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C'erano una volta, nella città di Alessandria, due uomini di cui
uno faceva il tintore e si chiamava Abu, Qir e l'altro il barbiere e si
chiamava Abu Sir; e questi due uomini erano vicini al mercato perché
le loro botteghe si trovavano l'una accanto all'altra. Il tintore era
un imbroglione e un bugiardo impudente e aveva una faccia come se fosse
stata intagliata nella pietra dura o peggio ancora nei gradini di una
sinagoga; infatti non si vergognava degli imbrogli che combinava ai danni
della gente.
Costui aveva l'abitudine, quando qualcuno gli portava della stoffa da
tingere, di farsi pagare il prezzo in anticipo, dicendo che il denaro
gli serviva per comprare le tinture; invece, lo sperperava in cibi e bevande,
e non di quelli comuni ma dei più squisiti e raffinati che ci fossero.
E quando aveva speso i soldi vendeva anche la stoffa del cliente e il
ricavato lo consumava pure in cibi e bevande. Poi, quando il cliente si
presentava da lui, gli diceva: " Ripassa domani prima dell'alba e
troverai la tua stoffa tinta. " E quello se ne andava in pace pensando:
" Un giorno non è lontano dall'altro! " E ritornava il
giorno dopo, ma il tintore gli diceva: " Fammi il piacere di ripassare
domani, perché ieri non ho lavorato in quanto ho avuto ospiti a
casa e ho dovuto intrattenerli, come si conviene ad ogni buon musulmano.
Torna domani all'alba e troverai la tua stoffa tinta. " E quando
il cliente ripassava l'indomani mattina si sentiva dire dal tintore: "
Abbi pazienza, ripassa domani perché ieri mia moglie ha partorito
e io sono stato occupato tutto il giorno. " E così, con un
pretesto o con un altro, rimandava sempre il cliente, finché questi
perdeva la pazienza e gli diceva: " Ma insomma quanto tempo andrai
avanti a dirmi: <Domani! Domani! > Ridammi la mia stoffa perché
non voglio più farla tingere. " Allora il tintore prendeva
a battersi il petto, alzava le braccia al cielo e diceva: " Per Allàh,
fratello mio, io arrossisco davanti a te, ma bisogna pure che ti dica
la verità e possa Allàh castigare coloro che danneggiano
la brava gente,! " " Insomma, " diceva il cliente, "
che cosa è successo? " " Sappi, fratello mio, "
diceva il tintore, " che io feci quello che tu mi avevi ordinato
e tinsi la stoffa in modo perfetto e la misi ad asciugare sulle funi.
Ma ecco che mentre stava lì ad asciugare qualcuno la rubò
e io non so chi sia stato. " Allora, se il cliente era di indole
pacifica, esclamava: " Allàh mi compenserà! "
e se ne andava per i fatti suoi; se invece era un tipo collerico, cominciava
a gridare e a insultare il tintore, ma non riusciva mai a cavar fuori
qualcosa da costui, nemmeno trascinandolo in tribunale. E così
il tintore andò avanti per un pezzo a imbrogliare la gente, finché
la voce delle sue malefatte non cominciò a spargersi per la città,
sì che nessuno volle più servirsi da Abu Qir, la cui malizia
era diventata proverbiale, e ormai cadevano nei suoi imbrogli solo gli
stranieri e coloro che non lo conoscevano. In conseguenza di ciò,
gli affari cominciarono a languire ed egli aveva preso l'abitudine di
andarsene nella bottega del vicino, il barbiere Abu Sir, e di starsene
seduto lì mentre teneva d'occhio la porta del suo negozio. E se
vedeva qualche sconosciuto con della stoffa in mano che si fermava davanti
alla sua bottega, subito si alzava e si faceva incontro al cliente chiedendogli:
" Che cosa cerchi? " E quello gli diceva: " Prendi questa
roba e tingimela. " Allora il tintore gli chiedeva: " In che
colore vuoi che la tinga? " perché, sebbene fosse un imbroglione,
era però espertissimo nella sua arte ed era capace di tingere in
ogni colore, ma a causa delle cattive azioni che commetteva era ridotto
a lottare contro la miseria. Così Abu Qir prendeva la stoffa, si
faceva dare il prezzo in anticipo e quando l'ignaro cliente se n'era andato,
subito correva al mercato a venderla e con il ricavato comprava carne,
verdura, tabacco e non si sa quante altre cose. Se però sulla porta
della bottega vedeva qualcuno che gli aveva già portato della stoffa
da tingere, allora rimaneva nascosto dal barbiere e si guardava bene dal
mostrarsi.
In questo modo andò avanti un anno dopo l'altro, fino a che un
giorno capitò da lui un uomo di quelli che vanno per le spicce
e gli diede della stoffa da tingere e il tintore come al solito la vendette
e ne sperperò il ricavato. Il padrone della stoffa tornò
un giorno dopo l'altro senza mai riuscire a trovare il tintore in bottega,
perché questi, non appena vedeva di lontano quel cliente dai modi
bruschi, subito scappava a rifugiarsi nella bottega del barbiere Abu Sir.
Alla fine quel tale, vedendo che non riusciva a combinare nulla, si stancò
e si rivolse al cadì. Questi ordinò ai suoi uscieri di andare
a sequestrare la stoffa del cliente nel negozio ma, quando gli uscieri
arrivarono alla bottega di Abu Qir, non vi trovarono dentro nemmeno un
pezzetto di stoffa né alcuna cosa che avesse valore. Allora, in
presenza di un certo numero di musulmani, chiusero le porte, le inchiodarono
e il capo degli uscieri, presa la chiave della bottega, disse ai vicini:
" Fate sapere ad Abu Qir il tintore che se rivuole la chiave si presenti
al cadi con la stoffa del tale. " Allora Abu Sir disse ad Abu Qir:
" Si può sapere che imbroglio è questo? Ogni volta
che ti portano della stoffa da tingere, tu la perdi! Dove è finita
la stoffa di quel tale? " " Mio caro vicino, " rispose
il tintore, " me l'hanno rubata. " " Questo è un
portento! " esclamò il barbiere. " E' mai possibile che
tutte le volte che qualcuno ti dà della stoffa da tingere i ladri
te la rubino? Forse che la tua bottega è diventata il luogo di
ritrovo di tutti i mariuoli della città? lo ho la sensazione che
tu menti. Perciò raccontami la verità. " " Ebbene,
vicino caro, " rispose Abu Qir, " sappi che nessuno mi ha mai
rubato nulla. " " Ma allora che cosa ci fai con la roba della
gente? " E il tintore rispose: " Ogni volta che qualcuno mi
porta della stoffa da tingere, io la vendo e spendo i soldi che ne ricavo.
" " E questo ti è permesso da Allàh? " fece
Abu Sir. " Lo faccio solo perché vi sono costretto dalla povertà:
gli affari vanno male e io non guadagno abbastanza per vivere. "
E il tintore andò avanti a lamentarsi del suo mestiere dicendo
che non gli dava abbastanza per vivere e che gli affari andavano ogni
giorno peggio. Anche Abu Sir si lagnò dei pochi guadagni che faceva
con il suo lavoro: " Nel mio mestiere io sono maestro e non ho eguali
in questa città; eppure nessuno viene a radersi da me perché
la mia bottega è povera; cosi, fratello mio, ho finito per odiare
questo lavoro. " " Anch'io odio il mio, per via del fatto che
non mi serve a niente, " fece Abu Qir. " Ma allora io dico,
fratello mio, perché restiamo in questa città? Andiamocene,
tu e io, in qualche altro paese; abbiamo per le mani due mestieri che
sono ricercati in tutto il mondo; cosi cambieremo aria e nello stesso
tempo ci toglieremo da tutti questi guai. " E tanto disse che il
barbiere finì per convincersi che l'idea era buona; e così
rimasero d'accordo di partire insieme.
Dopo che la cosa fu decisa, Abu Qir disse ad Abu Sir: " Vicino mio,
ora siamo diventati come fratelli e fra noi non c'è differenza.
