Possiamo vivere con l'Islam?
Il confronto fra la religione islamica e le civilizzazioni laiche e cristiane.
di Jacques Neirynck e Tariq Ramadan
Titolo originale dell’opera: "Peut-on vivre avec l’ Islam"*

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 Introduzione

Ci si può battere in nome di Dio?

Bisogna osar affrontare le relazioni tra l'islam e la società occidentale che, a dir la verità, sono state spesso cattive nel passato e che non cessano di aggravarsi in questi ultimi anni. L'islam, considerato allo stesso tempo come religione e come cultura, viene messo a confronto con questa entità molto più vaga che si chiama “società occidentale” e che esitiamo a definire cristiana perché essa è entrata in un processo di laicizzazione e di secolarizzazione in cui la religione sembra non aver più un gran ruolo da svolgere. I due mondi diffidano l'uno dell'altro e non esitano a utilizzare la violenza per esorcizzare questa paura.

Partiamo da uno scontro concreto che è stato vissuto recentemente. Ciascuna delle parti in causa si è comportata nel peggior modo possibile, sprezzando i propri principi col pretesto di difenderli.

Ci riferiamo ai due attentati che hanno avuto luogo nel 1998 contro le ambasciate americane a Kampala ed a Dar as-Salaam, immediatamente seguiti dalle misure di ritorsione degli Stati Uniti, che hanno preso di mira due paesi, l'Afghanistan ed il Sudan, non direttamente implicati nell'attentato ma colpiti per un atto di punizione collettiva nei riguardi dell'islam.

Le due parti rinnegano completamente i loro principi. I terroristi musulmani se la sono presa con innocenti. Questa aggressione cieca, perpetrata in nome del Corano, sicuramente va a loro danno. Anche se alcuni paesi musulmani possono sentirsi aggrediti dagli Stati Uniti, prendersela con diplomatici viola il diritto internazionale e va al di là della legittima difesa. Non solo le vittime erano innocenti, ma la maggior parte non aveva nulla a che fare col conflitto, poiché si trattava di africani. E forse alcuni di loro erano essi stessi musulmani.

In senso opposto, anche le forze aeree americane se la sono presa con innocenti in Afghanistan e nel Sudan, due paesi il cui torto principale è la loro appartenenza all'Islam. E, all'interno dell'Islam, al movimento che rifiuta di piegarsi ai diktat politici dell'America e che resiste all'iniziativa di occidentalizzazione che seduce altri paesi musulmani. Ben ottanta missili da crociera hanno colpito obiettivi più simbolici che reali. Il costo totale dei missili ammonta a sessanta milioni di dollari. Lanciare questo tipo di armi su paesi così poveri costituisce un crimine che grida vendetta al Cielo. Con sessanta milioni di dollari che cosa non si sarebbe potuto fare per nutrire le persone che soffrono la fame nel Sudan e per istruire gli analfabeti in Afghanistan? Gli Stati Uniti hanno violato il diritto internazionale, proprio loro che si considerano in un certo senso la norma morale del mondo ed i gendarmi del pianeta. Si sono impegnati in atti di guerra sul territorio di paesi con i quali non sono in conflitto.

Tuttavia questo episodio non è che l'ultimo in ordine di tempo. E sicuramente lo è solo per il momento. Esso fa parte di una lunga catena di atti di violenza. Gli episodi più drammatici sono le guerre in Libano, in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo, in Iraq, che hanno contrapposto e contrappongono ancora cristiani e musulmani. Allo stesso modo le persecuzioni aperte o latenti contro le minoranze cristiane sono molteplici: nel Sudan, nel Pakistan, in Indonesia, nelle Filippine. Il massacro in Algeria di alcuni religiosi europei (nel 1984 due suore e cinque frati, nel 1995 quattro suore, nel 1996 i sette monaci trappisti di Tibéhirine ed il vescovo di Orano) ha disonorato i GIA (Gruppi Islamici Armati) ed ha dimostrato come il governo algerino sia incapace di garantire la sicurezza interna. Purtroppo le vittime algerine sono state ancora più numerose: è diventata una banalità sapere che un villaggio è stato circondato da assassini del GIA e che decine di vittime sono state sgozzate, senza altro motivo che quello di spargere il disordine ed il terrore.

