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Eugène Delacroix (1798-1863)
Autoritratto (1837)
Nel 1831 il re francese Luigi Filippo inviò una delegazione presso il sultano del Marocco e, come spesso accadeva, fu chiesto ad un pittore di accompagnare il gruppo per documentare il viaggio. Per unirsi alla spedizione guidata dal conte Charles Edgar de Mornay fu scelto Eugène Delacroix. Terminati i preparativi, il 10 gennaio 1832 la fregata La Perle salpa per l'Africa da Tolone.

Durante i mesi del viaggio Delacroix, molto stimato in società e ottimo cavaliere referenziatissimo ovunque ma, soprattutto, eloquente intenditore di arte e musica, si preoccupa di redigere il suo Journal e di scrivere agli amici, raccontando loro i dettagli dell'esperienza. I suoi sette taccuini di schizzi (tre di questi taccuini sono oggi conservati al Louvre, uno al Museé Condé de Chantilly) e un grande album di acquerelli (cosiddetto Album del Marocco) permettono, oggi, di avere un'ampia e precisa relazione illustrata che ci fa ripercorrere, giorno per giorno, le tappe dell'artista: prima fra tutte Tangeri.

Quando il 24 gennaio Delacroix, allievo di Pierre Guérin, educato agli esempi neoclassici di Jacques-Louis David e a quelli dei maestri del colore come Paolo Veronesi e Pier Paul Rubens, arriva a Tangeri per lui è una folgorazione: l'Oriente dei suoi sogni da ragazzo è finalmente davanti ai suoi occhi, rilucente e favoloso come nelle tele di Gros e di Girodet, lirico e profumato di seta come nei versi di Byron, Mugo e Lamartine.

Il viaggio in Marocco rappresenta per Delocroix, una svolta decisiva: la riscoperta dell'Antichità, illuminata dall'intensità di una luce che ne trasforma i colori. Dopo i primi accostamenti alla pittura neoclassica, Delocroix si era avvicinato, anche grazie al suo amico Théodore Géricault, ai tumultuosi climi del nascente realismo romantico dando vita a importanti opere 'apertamente romantiche' come La Libertà che guida il popolo (1830, Louvre), celebrazione semiallegorica dell'idea di libertà. Con il viaggio in Marocco, però, i suoi tratti romantici subiscono un cambiamento definitivo che lo porteranno a mutare decisamente lo stile: si accentua la sensibilità per i colori e gli effetti chiaro-scuro, la luce assume un significato nuovo, la pennellata, leggera e sfaldata, si fa più vibrante. La scoperta dell'Anticchità marocchina frantuma lentamente lo slancio romantico, così tipico delle sue opere precedenti.

"Immagina, caro amico, di vedere per le strade, sdraiati al sole, o mentre si aggiustano le ciabatte rotte, personaggi che assomigliano a consoli, come Catone o Bruto, con quell'atteggiamento di sdegno che doveva essere tipico dei signori del mondo; queste persone non possiedono altro che quel mantello dentro il quale camminano, dormono e vengono sepolti. Eppure hanno l'aria soddisfatta, la stessa che doveva avere Cicerone per la sua sedia curule. Non crederete mai a quello che vi riporterò da questo viaggio, perché sarà comunque molto lontano dall'autenticità e dalla nobiltà di questi personaggi. Non c'è nulla di più bello nell'Antichità . . . Tutto questo è in bianco, come i senatori romani o le feste Panatenee". Con queste parole Delocroix descrive all'amico Pierre, la sua sensazione di riuscire a cogliere dal vivo l'Antichità.
Nei suoi oltre cento dipinti, schizzi e acquarelli del viaggio traspare un continuo e costante riferimento a quest'Antichità: "Questo popolo è veramente antico: vita all'aperto e case chiuse accuratamente. Donne che vivono ritirate. (…..) I grandi del luogo vanno a mettersi in un angolo della strada, accoccolati al sole e parlano fra loro o vanno ad appollaiarsi in qualche bottega da mercante (…..). Le abitudini e le antiche usanze regolano tutto. (….). Noi ci accorgiamo di mille cose che loro mancano; la loro ignoranza dà loro la calma e la felicità. (…). In mille modi loro sono felici nella natura. (….). Noialtri, nei busti, nelle scarpe strette, nelle ridicole guaine, facciamo pietà".