Perciò ritengo che dovremo recitare la fàtiha per impegnarci
a questo: che colui il quale trova lavoro per primo dovrà con i
suoi guadagni sostentare quello che rimane disoccupato. Ciò che
avanza lo metteremo in una cassetta e quando saremo tornati ad Alessandria
ce lo divideremo secondo giustizia. " " Così sia, "
rispose Abu Sir, e con questo accordo lessero il capitolo iniziale del
Corano. Poi Abu Sir chiuse la propria bottega e restituì le chiavi
al padrone, mentre Abu Qir lasciava che l'usciere del cadì si tenesse
le chiavi della sua bottega, la cui porta era inchiodata. Fatto questo,
presero tutte le loro cose e la mattina dopo si imbarcarono per il salso
mare su una galea. Partirono quello stesso giorno e le cose cominciarono
subito a mettersi bene perché, per buona fortuna di Abu Sir, sulla
nave non c'era nemmeno un barbiere, sebbene vi fossero centoventi passeggeri
più il capitano e la ciurma. Perciò quando furono partiti
il barbiere disse al tintore: " Fratello mio, ora siamo in mare e
avremo bisogno di mangiare e di bere; ma le nostre provvigioni sono scarse
e forse il viaggio sarà molto lungo; perciò prenderò
la bacinella e gli altri attrezzi e me ne andrò fra i passeggeri
e chissà che qualcuno non mi dica: < Vieni, o barbiere, e fammi
la barba >, e io lo raderò per una focaccia, per una moneta
d'argento o per un po' d'acqua. Penso che l'idea possa tornare a tutto
vantaggio mio e anche tuo. " " Non ci vedo nulla di male, "
rispose il tintore e si mise a dormire mentre il barbiere prese gli strumenti
e il bacile, si gettò sulle spalle uno straccio a mo' di asciugamano,
perché era un barbiere povero, e se ne andò in giro fra
i passeggeri. Ed ecco che un tale gli disse: " Ehilà, maestro,
fammi la barba! " E quando fu ben rasato il cliente diede mezzo dirham
ad Abu Sir il quale però gli disse: " Fratello mio, questa
moneta mi serve a poco in mezzo al mare. Se tu mi dessi una focaccia sarei
più contento perché io ho un compagno che viaggia con me
e abbiamo poche provviste. "
Così il cliente gli diede una focaccia e una fetta di formaggio
e gli riempì il bacile di acqua fresca. Il barbiere portò
queste cose ad Abù Qir e gli disse: " Mangia il pane e il
formaggio e bevi l'acqua. " Così quello mangiò e bevve
mentre Abu Sir con i suoi attrezzi e il bacile e lo straccio sulle spalle
tornava a girare fra i passeggeri. Un cliente gli diede due focacce, un
altro un pezzo di formaggio e tutti cominciarono a richiedere i suoi servizi
perché non c'era un altro barbiere a bordo. Allora Abu Sir cominciò
a stabilire lui i prezzi e quando qualcuno gli diceva: " Ehilà,
maestro, radimi! " lui chiedeva due focacce e mezzo dirham e i clienti
glieli davano senza fiatare, così che quando arrivò la sera
aveva già messo insieme trenta dirham, oltre a una quantità
di formaggio, di olive e di bottarga. Fra gli altri, rase anche il capitano
con il quale si lamentò delle poche provviste che aveva; e quello
allora gli disse: " Tu sei il benvenuto! Vieni ogni sera a cenare
da me con il tuo compagno e non preoccuparti di nulla finché viaggerai
su questa nave. "
Allora il barbiere tornò dal tintore, che stava ancora dormendo,
e lo svegliò; e quando Abu Qir aprì gli occhi e vide tutta
quell'abbondanza di pane, di formaggio, di olive e di bottarga chiese:
" Da dove viene tutta questa roba? " " Dalla generosità
'dell'Onnipotente, " rispose Abu Sir. Abu Qir avrebbe voluto subito
mettersi a mangiare, ma il barbiere gli disse: " Non mangiare questa
roba, fratello mio, lasciamola per un'altra occasione. Sappi infatti che
anche il capitano è mio cliente e mi sono lamentato con lui delle
poche provviste che avevamo. E allora lui mi ha detto: <Tu, sei il
benvenuto! Tu e il tuo compagno cenerete con me ogni sera.> Così
stasera cominceremo ad andare a cena da lui. " Ma Abu Qir rispose:
" Non posso alzarmi, perché la testa mi gira a causa del mal
di mare: perciò lascia che mangi questa roba e tu va' a cena dal
capitano. " " In questo non ci vedo niente di male, " rispose
Abu Sir, e si mise a sedere a guardarlo mentre mangiava. Vide così
che strappava pezzi di focaccia come il cavatore strappa le pietre dalla
cava e inghiottiva i bocconi come un elefante che non abbia mangiato da
dieci giorni, e non aveva ancora ingollato un boccone che già se
ne cacciava in bocca un altro e fissava quello che aveva in mano con gli
occhi voraci di un orco, e sbuffava e soffiava come un toro affamato davanti
alla paglia e alle fave.
Ma ecco che venne da loro un marinaio e disse al barbiere: " Maestro,
il capitano invita a cena te e il tuo compagno. " Allora il barbiere
disse al tintore: " Non vuoi venire con noi? " E quello rispose:
" Non posso muovermi. " Così il barbiere andò
da solo e trovò il capitano, seduto davanti ad un vassoio carico
d'una ventina e più di piatti, che insieme con i suoi commensali
aspettava lui e il suo compagno. Quando il capitano lo vide, gli chiese:
" Dov'è il tuo amico? " E Abu Sir rispose: " Signore
mio, ha il mal di mare. " Allora il capitano gli disse: " Non
è niente di male; gli passerà presto; tu portagli la sua
parte della cena e torna qui che ti aspettiamo. " Poi il capitano
mise in un piatto un poco di ogni pietanza e ne venne fuori una porzione
che sarebbe bastata per dieci persone; la diede ad Abu Sir e gli disse:
" Porta questa roba al tuo compagno. " Così Abu Sir prese
il piatto e lo portò al tintore, e lo trovò che stava macinando
con le ganasce come fosse stato un cammello e ingollava un boccone dopo
l'altro. " Non t'avevo detto di non mangiare questa roba? "
fece Abu Sir. " Il capitano è proprio una persona gentile.
Guarda che cosa ti ha mandato quando ha saputo che avevi il mal di mare.
" " Da' qua, " gridò il tintore e gli strappò
di mano il piatto buttandosi sulle pietanze con la furia di un cane ringhioso
o di un leone affamato o di un falco che sbrani un piccione. Allora Abu
Sir lo lasciò e tornò dal capitano e cenò in santa
pace e bevve il caffè con questi. Dopo di che tornò da Abu
Qir e trovò che aveva mangiato ogni cosa e il piatto era completamente
vuoto.
La mattina dopo Abu Sir si levò e ricominciò a far barbe
e tutto quello che guadagnava lo portava al suo compagno, il quale mangiava,
beveva e non si muoveva dal suo posto salvo che per fare ciò che
altri non avrebbero potuto fare per lui; e come se non bastasse, ogni
sera il barbiere gli portava dalla tavola del capitano un piatto pieno
di cibo. Andarono avanti così per una ventina di giorni fino a
che la nave gettò l'ancora nel porto di una città; allora
presero congedo dal capitano e sbarcarono ed entrati che furono in città
affittarono una stanza in un caravanserraglio. Abu Sir si procurò
tutto l'occorrente per dormire e per cucinare, poi andò a fare
la spesa e preparò il pranzo; Abu Qir, invece, non appena mise
piede nella stanza del caravanserraglio, si buttò giù a
dormire e si svegliò solo quando Abu Sir gli pose, davanti il piatto
con il mangiare. Si svegliò, mangiò, poi, dicendo ad Abu
Sir: " Abbi pazienza, ma non mi sento bene, " si rimise a dormire.
Continuò in questo modo per quaranta giorni mentre il barbiere
ogni mattina prendeva i suoi attrezzi e se ne andava in giro per la città,
guadagnando secondo la sua fortuna e, quando tornava a casa trovava il
tintore che dormiva ancora e lo svegliava. Non appena apriva gli occhi,
quello si buttava sul cibo come uno che non riesca a saziare la propria
fame, dopo di che si riaddormentava di nuovo. E in questo modo passarono
altri quaranta giorni, e ogni volta che il barbiere gli diceva: "
Tirati su e va' apprendere una boccata d'aria per la città; è
un posto bello e piacevole e non ha l'eguale fra le altre città,
" quello rispondeva invariabilmente: " Abbi pazienza, ma non
mi sento bene. "
Abu Sir taceva, perché non voleva offendere i suoi sentimenti né
voleva dirgli qualche parola aspra. Accadde però che il quarantunesimo
giorno egli si ammalasse e non potesse andare in giro a lavorare; allora
chiamò il portiere del caravanserraglio e lo pregò di andare
a comperare qualcosa da mangiare e da bere, mentre Abu Qir non faceva
altro che rimpinzarsi e dormire. Il portinaio continuò a servirli
in questo modo per quattro giorni, al termine dei quali la malattia si
aggravò e Abu Sir perse conoscenza. Allora Abu Qir, sentendo gli
stimoli della fame, si alzò, frugò fra gli abiti del suo
compagno e trovò mille dirham d'argento. Li prese, chiuse la porta
della stanza e se ne andò senza dir niente a nessuno. E nemmeno
il portinaio lo vide uscire, perché in quel momento si trovava
al mercato. Abu Qir se ne andò difilato al bazar dove si comprò
degli abiti costosi, poi si mise a passeggiare per le strade e si divertì
a guardare la città e constatò che non aveva eguali fra
le altre città. Ma osservò pure che tutti gli abitanti erano
vestiti di bianco e di blu e che non esistevano altri colori.
