiamo l'argomento
- immigrazione sono in stato di avanzata ristrutturazione proprio a livello
mondiale. E veniamo a Genova.
La nostra città, già dal medioevo,
è cosmopolita e polietnica. Nel XVI secolo esisteva una moschea
nell'area portuale e una parola-chiave per il nostro scalo marittimo,
"darsena", ha radici arabe (dar senhhah, casa delle
costruzioni). Crogiolo d'etnie, a partire dal trattato del Ninfeo del
1261, importiamo donne dal Mar Nero (che vengono tra noi come serve e
balie per trasformarsi presto, stante la perenne penuria femminile, in
spose e madri). Dal XIII secolo fino alle soglie del XX rileviamo un flusso
ininterrotto di braccia bergamasche verso le attività portuali;
già dai primi del 900, significative correnti di lavoratori del
sud vengono intercettate dalle industrie pesanti del Ponente.
Al dì là del cosmopolitismo insito nella vocazione economica
mercantile, dietro queste dinamiche migratorie c'è sempre una ragione
strutturale: i ricorrenti tracolli della natalità che determinano
invecchiamento della popolazione indigena e fanno parlare di "costume
malthusiano dei genovesi".
Ancora una volta, l'odierna situazione demografica della città
è drammatica e solo l'immigrazione può salvarci. Non si
tratta di solidarietà ma di pure, lungimiranti, scelte di sopravvivenza
economica e sviluppo. E' un falso ideologico pensare che esista un'antitesi
tra disoccupazione (intellettuale-scolarizzata) e immigrazione (forza
lavoro da professionalizzare). Le imprese liguri non trovano più
la manodopera specializzata, necessaria per colmare i vuoti nei propri
organici. Se continueranno a non trovarla aumenterà - contestualmente
- la disoccupazione intellettuale in quanto si bloccheranno i meccanismi
di produzione della ricchezza. Dunque, il dilemma sta tutto tra una gestione
attiva della forza-lavoro immigrata (creando strutture di accoglienza,
formazione e avviamento al lavoro) oppure - visto che il flusso non si
arresterà comunque - il suo abbandono alla gestione malavitosa
delle mafie albanesi e magrebine. Del resto, già esiste un insediamento
di immigrati inserito nella città, specialmente nell'edilizia e
nel servizio agli anziani. Sono una maggioranza ("non riconosciuta")
rispetto alla minoranza ("riconosciuta") che pratica malversazioni
e traffici illeciti. Quindi, un problema politico che impone effettive
ed efficaci azioni di accompagnamento, da un lato, di vigilanza e repressione,
dall'altro.
Tenendo sempre presente quanto, all'inizio
dell'anno, ha dichiarato non uno sfegatato terzomondista ma un prudentissimo
grand commis , il Governatore di Bankitalia Fazio: "i
lavoratori stranieri sono una risorsa primaria del paese". Lampanti
i dati in proposito. Come quelli evidenziati, nel caso americano, dall'ultimo
studio dell'Urban Institute di Washington (1996): gli immigrati portano
30 miliardi di dollari in tasse in più di quanto ricevono servizi.
Nel nostro paese, la grande migrazione interna degli anni 50-60 è
stata completamente metabolizzata e oggi le "maschere della milanesità"
si chiamano Abatantuono e Celentano (pugliesi), Jannacci (campano). E'
poi cosi terribile immaginare che la prossima generazione di imprenditori
e manager genovesi sarà composta anche da persone con la pelle
due tonalità più scure della nostra?
Fino a questo punto del ragionamento, abbiamo
evitato accuratamente il tema "razzismo".
Lo accenniamo, in conclusione, facendo nostre le parole di un grande genovese,
Luigi Luca Cavalli Sforza, uno dei più grandi genetisti viventi
docente a Stanford: in pratica si può generalizzare dicendo che
vi sono differenze, per quanto piccole, anche tra i villaggi vicini, ma
che sono insignificanti; che aumentando la distanza geografica la distanza
genetica cresce, ma rimane sempre insignificante rispetto alle distanze
che si trovano tra gli individui di una popolazione (Luigi Luca Cavalli
Sforza: Geni, popoli e lingue - Adelphi - 1996). Come dire: tutti coloro
che apparentemente sono diversi sono in realtà eguali e tutti coloro
che apparentemente sono eguali in realtà sono diversi. Ma queste
conclusioni, ormai, sono ovvie. dott. Stefano Zara
Articolo pubblicato sul bimestrale GENOVA IMPRESA I.P. N
2 - 1999 |