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... una casa. Ci avvicinammo ed ecco che dalla casa uscirono degli uomini nudi i quali, senza nemmeno salutarci e senza dire una parola, ci presero e ci portarono dal loro re. Questi, a cenni ci ordinò di sedere, quindi ci fece mettere davanti dei cibi che non avevamo mai visto in vita nostra. I miei compagni, spinti dalla fame, ne mangiarono ma io, sentendomi rivoltare lo stomaco, non volli toccarli, e fu questa una grazia d'Allah, perché dal fatto di non aver toccato quei cibi dipese la salvezza della mia vita. Infatti i miei compagni, non appena ebbero assaggiato quelle vivande, smarrirono la ragione, si comportarono come tanti stralunati e cominciarono a divorare il cibo come uomini posseduti da uno spirito maligno. Poi quei selvaggi diedero da bere ai miei compagni olio di noce di cocco e con lo stesso olio li unsero su tutto il corpo. E non appena i miei compagni ebbero bevuto di quell'olio strabuzzarono gli occhi e ricominciarono a mangiare come forsennati anche se non ne avevano voglia.
Quando vidi ciò rimasi perplesso e mi preoccupai per i miei compagni; ma mi preoccupai anche per me stesso, a causa di quegli uomini nudi. Così mi misi ad osservarli attentamente e non mi ci volle molto per scoprire che si trattava di una tribù di maghi cannibali, il cui re era un orco. Tutti quelli che avevano la sventura di capitare nel loro paese, essi li acchiappavano e li portavano dal loro re, poi li nutrivano con quei cibi e li ungevano con quell'olio cosi che il loro ventre si dilatava smisuratamente e gli infelici cominciavano a mangiare senza posa e a causa di ciò perdevano la ragione e diventavano come idioti. Allora quei selvaggi ingozzavano i poveretti con quei cibi e con l'olio di cocco fino a che non erano diventati ben grassi, quindi li, sgozzavano e li arrostivano dandoli da mangiare al loro re. Gli altri, voglio dire gli altri selvaggi, si contentavano di mangiare la carne umana cruda. Quando ebbi fatto questa scoperta, mi sentii pieno di tristezza e di timore per la mia sorte e per quella dei miei compagni, tanto più in quanto vedevo, che la loro ragione vacillava e li abbandonava a mano a mano che essi ingrassavano, al punto che a forza di mangiare si abbrutirono completamente; e allora i selvaggi li affidarono a una specie di pastore, che ogni giorno li portava nei prati dove essi pascolavano come bestie. Quanto a me, mentre i miei compagni ingrassavano, io ero dimagrito per la fame e per la paura, la carne mi si era seccata sulle ossa ed ero diventato simile ad uno scheletro. Così nessuno si curò più di me e alla fine mi dimenticarono completamente. Approfittai quindi del fatto che nessuno mi prestava più attenzione e un giorno mi decisi a fuggire, poiché la vista dei miei compagni, diventati mentecatti e grassi come porci, mi era insostenibile. Camminai giorni e giorni nutrendomi di qualche erba che trovavo, fino, a che una mattina giunsi in vista di un gruppo di persone intente a raccogliere grani di pepe. Non appena costoro mi videro, mi si fecero incontro e mi chiesero chi fossi. " Sappiate, brava gente, " risposi io, " che sono un povero straniero. " E raccontai loro la brutta avventura vissuta presso quei selvaggi. Allora costoro fecero le più grandi meraviglie e mi dissero: " Per Allah, quello che tu dici è meraviglioso! Ma come hai fatto a sfuggire a quei cannibali che infestano l'isola e divorano tutti quelli che cadono in loro potere? " Quando ebbi finito di raccontare loro tutti i particolari della mia avventura, essi. mi rifocillarono con buoni cibi, mi fecero riposare, quindi scendemmo sulla riva del mare, c'imbarcammo su una nave che era colà in attesa e arrivammo alla loro isola, dove mi condussero immediatamente dal loro sovrano. Questi mi accolse con molto onore, rispose affabilmente al mio saluto e volle sapere ogni particolare della mia avventura. Quando lo ebbi informato di tutto quello che mi era successo fin dal giorno in cui avevo lasciato Baghdad, egli espresse grande meraviglia per tante vicissitudini, poi ordinò che mi si portasse cibo a sufficienza ed abiti ed ogni cosa di cui potessi aver bisogno. Così mi rallegrai per la mia buona sorte e ringraziai la clemenza dell'Onnipotente. Poi cominciai ad andare in giro per la città, che trovai ricca e prospera, piena di mercanzie e di mercati dove si comprava e si vendeva. Trascorsi in tal modo qualche tempo fra la gente di quella città, amato e stimato da tutti, al punto da diventare uno degli uomini più onorati di quel regno. Ora, mentre trascorrevo così i miei giorni, notai che la maggior parte della gente di quel posto cavalcava bellissimi destrieri, ma li cavalcava a pelo e senza sella. Allora, meravigliato, chiesi al re: " Perché, signor mio, non cavalchi con una sella? E più comoda e dà maggior forza al cavaliere. " E il re mi disse: " Una sella? E che cosa è mai? Io non l'ho mai vista in vita mia né l'ho mai usata per cavalcare. " Allora io gli dissi: " Se tu permetti, signore, io ti costruirò una sella, e tu potrai constatare quanto è più comodo ed agevole cavalcare con essa. " " Fa' pure, " mi disse il sovrano. Allora io gli chiesi di farmi dare del legno, del cuoio e della lana, poi cercai un abile carpentiere e gli ... continua ...
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