Allora si recò da un tintore e, vedendo che nella bottega di costui
ogni cosa era tinta di blu, tirò fuori un fazzoletto e disse: "
Maestro, prendi questo, tingimelo e guadagnati la tua mercede. "
Il tintore prese il fazzoletto e disse: " Ti verrà a costare
venti dirham. " " Al nostro paese, " rispose Abu Qir, "
me lo tingerebbero per due. " " E allora, " rispose quello,
" va' a fartelo tingere al tuo paese!-
Il mio prezzo è venti dirham e non lo calerò di un soldo.
" " Di che colore me lo tingerai? " " Te lo tingerò
di blu. " " Lo vorrei tinto di rosso. " "Non sono
capace di tingerlo in rosso. " " Allora tingilo in verde. "
" Non sono capace di tingerlo in verde. " " In giallo.
" " Neppure in giallo. " E Abu Qir continuò ad elencargli
i diversi colori uno dopo l'altro fino a che il tintore disse: "
In questa città siamo quaranta tintori, né uno di più
né uno di meno. E quando uno di noi muore insegnano il mestiere
al figlio, e se non ha figli il nostro numero diminuisce di uno; se invece
lascia due figli insegnano il mestiere a uno dei due, e se quello che
ha imparato il mestiere muore allora lo insegnano al fratello. Così
è ordinata la nostra arte e noi sappiamo tingere solo in blu e
in nessun altro colore. " Allora Abu Qir disse: " Sappi che
anch'io sono tintore e sono capace di tingere in tutti i colori; e se
tu mi prenderai al tuo servizio ti insegnerò tutti i segreti della
mia arte, così che tu possa andare fiero fra i tuoi colleghi tintori.
" Ma quello rispose: " Non ammettiamo stranieri nella nostra
arte." " E se io aprissi una tintoria per conto mio? "
chiese Abu Qir. " In nessun modo noi lo permetteremmo. " Allora
Abu Qir lo lasciò e andò a trovare un altro tintore, al
quale fece la stessa proposta ricevendone però l'identica risposta.
E per tutto il giorno non fece altro che andare da un tintore all'altro
finché non ebbe fatto il giro di tutti e quaranta gli artigiani;
ma nessuno voleva accettarlo nel mestiere come padrone o come lavorante.
Allora Abu Qir andò a trovare lo sceicco dei tintori e gli disse
quello che gli era capitato, ed anche da questo si senti rispondere: "
Noi non ammettiamo stranieri nella nostra arte. " Visto fallire anche
questo tentativo, Abu Qir andò a lamentarsi dal re di quella città
dicendo: " 0 re del nostro tempo, io sono uno straniero e di mestiere
faccio il tintore. " E gli raccontò come erano andate le cose
fra lui e i tintori della città aggiungendo: " lo sono capace
di tingere in varie gradazioni di verde, quali verde-erba, verde pistacchio,
verde-oliva e verde-pappagallo, e in varie gradazioni di nero, quali nero-carbone
e nero-kuhl, e in varie gradazioni di giallo, quali arancio e limone ",
e continuò ad elencargli tutta la gamma dei colori. Alla fine disse:
" 0 re del nostro tempo, i tintori della tua città non sono
capaci di lavorare con questi colori perché sanno tingere solo
in blu, e ciò nonostante non vogliono accogliermi nel loro mestiere
né come padrone né come lavorante. " E il re gli rispose:
" Tu dici giusto, perciò io ti aprirò una tintoria
e ti darò il capitale necessario, e tu non dovrai preoccuparti
di costoro, perché chiunque si azzarderà a darti fastidio
lo impiccherò davanti alla sua bottega. "
Poi mandò a chiamare gli architetti di corte e disse loro: "
Andate in giro per la città con questo maestro tintore, e quando
egli avrà scelto un posto di suo gradimento, sia bottega o caravanserraglio
o qualcosa d'altro, fate sgombrare gli occupanti e costruitegli in quel
luogo una tintoria secondo i suoi desideri. Fate tutto quello che egli
vi ordinerà e non contrariatelo in nulla. " Poi gli regalò
un bell'abito e gli diede due schiavi bianchi per servirlo, un cavallo
con finimenti di broccato e mille dinàr, dicendo: " Spendili
per le tue necessità fintanto che la costruzione non sia finita.
" Con quell'abito addosso e montato su quel cavallo, Abu Qir aveva
proprio l'aria di un emiro. Infine, il re gli assegnò una casa
e gliela fece ammobiliare e quando fu pronta Abu Qir andò ad abitarci.
L'indomani montò cavallo e se ne andò in giro per la città
preceduto dagli architetti; guardò a destra e a sinistra fino a
che vide un posto che gli piaceva e disse: " Questo fa al caso mio.
" Allora presero il padrone del posto e lo portarono dal re, il quale
lo risarcì dandogli tutto quello che voleva e anche di più.
Quindi gli architetti si misero al lavoro mentre Abu Qir diceva loro:
" Costruite così e così e fate questo e quello. "
E alla fine gli costruirono una tintoria che non aveva l'eguale; allora
Abu Qir sì presentò davanti al re e lo informò che
la tintoria era stata costruita e che bisognava comperare le materie coloranti
e gli attrezzi per farla funzionare. Allora il re disse: " Prendi
questi quattromila dinàr come capitale e fammi vedere i frutti
della tua arte. " Abu Qir prese il denaro e andò al mercato,
dove trovò che le materie necessarie per i colori erano abbondanti
e non costavano quasi nulla; così comprò tutto quello che
gli occorreva per tingere; poi il re gli mandò cinquecento pezze
di stoffa ed egli le tinse in tutti i colori, poi le stese ad asciugare
davanti alla porta della tintoria. Quando la gente che passava davanti
alla bottega vide quella meraviglia mai vista, cominciò ad assieparsi
sulla porta godendosi lo spettacolo e chiedendo al tintore: " Maestro,
come si chiamano questi colori? " E Abu Qir rispondeva: " Questo
è rosso, e quello è giallo, e quell'altro è verde,
" e così di seguito nominava tutti gli altri colori. Allora
la gente si affrettò a portargli pezze di stoffa dicendogli: "
Tingicela così e così e prenditi il prezzo che vuoi. "
Quando ebbe finito di tingere le stoffe del re, Abu Qir le fece portare
al Divano e come il re le vide ne fu molto contento e fece grandi donazioni
al tintore. E inoltre tutti i soldati della guardia gli portarono delle
stoffe dicendogli: " Tingicele così e così ",
e Abu Qir le tingeva secondo i loro desideri e quelli gli davano oro e
argento. In breve la sua fama si diffuse ovunque e la sua bottega fu conosciuta
come la " Tintoria del Sultano ". Gli altri tintori non ebbero
il coraggio di dir nulla contro di lui, ma si recarono alla sua bottega,
gli baciarono le mani e, dopo essersi scusati per il modo in cui lo avevano
trattato gli dissero: " Ti preghiamo di prenderci come tuoi lavoranti.
" Ma Abu Qir non volle prendere nessuno di loro, perché aveva
già al suo servizio schiavi e schiave ed era diventato un uomo
ricco.
Questo per quanto riguarda Abu Qir.
Abu Sir, invece, dopo che il suo compagno lo ebbe chiuso nella stanza
rubandogli il denaro, rimase gravemente ammalato e senza conoscenza per
tre giorni, passati i quali il portinaio del caravanserraglio vide per
caso la porta chiusa con il catenaccio e si ricordò di non aver
più visto né sentito i due amici. Allora pensò: "
Forse hanno tagliato la corda senza pagare l'affitto, o forse sono morti,
o forse è capitata loro qualche altra cosa. " Aspettò
fino a sera, poi salì di nuovo e sentì venire dall'interno
della stanza i gemiti del barbiere. Vide che la chiave era nella serratura,
così aprì la porta, entrò e, visto Abu Sir disteso
che si lamentava, gli disse: " Che Allàh allontani da te ogni
male; dove è il tuo amico? " Abu Sir rispose: " Per Allàh,
ho ripreso i sensi solo oggi ed ho chiamato, ma nessuno mi ha risposto.