La violenza si riversa anche nel mondo occidentale. Lo scrittore Salman Rushdie è stato oggetto di una fatwa iraniana che autorizzava la sua esecuzione con una ricompensa per l'assassino. Nel 1993 un attentato contro il World Trade Center a New York ha causato tre morti: lo scopo era di far crollare uno degli edifici più alti del mondo nel cuore della finanza mondiale. Durante la festa di Natale del 1994, un Airbus dell'Air France è stato dirottato, i passeggeri presi in ostaggio (tre di loro giustiziati) finché non è scattato l'assalto del GIGN francese che ha ucciso i terroristi all'aeroporto di Marsiglia, sotto gli occhi di tutta la Francia incollata agli schermi della televisione che trasmetteva in diretta. Nel 1995 e 1996 il terrorismo algerino ha messo Parigi in stato d'assedio per parecchi mesi. Il 17 agosto un attentato sulla Avenue de Friedland provoca diciassette feriti. Il 28 agosto il deragliamento del TGV Parigi-Lione viene evitato giusto in tempo. Il 29 settembre uno dei terroristi, Khaled Kelkal, viene giustiziato quasi in diretta sugli schermi televisivi. Il 6 ottobre un attentato alla stazione della metropolitana Maison-Blanche provoca tredici feriti. Il 3 dicembre 1996, alla stazione di Port-Royal, all'ora di punta, quella dell'uscita dagli uffici, un'esplosione provoca ottantadue feriti gravi, due dei quali moriranno.

Pattuglie del CRS e di paracadutisti hanno setacciato i posti strategici per lunghi mesi. I cassonetti dell'immondizia sono stati inchiodati e resi inutilizzabili, le borse perquisite all'entrata dei negozi. Parigi è stata messa in uno stato d'assedio come se la violenza della guerra civile algerina avesse il diritto di imporsi all'antica potenza coloniale, considerata responsabile della sofferenza dell'Algeria fino alla fine dei tempi. Albert Camus, abitante di Orano, tanto algerino quanto i musulmani, aveva già predetto alla fine de “La Peste” che un giorno i topi sarebbero usciti di nuovo dalle fogne e che la peste sarebbe tornata nelle città felici. Non credeva che sarebbe stato proprio così. Sembra di essere ritornati alle guerre di religione, alle crociate ed al jihad.

Meno drammatica ma altrettanto pericolosa è l'atmosfera di sospetto che cresce intorno alle comunità musulmane insediate in Europa. I conflitti legati al velo islamico nelle scuole pubbliche francesi si ripetono al punto che il Ministero dell'istruzione nazionale retribuisce una mediatrice specializzata per risolverli. Abbandonati a loro stessi, incapaci di inserirsi nel mondo del lavoro, alcuni giovani musulmani trasformano le periferie in isole senza legge che i dipendenti dei trasporti pubblici rifiutano di servire. Tutto diventa occasione di conflitto: la costruzione di una moschea in Occidente (che non è mai facile anche se ce ne sono molte in Francia ed in Europa) o il divieto formale di costruire una chiesa in Arabia Saudita; la proibizione dell'alcol per gli occidentali che vivono in certi paesi della penisola araba; la richiesta di cimiteri musulmani in Europa; il sacrificio rituale dei montoni al di fuori del circuito autorizzato dei mattatoi. Su questo terreno propizio, i partiti di estrema destra, razzisti e xenofobi, hanno buon gioco nel reclutare aderenti: in una Francia che ha una minoranza importante di oltre quattro milioni di musulmani, spesso concentrati in veri e propri ghetti alla periferia delle grandi città, risorge la vecchia paura di un gruppo inassimilabile, che minaccia la cultura del paese, le sue tradizioni ancestrali e le istituzioni della Repubblica. I musulmani, molto spesso di nazionalità francese, giocano il ruolo molto scomodo che era già stato quello dei protesanti o degli ebrei.

La stessa situazione prevale in Belgio dove un partito neo-nazista ha ottenuto il 28% dei voti nel grande porto di Anversa, sulla base di un programma xenofobo, che del resto sacralizza lo stesso odio per musulmani, ebrei e francofoni, tutti coloro che non rientrano nel canone del buon tedesco biondo dagli occhi blu. La Germania è sempre reticente all'integrazione di una minoranza di circa tre milioni di turchi rendendo meno rigide le regole per la naturalizzazione. La Svizzera attua una politica selettiva dell'immigrazione che praticamente esclude l'entrata dei musulmani: come di consueto essa risolve elegantemente un problema evitando di porselo.

Non serve a nulla allungare questa lista. L'Occidente si sente minacciato dall'islam che prova del resto un sentimento reciproco. Tutte le condizioni per un malinteso o un conflitto sono costantemente riunite. Tutto si svolge come se le due culture non avessero altra risorsa che contraddirsi, denigrarsi e temersi.