Questo continuo riferimento all'Antichità, questa scoperta, questo shock salutare sarà anche esempio per lui e i suoi successori influenzando Impressionisti, Espressionisti e Fauves: la pennellata si divide e le ombre si colorano di mille riflessi. Quando nel luglio del 1832 Delacroix rientra a Parigi si mette subito al lavoro cercando di ricreare in studio le indimenticabili atmosfere dell'Oriente. Subito si capisce che il viaggio in Marocco lo ha decisamente cambiato e influenzato.

Non è la prima volta che Eugéne Delacroix rimane notevolmente influenzato da un viaggio. Ciò era infatti già avvenuto qualche anno prima con il viaggio in Inghilterra che, grazie al brillante cromatismo di pittori come Richard Parkes, aveva insegnato al pittore francese la capacità di sfaldare i contorni costruendo i volumi attraverso il colore. L'interessante esperienza londinese non ha però nulla a che fare con la strabiliante influenza che il viaggio in Oriente riesce a dargli. Delacroix, tra l'altro, accentua vistosamente la particolare sensibilità per i colori e gli effetti luministici, di cui comunque aveva già dato prova in precedenti opere, ed ecco nascere uno dei risultati più sorprendenti del suo nuovo stile artistico: Le donne d'Algeri nei loro appartamenti (1834, olio su tela; 180 x 229. Louvre, Parigi). Grazie ad una solida rete di amicizie, era stato concesso a Delacroix, in tutta segretezza e senza recare offesa alla sensibilità musulmana, di entrare in un harem ad Algeri. Egli poté così osservare e disegnare donne algerine nella loro intimità. Questo dipinto, inno all'opulenza di quel mondo magico e sensuale che rappresenta, forse, più un luogo dell'anima che una realtà, colpisce per la sua serenità e il suo silenzio. L'ordine ritmico delle forme e la luce soffusa donano grande senso di unità all'opera che, tra gli oltre cento dipinti eseguiti, rappresenta un quadro a sé: grandi critici come Théophile Gautier e Etienne Délecluze rimangono esterrefatti dalle raffinate tinte dei tessuti multicolori e Charles Baudelaire, anni dopo, definirà il quadro "un piccolo poema d'interni", per la grande quiete e percezione olfattiva che pare essere emanata.

La capacità, raggiunta a pieno dopo il viaggio in Africa, di rappresentare la magnificenza e la grandezza nella semplicità è particolarmente visibile nel Sultano del Marocco (1845, olio su tela; 377 x 340. Tolosa, Musée des Augustins). Sullo sfondo le mura, in scena la cerimonia che, per la sua solennità, appare bloccata e silenziosa. Scena all'aria aperta, in piena luce calda con colori accesi e personaggi monumentali: Delacroix, maestro dell'istantaneità, riesce a usare la matita come una macchina fotografica che, oltre alle immagini, sa immortalare le emozioni.

Emozioni altrettanto abilmente immortalate in Festa di nozze ebraiche in Marocco (1837 circa; Louvre, Parigi). Il dipinto riesce, attraverso i precisi particolari della cerimonia, a farci letteralmente catapultare in mezzo alla festa. E' facile accorgersi che la sposa deve restare chiusa nelle sue stanze, mentre tutti gli altri sono in festa, che gli invitati arabi danno denaro ai musicisti che suonano e cantano ininterrottamente e che solo alle donne è concesso ballare.

In ogni opera, comunque, la vena orientalista di Delacroix è ormai caratteristica dominante. Tutti i disegni e schizzi del viaggio in Marocco costituiranno per Delacroix una sorta di repertorio a cui egli farà sempre costante riferimento. Tutti i dipinti fatti al ritorno del viaggio hanno una caratteristica comune: l'amore di Delacroix per l'Oriente.

>> >> >> Qui di seguito una Galleria con le opere più significative che Delacroix ha composto dopo il viaggio in Marocco >> >> >>
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