Allàh sia sopra di te, fratello, cerca la borsa che ho sotto la
testa, prendine cinque mezzi dirham e comprami qualcosa di nutriente perché
sono sfinito dalla fame. " Il portinaio allungò la mano, prese
la borsa ma la trovò vuota e disse al barbiere: " La borsa
è vuota; dentro non c'è niente. " Allora Abu Sir capì
che Abii Qir aveva preso i soldi e se n'era andato e chiese al portinaio:
" Hai visto per caso il mio amico? " E il portinaio rispose:
" Sono tre giorni che non lo vedo; anzi, pensavo che tu e lui foste
partiti. " Il barbiere gridò: " No, purtroppo; il mio
denaro gli ha fatto gola, lo ha preso ed è fuggito approfittando
del fatto che ero malato. " Ciò detto, si mise a piangere
e a lamentarsi, ma il portinaio gli fece: " Allàh tenga lontano
da te ogni male e ripaghi lui per quello che ha fatto. " E ciò
detto se ne andò a cucinargli un po' di brodo, gliene riempì
una scodella e glielo portò, e continuò a curarlo e a dargli
da mangiare a spese sue per due mesi, trascorsi i quali il barbiere fece
una gran sudata e l'Onnipotente lo guarì della sua malattia. Quando
fu di nuovo in piedi, Abu Sir disse al portinaio: " Semmai l'altissimo
me ne darà i mezzi, ti ricompenserò per la tua bontà,
sebbene colui che ricompensa sia solo Allàh. "
" Allàh sia lodato per la tua guarigione, " rispose il
portinaio. " Quello che ho fatto l'ho fatto solo nel nome di Allàh
il Misericordioso. " Cosi il barbiere uscì di nuovo dal caravanserraglio
e se ne andò in giro per i mercati della città, fino a che
il destino lo condusse nel suk dove era la tintoria di Abu Qir; egli vide,
stese davanti alla bottega, stoffe di vari colori e una folla che faceva
ressa per guardarle. Incuriosito chiese ad uno degli astanti: " Che
luogo è questo? E perché tutta questa folla? " e quello
gli rispose: " Questa è la Tintoria del Sultano, che è
stata costruita apposta per uno straniero di nome Abu Qir; e ogni volta
che, egli tinge delle stoffe accorriamo tutti perché ci divertiamo
a vederlo lavorare in quanto al nostro paese non ci sono tintori che sappiano
tingere con questi colori. E sappi che costui ha fatto la sua fortuna
in questo e questo modo. " E così dicendo raccontò
tutto quello che era capitato ad Abu Qir con i tintori, e poi con il sultano,
e il modo in cui quest'ultimo gli aveva fatto costruire la tintoria, e
ogni altra cosa. Sentendo ciò il barbiere si rallegrò e
si disse: " Sia lodato Allàh che lo ha aiutato a diventare
un maestro nel suo mestiere; senza dubbio egli è da scusare perché,
se si è dimenticato di te, è stato a causa del suo lavoro.
Ma tu sei stato gentile con lui e lo hai trattato generosamente quando
non lavorava, così non appena ti vedrà sarà lieto
e ti tratterà generosamente così come tu hai fatto con lui,
" Dopo aver pensato ciò, Abu Sir si fece strada - verso la
porta della tintoria e vide Abu Qir disteso su un divano accanto, all'uscio
con indosso abiti regali e servito da quattro schiavi negri e da quattro
schiavi bianchi, tutti vestiti con abiti ricchissimi. Vide inoltre dieci
schiavi negri intenti a lavorare, in quanto Abu Qir, dopo averli comperati,
aveva insegnato loro il mestiere e adesso lui se ne stava seduto su quel
soffice divano a sorvegliarli come se fosse stato un gran visir o un potente
monarca che non alzava un dito ma si limitava a dire agli uomini: "
Fai questo e fai quest'altro. " Allora il barbiere si fece avanti
pensando che Abu Qir sarebbe stato lieto di rivederlo e l'avrebbe salutato
e l'avrebbe trattato con tutti gli onori. E invece, quando il tintore
si accorse di Abu Sir, cominciò a gridare: " Mascalzone, quante
volte ti ho detto di non fermarti sulla porta della mia bottega? Ladro
che non sei altro, vuoi forse rovinare la mia reputazione davanti alla
gente? Prendetelo! " Allora gli schiavi negri si precipitarono su
Abu Sir tenendolo fermo mentre il tintore si alzava dal divano e diceva:
" Buttatelo fuori. " Così gli schiavi lo buttarono in
mezzo alla strada e Abu Qir prese un bastone e gli assestò cento
bastonate sulla schiena, poi ordinò che lo rivoltassero e gli diede
altre cento bastonate sulla pancia. Quindi gli disse: " Mascalzone,
farabutto, se ti trovo ancora una volta sulla porta della mia tintoria
ti spedirò dal re, il quale ti consegnerà al capo della
polizia che ti taglierà la testa. Vattene, e che Allàh ti
neghi le sue benedizioni. "
Così il povero Abu Sir si allontanò con il cuore a pezzi
a causa della bastonatura e della scenata che gli era stata fatta, mentre
gli astanti chiedevano ad Abu Qir: " Che cosa ha fatto quest'uomo?
" " Quest'uomo, " rispose Abu Qir, " è un ladro,
che ruba la stoffa dei clienti; mi ha già derubato non so quante
volte, e ogni volta io mi sono detto < Allàh lo perdoni, è
un pover'uomo > e non ho voluto infierire su di lui. Risarcivo di tasca
mia i clienti e cercavo di far capire ragione a questo gaglioffo. Ma lui
non se n'è dato per inteso. Perciò, se mi comparirà
ancora una volta davanti, lo manderò dal re, che lo farà
giustiziare liberando così i suoi sudditi da questa peste. "
E allora tutti i presenti, sentendo come stavano le cose, cominciarono
a lanciare improperi all'indirizzo del barbiere.
Questo, dunque, fu il comportamento di Abu Qir.
Quanto ad Abu Sir, tornò nel caravanserraglio e si mise a sedere,
meditando su quello che il tintore gli aveva fatto; e rimase seduto fino
a che il dolore delle bastonate non passò, quindi uscì di
nuovo andandosene per i mercati della città. Ed ecco che gli venne
in mente di andare a fare un bagno, così fermò un passante
e gli chiese: " Fratello mio, qual è la strada per andare
ai bagni? " E quello gli rispose: " E che cosa sarebbero questi
bagni?" " Il bagno, " rispose Abu Sir, " è
un posto dove la gente si lava, liberandosi di ogni sporcizia e impurità,
e questa è una delle cose, più piacevoli del mondo. "
E quell'altro rispose: " Se è per lavarti, va' al mare. "
Ma il barbiere replicò: " Io cerco un bagno pubblico. "
E allora quell'altro spazientito gli disse: " Noi non sappiamo che
cosa sia un bagno pubblico, perché quando dobbiamo lavarci andiamo
al mare; anche il re, quando vuole lavarsi, va al mare. " Quando
Abu Sir si fu convinto che in quella città non c'erano bagni e
che la gente non sapeva che cosa fosse un bagno pubblico, se ne andò
al Divano del re e, dopo aver baciato la terra davanti al sovrano e avere
invocato su di lui le benedizioni di Allàh, gli disse: " Sappi,
sire, che io sono straniero e di professione bagnino, e appena arrivato
nella tua città ho pensato di andare al bagno; ma non ne ho trovato
nessuno. Come mai una città bella quale è la tua non ha
un bagno pubblico, considerando che il bagno è uno dei più
grandi piaceri di questo mondo? " Allora il re gli disse: "
Che cosa sarebbe questo bagno pubblico? " Così Abu Sir gli
spiegò che cosa fosse un bagno pubblico e come funzionasse e concluse
dicendo: " La tua capitale non sarà una città perfetta
fino a che non avrà un bagno pubblico. " " Che tu sia
il benvenuto, " disse il re, e gli fece indossare un vestito che
non aveva l'eguale, gli regalò un cavallo, due schiavi negri e
quattro schiave ed altrettanti schiavi bianchi; gli mise poi a disposizione
una casa arredata di tutto punto e lo colmò di doni anche più
ricchi di quelli che aveva fatto al tintore. Dopo di ciò, ordinò
agli architetti di corte: " Costruite per costui un bagno pubblico
nel luogo che egli riterrà più opportuno. " Allora
Abu Sir uscì con gli architetti e cominciò a girare la città
fino a che vide un posto che gli sembrò adatto al caso. Lo disse
agli architetti e quelli si misero subito al lavoro sotto la sua direzione,
e lavorarono così bene che gli costruirono un bagno che non aveva
l'eguale. Poi Abu Sir ordinò loro di dipingerlo, ed essi lo dipinsero
meravigliosamente, così che era un piacere guardarlo; dopo di ciò
Abu Sir tornò dal re e gli disse che il bagno era stato costruito
e decorato, aggiungendo: " Ora non manca altro che la mobilia e l'attrezzatura.
" Allora il re gli diede diecimila dinàr con cui Abu Sir arredò
il bagno sistemando gli asciugamani bene in ordine sulle funi, e tutti
quelli che passavano davanti alla porta del bagno guardavano e, rimanevano
sbalorditi per la bellezza del locale. La gente si affollava per ammirare
quello spettacolo che non aveva mai visto in vita sua e si chiedeva: "
A che cosa serve questo edificio? " E Abu Sir rispondeva: "
Questo è un bagno pubblico. " E tutti si meravigliavano grandemente.
Quando ebbe scaldato l'acqua e messo ogni cosa in ordine, Abu Sir fece
zampillare l'acqua nella grande piscina e questo spettacolo mandò
in estasi tutti coloro che lo videro. Poi chiese al sovrano dieci schiavi
non ancora adolescenti e quello gli diede dieci ragazzi belli come lune.