Davanti ad una tale incomprensione, ad un tale diniego del diritto dei popoli e ad una tale caricatura delle religioni, la cosa più importante è interrogare la fede stessa. Che cosa dice la fede dell'islam di fronte a queste manifestazioni di violenza inaudita? Che cosa dice la fede dei cristiani di fronte a queste aggressioni reciproche? Qual è la relazione tra la fede dell'islam e la fede dei cristiani? Queste religioni sono forse per natura opposte su punti fondamentali che innescano conflitti inevitabili e ricorrenti? Non esiste alcun terreno d'intesa? Ci si può battere in nome di Dio pretendendo ciascuno di esserne il proprietario, obbedire alla sua volontà massacrando e disporre della sua benedizione perfino nell'omicidio?

I termini di un conflitto

Questo è un libro di buona fede e buona volontà. Prende in contropiede l'atteggiamento di diffidenza e di ostilità che è diventato la norma. Si sforza di promuovere una comprensione ed un rispetto reciproci tra le due culture cristiana ed islamica, che si dividono il bacino del Mediterraneo, le loro vecchie terre di civilizzazione, bagnate da tante lacrime e tanto sangue, fonti allo stesso tempo di saggezza e di follia. Senza dimenticare la terza cultura, l'ebraismo, che ha costituito la matrice originale degli altri due monoteismi. Poiché gli scontri avvengono in nome di religioni concorrenti, parliamo di queste religioni, prendiamole sul serio, cerchiamo di risalire alle loro più profonde radici.

Dopo il crollo del marxismo, l'Occidente vincitore non ha altro da temere che i propri eccessi e sembra non incontrare altra contraddizione che quella dell'islam, allo stesso tempo religione e cultura, indissociabili l'una dall'altra. La vera opposizione non è in realtà tra due religioni concorrenti e divergenti. Si tratta piuttosto di un faccia a faccia tra, da una parte, l'Occidente praticamente ateo, razionalista, scientista, mercantile, fedele alla religione del consumo e del benessere, del hic et nunc, che nega ogni trascendenza, che riduce la morale allo stretto indispensabile al fine di assicurare in modo pragmatico la stabilità delle società e, dall'altra, l'islam rimasto massicciamente credente in un Dio unico che parla agli uomini per mezzo dei profeti e, soprattutto, tramite l'ultimo di loro, Muhammad. Società che prendono la fede sul serio al punto che ne impregnano tutta la vita e che non concepiscono una morale, un'economia, una politica che non abbia la propria fonte negli insegnamenti del Libro rivelato, il Corano.

Questi i termini di un possibile confronto. Non tra cristiani e musulmani, ma tra due universi, uno che praticamente nega la trascendenza e l'altro in maggioranza legato alla fede. Difficilmente si possono pensare condizioni peggiori per una incomprensione radicale. Nel primo ogni credo religioso espresso collettivamente è considerato alla stessa stregua di un delirio, una manipolazione da parte del clero, il retaggio di una mentalità arcaica. Nel secondo è difficile riuscire a capire che sia possibile non credere e si sospetta che l'Occidente voglia imporre dappertutto una rivolta luciferina, allo stesso tempo lucida e odiosa.

Non c’è pace tra i popoli senza pace tra le religioni.

Questo libro è fatto in buona fede e con buona volontà poiché utilizza una scappatoia, l'unica possibile. I due autori sono entrambi credenti impegnati, perciò il fossato si rivela meno difficile da superare. Ciascuno prende sul serio la fede dell'altro e capisce che bisogna partire da lì per capire tutto l'essere umano fino alle sue manifestazioni più strane. Tale è stato il motore di questa impresa: ridurre pazientemente le incomprensioni, valutare con lucidità le scelte che uniscono e le sfumature che separano. L'augurio più caloroso dei due autori è che l'amicizia nata durante il lavoro in comune faccia scuola. Sperano entrambi che un giorno vicino o lontano si ritrovino a Gerusalemme tutti i figli di Abramo - ebrei, cristiani e musulmani - per difendere fraternamente tutto ciò che li unisce contro tutto ciò che li minaccia. Si associeranno a tutti gli uomini di buona volontà che, in nome della loro coscienza, difendono il senso della vita, la giustizia, il diritto, l'uguaglianza ed il dialogo. Allora - e soltanto allora! - saremo fedeli alla fede in Dio misericordioso, Che ci insegna non la vendetta ma l'amore ed il perdono.

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* Jacques Neirynck e Tariq Ramadan: Possiamo vivere con l'Islam?

Prima edizione italiana ottobre 2000 / shaban 1421 © Edizioni " Al Hikma" 2000 per la traduzione italiana

Ed. “Al Hikma” C.P. 653, 18100 Imperia Tel. 0183.767601, fax 0183.764735 e-mail: alhikma@uno.it

Titolo originale dell’opera " Peut-on vivre avec l’ Islam" © Édition FAVRE SA 1999 Lausanne, Suisse

Il libro può anche essere acquistato a vantaggiose condizioni sul sito: www.libreriaislamica.it

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