Allora Abu Sir li insaponò e li lavò per bene dicendo loro:
" Dovrete fare la stessa cosa ai clienti. " Quindi bruciò
profumi e spedì un banditore ad annunciare per tutta la città:
" 0 creature di Allàh accorrete tutti al bagno pubblico chiamato
il Bagno del Sultano. " E allora tutti i sudditi di quel paese accorsero
al bagno, e Abu Sir ordinò ai giovani schiavi di lavare i clienti.
I clienti si tuffavano nella piscina e poi si sedevano sui gradini della
medesima mentre i ragazzi li insaponavano come Abu Sir aveva insegnato
loro di fare; e così per tre giorni la gente continuò ad
accorrere al bagno, e fu servita gratis e uscì senza pagare. Il
quarto giorno il barbiere invitò il re, il quale montò a
cavallo, seguito da tutti i dignitari del regno, e se ne andò al
bagno e qui giunto si tolse gli abiti ed entrò; allora Ahu Sir
si avvicinò a lui e gli strofinò il corpo con i guanti di
spugna togliendogli dalla pelle dei filamenti di sporcizia che man mano
mostrava al re. il quale ne era tutto contento; dopo averlo lavato ben
bene, Abu Sir fece immergere il re in una vasca di acqua mescolata ad
essenza di rose, e quando ne uscì, il sovrano senti che il suo
corpo era rinfrescato leggero e vivo come non lo era mai stato. Poi il
barbiere fece distendere il sovrano su un lettuccio e i ragazzi cominciarono
a massaggiarlo, mentre negli incensieri bruciava finissimo legno di aloe
profumato. Allora il re disse: " Maestro, questo è quello
che tu chiami un bagno? " " Sì, " rispose Abu Sir.
E il re disse: " Per la mia vita, solo con questo bagno la mia città
è diventata veramente una città. " E subito dopo aggiunse:
" E quanto pensi di prendere a persona? " E Abu Sir rispose:
" Quello che tu mi ordinerai di prendere. " Allora il re esclamò:
" Chiunque si laverà nel tuo bagno, pagherà mille dinàr
d'oro. " Ma Abu Sir gli disse: " Scusami, o re del nostro tempo,
non tutti gli uomini sono uguali, ma vi sono di quelli ricchi e di quelli
poveri, e se io esigo da ciascuno mille dinàr il bagno rimarrà
vuoto, perché i poveri non potranno permettersi di pagare questa
somma. " " E allora che prezzo vuoi stabilire? " gli chiese
il re. E il barbiere rispose: " Lo lascerò alla loro generosità.
Ognuno pagherà secondo quello che sente di poter pagare e noi riscuoteremo
da ogni cliente secondo i mezzi che ha. In questo modo tutti accorreranno
al bagno, e chi è ricco darà secondo il suo grado e chi
è meno ricco darà quello che potrà. In tal modo il
bagno sarà sempre pieno di clienti e prospererà: infatti,
mille dinàr sono un regalo da re, e non tutti possono permettersi
questa somma. " I dignitari della corte approvarono le parole di
Abu Sir dicendo: " Questo è vero, o re del nostro tempo. Pensi
forse che tutti siano come te, o re glorioso? " E il re rispose:
" Voi dite bene! Ma questo straniero è povero, ed è
nostro dovere trattarlo generosamente, perché egli ha creato nella
nostra città questo bagno di cui non avevamo mai visto l'eguale
in vita nostra e senza il quale la nostra città non sarebbe stata
degna di essere quella che è. Perciò non ricompenseremo
mai abbastanza i suoi servigi. " Ma i dignitari dissero: " E
tu mostrati generoso con il tuo denaro, in modo che la liberalità
del re sia nota ai poveri proprio in virtù del basso prezzo del
bagno, così che tutti i tuoi sudditi possano benedirti. Ma, quanto
a fissare un prezzo di mille dinàr, noi che siamo dignitari del
tuo regno ti diciamo francamente che ci dispiacerebbe di pagarli; e allora
come pensi che i poveri potrebbero permettersi un simile salasso? "
E il re disse: " 0 miei dignitari, per questa volta ciascuno di voi
gli darà cento dinàr più uno schiavo bianco, una
schiava e uno schiavo negro. " E quelli dissero: " Va bene,
gli daremo tutto questo; ma da oggi in poi chiunque entrerà nel
bagno gli darà solo quello che può permettersi di pagare.
" " In questo non vedo nulla di male, " disse il re. E
poiché i dignitari che si erano bagnati con il re quel giorno erano
quattrocento, così Abu Sir ricevette in totale quarantamila dinàr,
oltre a quattrocento schiavi bianchi e a un ugual numero di negri e di
schiave. Il re, dal canto suo, gli diede diecimila dinàr, nonché
alcuni schiavi bianchi, dieci schiave, e un ugual numero di schiavi negri.
Allora Abu Sir si avanzò, baciò la terra davanti al sovrano
e disse: " 0 nobile sovrano, signore di giustizia, dove metterò
tutte queste donne e questi schiavi? " E il re disse: " 0 povero
di spirito, io ho ordinato ai miei nobili di trattarti in questo modo
perché tu potessi mettere insieme una consistente fortuna, di modo
che, nel caso ti pungesse il desiderio di rivedere il tuo paese, la tua
famiglia e tu volessi ritornare in patria, tu potessi portar via dal nostro
paese quanto è sufficiente per vivere con agiatezza. " E Abu
Sir gli rispose: " 0 re del nostro tempo, che Allàh ti conceda
ogni fortuna. Questi schiavi, queste schiave e questi negri si addicono
solo a un sovrano! Se tu avessi ordinato di darmi solo del denaro, per
me sarebbe stato molto più utile che non questo esercito. Infatti,
costoro devono mangiare e bere e vestirsi, e le mie sostanze non basteranno
mai per mantenere tutta questa gente. " Allora il re si mise a ridere
e disse: " Per Allàh, tu parli bene! Questi schiavi infatti
sono un vero esercito e tu non hai la possibilità di mantenerli;
ma dimmi: sei disposto a vendermeli per cento dinàr a testa? "
E Abu Sir disse: " Te li venderò per questo prezzo. "
Allora il re ordinò al suo tesoriere di andare a prendere i quattrini
e questo pagò ad Abu Sir il prezzo convenuto senza nemmeno trattenere
per se la provvigione d'uso. Quando l'affare fu concluso, il re restituì
gli schiavi ai loro proprietari dicendo: " Che ciascuno riprenda
i propri schiavi; essi sono un dono che io faccio a voi. " E i dignitari
obbedirono all'ordine del re e ciascuno prese quello che gli spettava,
mentre Abu Sir diceva al sovrano: " Che Allàh ti liberi, o
re del nostro tempo, così come tu hai liberato me da questi orchi
le cui pance possono essere riempite solo da Allàh! " A questa
uscita il re si mise a ridere di cuore, poi insieme con i grandi del regno,
se ne andò dal bagno e tornò al palazzo, mentre il barbiere
passava la nottata a contare i suoi soldi e a chiuderli in tanti sacchetti
che poi sigillò.
La mattina dopo Abu Sir mandò in giro per la città un banditore
ad annunciare: " Chiunque andrà nel Bagno del Sultano a lavarsi,
pagherà quello che può e quello che la sua generosità
gli impone di dare. " Poi il barbiere si sedette alla cassa e i clienti
cominciarono ad affluire, e ognuno pagava quello che poteva, ma anche
così la cassa in breve si riempì con i doni dell'Altissimo.
Qualche tempo dopo, anche la regina esternò il desiderio di recarsi
al bagno, e quando Abu Sir lo seppe divise la giornata in due metà
e quella dall'alba a mezzogiorno la riservò agli uomini e quella
da mezzogiorno al tramonto alle donne. E quando arrivò la sovrana
egli mise alla cassa una schiava, perché aveva istruito quattro
schiave nei servizi del bagno e queste erano diventate esperte bagnine.
La regina rimase molto soddisfatta del bagno e quando uscì lasciò
alla cassa mille dinàr.
E la notizia si diffuse per tutta la città aumentando la fama di
Abu Sir, il quale diventò in breve noto a tutti e amico intimo
delle guardie reali. Il re aveva preso l'abitudine di andare al bagno
una volta alla settimana lasciando ogni volta mille dinàr, mentre
gli altri giorni erano riservati ai ricchi e ai poveri insieme. Ora avvenne
che un giorno anche il comandante della flotta del re andò al bagno,
e Abu Sir si spogliò ed entrò personalmente nella vasca
con lui, e lo insaponò e lo trattò con grande cortesia.
E quando il comandante fu uscito dalla vasca gli preparò un sorbetto
e un caffè e alla fine non volle assolutamente accettare nulla,
così che il comandante si trovò obbligato verso di lui a
causa di tante gentilezze e non sapeva come fare per ripagarlo della sua
cortesia.
Questo per quanto riguarda Abu Sir. Nel frattempo, Abu Qir sentiva decantare
da ogni parte questo bagno, e uno diceva: " Questo bagno è
davvero un paradiso terrestre! " e un altro esclamava: " Se
Allàh lo vuole, carissimo tal dei tali, domani vieni con noi in
questo bagno delizioso! " Alla fine si disse: " Bisogna che
faccia come tutti e che vada a vedere questo bagno che entusiasma tanto
la gente. "
Così un bel giorno indossò il suo più bel vestito
e a cavallo di una mula, seguito da quattro schiavi bianchi, e da quattro
schiavi negri, se ne andò al bagno. Quando arrivò alla porta,
sentì l'odore del legno di aloe bruciato e vide gente che entrava
e che usciva e vide le panche di attesa piene di pezzi grossi e di poveri
diavoli. Allora entrò nel vestibolo e vide Ahu Sir, che gli andò
incontro facendogli festa; ma il tintore gli disse: " E' questo il
modo in cui si comportano gli uomini dabbene? Io ho aperto una tintoria
e sono diventato il miglior tintore della città: ho rapporti con
il re e sono diventato ricco e autorevole. Ma tu, mai che sia venuto a
cercarmi o che ti sia chiesto., < Dov'è il mio compagno? >
Per parte mia, io ti ho cercato invano, ho mandato schiavi e servi a chiedere
di te in tutti i caravanserragli e in altri posti, ma nessuno ha saputo
dirmi dove eri andato né ho potuto avere tue notizie. " Allora
Abu Sir gli disse: " Forse che io non sono venuto a trovarti e tu
mi hai trattato da ladro bastonandomi e disonorandomi davanti alla gente?
" A questo punto Abu Qir aggrottò la fronte e chiese: "
Ma che cosa stai dicendo? Eri forse tu quello che ho bastonato? "
" Sì, ero proprio io. " Allora Abu Qir gli giurò
mille volte che non lo sapeva e gli disse: " C'era un tale che ti
somigliava e che ogni giorno veniva in negozio a rubarmi la stoffa dei
clienti, e io ti ho scambiato per lui. " E continuò facendo
tutta una scena di rammarico e di pentimento, battendo le palme delle
mani e dicendo: " Non c'è mai stata potenza se non in Allàh,
il Glorioso e il Grande! Certo io ho peccato contro di te, ma anche tu,
perché non ti sei fatto conoscere e non mi hai detto: <Io sono
il tale?> A pensarci bene, la colpa è tua, perché non
ti sei fatto riconoscere, soprattutto vedendo che io ero lì distratto
dal lavoro. " " Che Allàh ti perdoni, amico mio! "
rispose Abu Sir. " Tutto quanto è accaduto era scritto e solo
Allàh può porvi rimedio. Entra, togliti gli abiti e bagnati
a tuo piacimento. "
Allora il tintore disse: " Per Allàh, ti supplico, amico mio,
di perdonarmi! " E Abu Sir rispose: " Allàh ti liberi
da ogni biasimo e ti perdoni! In realtà tutto questo mi era stato
decretato fin dall'eternità. " Poi Abu Qir gli chiese: "
Come mai sei arrivato a sistemarti così bene? " " Colui
che ha aiutato te ha aiutato anche me, " rispose Abu Sir. "
Infatti io sono andato dal re, gli ho parlato dei nostri bagni pubblici
e allora lui ha dato ordine di costruirmene uno>. " Allora il
tintore disse: " Anch'io, come te, sono conosciuto dal sovrano e,
se Allàh lo vuole, farò in modo che egli ti ami e ti favorisca
sempre più per amor mio. Egli non sa che tu sei mio amico, ma io
lo informerò di ciò e ti raccomanderò a lui. "
Ma Abu Sir disse: " Ti ringrazio, ma non ho bisogno di raccomandazioni.
Il re e la sua corte mi hanno preso a benvolere e mi hanno regalato questo
e quello. " E gli raccontò tutto quello che gli era accaduto,
e alla fine gli disse: " Togliti gli abiti dietro alla cassa ed entra
nella vasca, e io personalmente ti servirò e ti strofinerò
con i guanti. "
Così Abu Sir entrò nel bagno con lui, e lo insaponò
e lo strofinò e lo accudì fino a che Abu Qir uscì
dalla vasca, e poi gli portò cibi e sorbetti per ristorarsi, mentre
tutti i presenti si meravigliavano per questo trattamento. Alla fine Abu
Qir avrebbe voluto lasciargli qualcosa, ma Abu Sir giurò che non
avrebbe accettato nemmeno un soldo da lui e gli disse: " Mi vergogno
al solo pensarlo! Tu sei mio amico e non vi è nessuna differenza
fra noi. " Allora Abu Qir gli disse: " Per Allàh, amico
mio, questo tuo bagno è veramente (ottimo, ma nel servizio manca
qualcosa. " " Che cosa manca? " chiese Ahu Sir. E Abu Qir
rispose: " Quell'impasto fatto di arsenico giallo e calce che serve
così bene a depilare. Perché non ne prepari un po' e non
l'offri al re, la prossima volta che viene al bagno, insegnandogli come
usarlo per togliersi i peli? Vedrai che egli ti amerà e ti onorerà
ancora di più. " " Hai proprio ragione! " esclamò
Abu Sir. " E se Allàh lo vuole preparerò subito un
po' di quella pasta. "
Uscito dal bagno Abu Qir montò sulla mula e se ne andò difilato
dal re al quale disse: " 0 re del nostro tempo, devo darti un avvertimento!
" " Di che avvertimento si tratta? " chiese il re. E Abu
Qir di rimando: " Ho sentito dire che tu hai costruito un bagno.
" " E' vero, " rispose il re. " E' venuto da me uno
straniero e ho costruito per lui un bagno così come ho costruito
per te una tintoria. E mi sembra proprio un bagno bellissimo che costituisce
un ornamento della mia città. " " Ci sei mai entrato?
" gli chiese il tintore. " Sì, " rispose il re.
Allora Abu Qir si mise a gridare: " Che Allàh sia lodato in
eterno per averti salvato dalle malefatte di quell'impostore, nemico della
fede: sto parlando di quel perfido bagnino. " " Che cosa hai
da dire contro di lui? " " Sappi, o re del nostro tempo, "
replicò Abu Qir, " che se tu ti recherai ancora una volta
nel bagno sicuramente perirai. " " E in che modo? " "
Questo bagnino è nemico tuo e della fede, e ti ha indotto a costruire
quel bagno solo per poter avere il modo di avvelenarti. Egli ha preparato
una pasta che ti offrirà, quando entrerai nel bagno, dicendo: <Questo
è un impasto che se viene applicato alle parti basse toglie i peli
senza dolore.> Invece, non è niente di simile, ma si tratta
di un veleno mortale, ed egli fa ciò perché il sultano dei
cristiani ha promesso a questo lurido individuo di liberargli la moglie
e i figli, che sono suoi prigionieri, se egli ti ucciderà. Io so
queste cose perché ero prigioniero con lui presso i cristiani e
mi misi a esercitare la mia arte di tintore, come ho fatto qui, sì
che il loro re prese a benvolermi e un bel giorno mi chiese che cosa desiderassi,
e io gli dissi di liberarmi.
E una volta libero sono venuto a stabilirmi in questa città, e
oggi mi è capitato d'incontrare quell'uomo nel bagno, e così
gli ho chiesto: <Come hai fatto a scappare e a liberare anche tua moglie
e i figli?> e lui mi ha risposto: <Io, mia moglie e i miei figli
continuano a rimanere prigionieri, fino a che un giorno, mentre mi trovavo
insieme con altra gente alla corte del re dei nazareni, sentii che parlavano
dei re di questa terra e li nominavano uno dopo l'altro, e quando fecero
il nome del re di questa città il re dei cristiani esclamò:
'Ahimè! Nessuno al mondo mi tormenta più del re di quella
città! Se qualcuno riuscisse ad ucciderlo, gli darei tutto quello
che desidera.' Così mi feci avanti e dissi: ' Se io riuscirò
ad ucciderlo, concederai la libertà a me, a mia moglie e ai miei
figli? ' E il re rispose: ' Sì, e ti regalerò anche tutto
ciò che mi chiederai.'
Così rimanemmo d'accordo su questo punto, ed egli mi spedì
con una nave in questa città, dove mi presentai al re, il quale
mi fece costruire questo bagno. Ora, perciò, non mi resta che assassinarlo
e tornare dal re dei nazareni, così ch'io possa riscattare i miei
figli e mia moglie e chiedergli un donativo. > Allora io gli domandai:
<E come farai per ucciderlo?> E lui mi rispose: <Nel modo più
semplice: ho preparato una pasta nella quale è contenuto un potente
veleno; quando il re verrà al bagno gli dirò: ' Se ti ungi
le parti, basse con questa pasta, sarai depilato senza alcuna sofferenza.'
Così lui prenderà la pasta, se l'applicherà e il
veleno penetrerà nel suo corpo, fino a che raggiungerà il
cuore e lo ucciderà. E nel frattempo io avrò preso il mare
e nessuno saprà che sarà stato io ad ucciderlo. > Quando
udii ciò, " concluse Abu Qir, " ho temuto per te, o mio
benefattore, e perciò sono venuto ad avvisarti di quello che si
sta macchinando contro la tua persona. "
Non appena ebbe udito questa storia, il re fu preso da violenta collera
e disse al tintore: " Non farne parola con alcuno. " Poi decise
di recarsi al bagno per accertarsi della verità. Non appena fu
entrato, Abu Sir si pose subito al servizio del sovrano insaponandolo
e frizionandolo. Dopo di che gli disse: " 0 re del nostro tempo,
ti ho preparato una pasta che potrai usare per depilarti le parti basse.
" E il re disse: " Portamela. " Il barbiere gli portò
la pasta e il re, sentendo che aveva un odore nauseabondo, fu convinto
che conteneva veleno. Allora, pieno d'ira e di furore, chiamò le
guardie e disse loro: " Arrestatelo! " Poi il re sì rivestì
e tornò al palazzo schiumante d'ira; ma nessuno conosceva la causa
della sua collera, perché egli aveva tenuto la cosa segreta e i
cortigiani non osavano interrogarlo. Appena giunto a palazzo, il re si
recò nella sala delle udienze, ordinò che Abu Sir venisse
condotto dinanzi a lui e contemporaneamente mandò a chiamare il
comandante della flotta al 'quale disse: " Prendi questo gaglioffo,
mettilo in un sacco con due quintali di calce viva e lega ben stretta
l'imboccatura del sacco. Poi deponilo in una barca, esci in mare e vieni
davanti al mio palazzo; mi vedrai seduto a una finestra. Allora domandami:
<Devo gettarlo?> E se io ti rispondo: <Gettalo! > tu scaraventa
il sacco in mare in modo che costui muoia annegato e bruciato. "
" Ascolto e obbedisco, " rispose il comandante della flotta
e, preso Abu Sir, lo portò su un'isola che si trovava di fronte
al palazzo del re e gli disse: " Una volta io venni nel tuo bagno
e tu mi trattasti con grande onore e mi accudisti con estrema cortesia,
e per giunta non volesti essere pagato. Perciò io riposi in te
grande affetto. Dimmi dunque che cosa è successo fra te e il sovrano
e quale azione spregevole hai compiuto per indurlo ad ordinarmi di farti
morire di una morte così spaventosa. " " Io non ho fatto
nulla, né so di aver commesse alcun delitto per meritare questo!
" " In verità, " continuo il comandante, "
tu avevi raggiunto a corte un'alta posizione mai raggiunta da alcuno,
e coloro che sono fortunati sono anche invidiati. Forse qualcuno, geloso
del tuo successo, ti ha calunniato davanti al sovrano suscitando in lui
una collera così violenta; ma sta' di buon animo, perché
non ti accadrà nulla di male. Poiché tu mi trattasti con
tanta generosità e cortesia senza che noi nemmeno ci conoscessimo,
io ti libererò. Ma dovrai rimanere con me su quest'isola fino a
quando non capiterà qualche nave che faccia vela per il tuo paese
di origine; allora io ti farò partire. " Agu Sir gli baciò
le mani e lo ringraziò, dopo di che il comandante prese la calce
viva e la mise nel sacco insieme con una grossissima pietra dicendo: "
Ripongo la mia fiducia in Allàh! " Poi diede al barbiere una
rete dicendogli: " Intanto tu getta in mare questa rete e vedi di
pescare un po' di pesci, perché io sono tenuto a fornire ogni giorno
il pesce alla mensa del re, ma oggi sono stato distratto da questo disgraziato
accidente che ti è capitato e ho paura che vengano gli aiutanti
del cuoco reale a cercare il pesce e non ne trovino. Così se tu
peschi qualcosa, quelli se ne andranno contenti, mentre io mi recherò
con la barca davanti al palazzo del re e farò finta di gettarti
in mare. "
" Va' pure, " rispose Abu Sir, " e Dio ti aiuti! Io rimarrò
qui a pescare. " Così il comandante mise il sacco nella barca
e remò fin sotto il palazzo, dove vide il re seduto alla finestra
e gli chiese: " 0 re del nostro tempo, devo gettarlo? " e il
re rispose: " Gettalo! " E mentre accompagnava l'ordine con
un gesto si vide qualcosa luccicare nell'aria cadere in mare.
Ora la cosa che era caduta in mare era l'anello del re; ma non si trattava
di un anello qualunque, sebbene di un anello incantato grazie al quale
il re, quando era adirato con qualcuno e voleva ucciderlo, bastava facesse
un gesto con la mano destra, e subito dall'anello si sprigionava un lampo
di luce che colpiva la testa dell'individuo facendola cadere; orbene,
il re era riuscito ad aver ragione dei suoi nemici e ad ottenere l'obbedienza
assoluta delle truppe solo in virtù di quell'anello. Così,
quando il re si accorse che l'anello era caduto in mare, non disse nulla
a nessuno, per paura che le truppe si sollevassero e lo uccidessero.
Questo è quello che capitò al re. Per quanto riguarda Abu
Sir, dopo che il capitano lo ebbe lasciato sull'isola egli gettò
in mare la rete e subito la ritirò piena di pesci. Continuò
così per un pezzo, e sempre la rete tornava a riva piena di pesci.
Allora Abu Sir pensò: " Per Allàh, è tanto tempo
che non mangio pesce! " e scelse nel mucchio un pesce grande e grasso
dicendosi: " Quando il comandante torna, lo pregherò di friggermelo,
così che io possa mangiarlo. " Poi prese un coltello e cominciò
a sventrare il pesce, ma la punta della lama si impigliò in qualche
cosa; allora Abu Sir guardò che cosa fosse e vide che si trattava
dell'anello del re. Infatti il pesce, quando l'anello era caduto in mare,
lo aveva inghiottito, e il destino lo aveva poi spinto verso quell'isola
dove era andato a finire nella rete. Abu Sir prese l'anello e se lo infilò
nel dito mignolo, non sapendo le virtù magiche che possedeva. Ed
ecco di lì a poco vennero due aiutanti del cuoco di corte a cercare
il pesce e vedendo Abu Sir gli dissero: " Ehi, tu, dov'è andato
il comandante? " " Non lo so, " rispose Abu Sir, e fece
un gesto con la mano destra; ed ecco, oh meraviglia! che le teste dei
due giovanotti si staccarono dalle spalle e caddero a terra. Vedendo ciò,
Abu Sir rimase stupefatto ed esclamò: " Chi mai sarà
stato a uccidere costoro? " Era ancora tutto scombussolato per l'accaduto,
quand'ecco che tornò il capitano e vedendo il mucchio di pesci
e i due giovanotti distesi a terra e l'anello reale al dito di Abu Sir
subito gli gridò: " Fratello mio, non muovere la mano che
porta quell'anello, altrimenti mi ucciderai! " Abu Sir non ci capiva
nulla, tuttavia tenne immobile la mano; allora il capitano si avvicinò
a lui e gli disse: " Chi ha ucciso questi due uomini? " "
Per Allàh, fratello mio, non ne so nulla. " " Credo che
tu abbia ragione; ma dimmi, dove hai trovato quell'anello? " "
L'ho trovato nel ventre di questo pesce. " " Anche questo è
vero, " disse il capitano, " infatti ho visto l'anello luccicare
e cadere in acqua dalla finestra del palazzo quando il re fece segno verso
il sacco dicendomi : <Gettalo! > Cosi io gettai il sacco in acqua
e fu allora che l'anello scivolò via dal dito del re e cadde in
mare, dove questo pesce lo ha inghiottito e Allàh ha fatto poi
in modo che venisse a cadere nella tua rete; ma dimmi, conosci tu le virtù
di questo anello? " " Non sapevo che avesse delle virtù
particolari. " Allora il capitano disse: " Sappi, dunque, che
le truppe del re obbediscono al sovrano solo per paura di questo anello,
che è incantato e possiede questa virtù : che quando il
re è adirato contro qualcuno e vuole ucciderlo basta che faccia
un cenno verso di lui con l'anello e la testa del meschino si stacca dalle
spalle e cade a terra; infatti questo anello sprigiona un lampo di luce
che colpisce l'oggetto dell'ira regale provocandone la morte. " Sentendo
ciò, Abu Sir si rallegrò e disse al comandante: " Riportami
subito in città. " E il comandante disse: " Lo farò,
dato che ora non temo più che il re possa nuocerti. Infatti, basterebbe
che tu facessi un cenno verso di lui con la mano e la sua testa ti cadrebbe
ai piedi. E se tu hai intenzione di uccidere lui e tutti i suoi potrai
farlo senza difficoltà. "
Ciò detto, fece salire in barca Abu Sir e lo riportò in
città. E appena arrivati Abu Sir si recò difilato al palazzo
reale ed entrò nella sala del consiglio, dove trovò il re
seduto con aria cupa di fronte ai suoi ufficiali e preoccupato per via
della perdita dell'anello. Quando vide Abu Sir, il re gli disse: "
Non ti avevamo fatto gettare in mare? Come hai fatto ad uscirne? "
" 0 re del nostro tempo, " rispose Abu Sir, " quando tu
ordinasti di gettarmi in mare, il comandante mi portò su un'isola
e mi chiese la ragione della tua collera dicendo: < Che cosa hai fatto
al re perché decretasse la tua morte?> e io risposi: <Per
Allàh, io non so di avergli fatto alcun torto! > Allora egli
mi rispose: <Tu eri diventato potente presso il re e forse qualcuno
ti ha invidiato e ti ha calunniato fino a suscitare l'ira del sovrano.
Però, quando io venni nel tuo bagno, tu mi trattasti con grande
onore; perciò ora voglio ripagare la tua ospitalità lasciandoti
libero e rimandandoti al tuo paese. > Quindi mise nel sacco una grossa
pietra al mio posto e gettò il tutto nel mare; ma, quando tu gli
facesti segno di gettarmi, l'anello ti si sfilò dal dito, cadde
in acqua e un pesce lo inghiottì. Ora, io stavo su quell'isola
a pescare quando questo pesce, insieme con altri, cadde nella mia rete.
Allora io lo presi pensando di cucinarlo, ma quando gli aprii il ventre
vi trovai dentro l'anello, che m'infilai al dito. Ed ecco che vennero
due servi delle tue cucine in cerca del pesce, e io feci loro un cenno
con la mano, non conoscendo le virtù dell'anello, e quelli subito
caddero a terra decapitati. Poi tornò il capitano e m'informò
di ogni cosa; così io ti ho riportato l'anello, perché tu
mi hai trattato con bontà e con il massimo onore e non voglio che
quello che tu mi hai fatto vada perduto. Ecco il tuo anello: prendilo!
Ma se io ho fatto contro di te qualcosa che merita la morte, dimmi qual
è la mia colpa e uccidimi, così tu sarai assolto dal sangue
che avrai versato. " Ciò detto, si sfilò l'anello dal
dito e lo diede al re, il quale, vedendo la nobile condotta di Abu Sir,
prese l'anello, se lo infilò al dito e gli parve che la vita tornasse
di nuovo a scorrergli nelle vene. Poi si alzò in piedi e abbracciando
il barbiere gli disse: " 0 uomo, tu sei davvero il fiore dei galantuomini!
Non biasimarmi, ma perdonami per il torto che ti ho fatto. Chiunque altro
fosse venuto in possesso di questo anello, non me lo avrebbe mai restituito.
" Abu Sir rispose: " 0 re del nostro tempo, se vuoi che io ti
perdoni, dimmi quale colpa attirò su di me la tua ira. " Allora
il re gli disse: " Per Allàh, vedo adesso chiaramente che
tu sei mondo da ogni sospetto, dal momento che hai compiuto questa nobile
azione; fu il tintore a denunciarti a me con queste e queste parole. "
E gli raccontò tutto quello che Abu Qir aveva detto: " Per
Allàh, o re del nostro tempo, " rispose Abu Sir, " io
non conosco alcun re dei nazareni e in vita mia non sono mai stato in
un paese cristiano, né mi è mai passata per il cervello
l'idea di ucciderti. Piuttosto questo tintore era mio amico e vicino nella
città di Alessandria dove vivevamo di stenti; perciò decidemmo
di partircene in cerca di fortuna e dopo aver recitato il capitolo iniziale
del Corano ci promettemmo reciprocamente che quello dei due che avesse
trovato per primo lavoro avrebbe aiutato l'altro. E dopo mi capitarono
con lui queste e queste cose. " E Abu Sir raccontò al re tutto
ciò che gli era accaduto con Abu Qir il tintore come questi lo
avesse derubato dei suoi soldi e lo avesse lasciato solo e ammalato nella
stanza del caravanserraglio e come il portinaio lo avesse nutrito a spese
sue fino a che Allàh non lo aveva fatto guarire, e come egli fosse
poi andato in giro per la città in cerca di lavoro fino a che era
capitato davanti alla tintoria e guardando dalla porta aveva visto Abu
Qir seduto nel negozio ed era entrato per salutarlo, ma quello lo aveva
accusato di essere un ladro e lo aveva bastonato di santa ragione. In
breve, raccontò per filo e per segno ogni particolare delle sue
peripezie concludendo: " 0 re del nostro tempo, fu lui che mi consigliò
di preparare il depilatorio e di offrirtelo dicendomi: < Il bagno è
perfetto in ogni cosa, solo questo gli manca.> E sappi, o re del nostro
tempo, che questo preparato è innocuo e che al nostro paese lo
usiamo di continuo ed è un cosmetico indispensabile in ogni bagno;
ma io me ne ero dimenticato, e fu il tintore a farmelo tornare in mente
e ad invitarmi a prepararlo. Ma ora ti prego: manda a chiamare il portinaio
del caravanserraglio e i lavoranti della tintoria e interrogali su tutto
quello che ti ho detto. "
Così il re mandò a chiamare tutte quelle persone e le interrogò
ed esse lo informarono della verità. Allora il re ordinò
che gli trascinassero davanti il tintore, dicendo: "Sia condotto
qui a piedi nudi, a capo scoperto e con le mani incatenate! " Ora,
il tintore se ne stava a casa sua, tutto contento per la morte di Abu
Sir; ma ecco che prima che egli potesse rendersene conto le guardie del
re si precipitarono su di lui, lo incatenarono e lo trascinarono nella
sala del consiglio, dove egli vide Abu Sir seduto al fianco dei re e il
portiere del caravanserraglio e i lavoranti della tintoria in piedi da
una parte. Allora il portinaio gli disse: " Non è forse costui
il tuo amico, quello al quale tu hai rubato il denaro lasciandolo ammalato
nel mio caravanserraglio e comportandoti con lui in questa e questa maniera?
" E i lavoranti gli dissero: " Non è questo l'uomo che
tu ci ordinasti di prendere e bastonate? " Allora il re vide chiara
la perfidia di Abu Qir e fu convinto che quell'uomo meritava i tormenti
peggiori di quelli che infliggono Munkar e Nakìr.
Così disse alle guardie: " Prendetelo e trascinatelo in giro
per la città e per i mercati; poi chiudetelo in un sacco e gettatelo
in mare. " A questo punto Abu Sir intervenne dicendo: " 0 re
del nostro tempo, consentimi d'intercedere in suo favore, perché
io gli perdono tutto quello che mi ha fatto. " Ma il re rispose:
" Se tu gli perdoni il male che ti ha fatto, io non posso perdonargli
i torti che ha fatto a me. " E ciò detto gridò alle
guardie: " Portatelo via! " Così le guardie lo trascinarono
per tutta la città; dopo di che lo chiusero in un sacco con la
calce viva e lo gettarono in mare, dove morì annegato e bruciato.
Poi il re disse al barbiere: " 0 Abu Sir, chiedimi tutto quello che
vuoi e io te lo darò. " E quello rispose: " Ti chiedo,
signore, di rimandarmi al mio paese. " Allora il re lo colmò
di doni di ogni genere e fra le altre cose gli diede una nave carica di
merci, con una ciurma di schiavi bianchi, e gli diede queste ed altre
cose dopo avergli offerto la carica di visir, che però il barbiere
non volle accettare. Così, di lì a qualche giorno, Abu Sir
andò a prendere congedo dal re, sciolse le vele della sua nave
e gettò le ancore solo quando ebbe raggiunto Alessandria. E appena
arrivati scesero a terra, quand'ecco che uno degli schiavi vide un sacco
sulla riva del mare e disse ad Abu Sir: " Signore, sulla spiaggia
c'è un sacco grosso e pesante, con l'imboccatura legata, e non
so che cosa contenga. " Allora Abu Sir si avvicinò al sacco,
lo aprì e dentro ci trovò i resti di Abu Qir che il mare
aveva portato fino a quella spiaggia. Ordinò allora che i resti
di Abu Qir venissero ricomposti e seppelliti in riva al mare nei pressi
della città di Alessandria, e fece costruire una tomba, che diventò
poi un luogo di pellegrinaggio, e sulla porta della tomba scrisse queste
parole:
" L'uomo si conosce fra gli uomini per le sue azioni che rendono
manifesta la sua nobile ori gine. Le carogne del deserto galleggiano sull'acqua,
mentre le perle rimangono celate sul fondo. Sta scritto nel cielo, sulle
pagine dell'aria, <Chi fa il bene, avrà il meglio!> Non sperate
di ricavare zucchero dalle radici amare, dal sapore si riconoscerà
sempre la cosa. "
Dopo di ciò, Abu Sir visse ancora qualche tempo fino a che Allàh
lo chiamò a sé e lo seppellirono accanto alla tomba del
suo compagno Abu Qir. Perciò quel posto venne chiamato Abu Qir
e Abu Sir, ma oggi è conosciuto solo con il nome di Abu Qir. Questo
è quanto della loro storia è giunto fino a noi, e sia gloria
a Colui che è paziente in eterno e per la cui volontà avviene
la notte e il giorno.
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