Storia di Sindbad il Marinaio
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pilastri... dopo mangiato, mi stesi sull'erba per fare un pisolino. Quando mi svegliai, mi trovai solo; la nave era partita con tutti i suoi passeggeri e nessuno si era ricordato di me. Cominciai a cercare affannosamente a destra e a sinistra, ma non trovai né uomini né spiriti. Ero completamente solo su quell'isola disabitata. Mi prese allora un grande sconforto e la vescica del fiele fu sul punto di rompersi per l'amarezza e l'afflizione. Disperando di poter mai uscire da quel luogo mi dissi: " Cadi oggi e cadi domani, la giara finisce per rompersi! La prima volta riuscii a salvarmi perché qualcuno mi ricondusse nei paesi abitati, ma questa volta temo proprio che non vi sia speranza per me! ".
In un accesso di rabbia contro me stesso, mi misi a piangere e a gemere, rimproverandomi di avere voluto affrontare ancora una volta le incertezze e i pericoli di un viaggio per mare, quando a casa non mi mancava nulla e avevo tutto ciò che potevo desiderare e trascorrevo una vita serena e felice. Mi pentii amaramente di aver lasciato Baghdad, soprattutto dopo aver fatto l'esperienza del primo viaggio, durante il quale poco era mancato ch'io non perdessi la vita. Allora esclamai: " Noi siamo cose di Allah ed a lui dobbiamo ritornare! " Sentendomi impazzire, quasi in preda a un sortilegio, cominciai a camminare avanti e indietro senza sapere dove andassi né che cosa facessi. Alla fine mi arrampicai su un albero altissimo e cominciai a scrutare l'orizzonte, ma non vidi altro che cielo e mare, alberi e uccelli, isole e sabbia. Tuttavia, dopo un poco, guarda che ti riguarda, scorsi in lontananza verso l'estremità dell'isola una forma biancheggiante. Scesi dall'albero e mi diressi a quella volta e, quando fui abbastanza vicino, mi accorsi che quell'oggetto bianco era una grande cupola che si levava alta verso il cielo. Cominciai à girarle intorno, ma non riuscii a trovare né porte né pertugi. Cercai di arrampicarmi, ma la cosa mi riuscì impossibile, perché la cupola era straordinariamente liscia e non offriva alcun appiglio. Tracciai un segno per terra nel luogo in cui mi trovavo e girai attorno alla cupola constatando che la sua circonferenza era di buoni cinquanta passi. Mentre me ne stavo lì a lambiccarmi il cervello sul modo migliore di entrare in quella cupola, ecco che d'un tratto il sole si oscurò, come se una grande nuvola lo avesse coperto. La cosa mi meravigliò moltissimo perché eravamo d'estate e il cielo era limpido e terso; allora levai in alto gli occhi e vidi un uccello dalla mole enorme e dalle ali larghissime che, volando nell'aria, aveva nascosto completamente il sole all'isola. A quella vista il mio stupore non ebbe limiti; ma subito ricordai di aver sentito viaggiatori e pellegrini raccontare di un uccello enorme, chiamato Rukh, che abitava in una certa isola e che nutriva i suoi piccoli con gli elefanti. Non ebbi più dubbi che la cupola che aveva attirato la mia attenzione fosse un uovo del Rukh. Mentre io non finivo di meravigliarmi per le opere dell'Onnipotente, l'uccello si posò sulla cupola e cominciò a covarla, accovacciandosi con le zampe tese indietro. In questa posizione si addormentò, sia lode all'Insonne!
Quando fui sicuro che l'uccello dormiva, mi avvicinai, sciolsi il turbante e lo attorcigliai facendone una corda robusta e molto resistente e me ne legai strettamente un capo alla vita; l'altro capo lo assicurai a una zampa dell'uccello dicendomi: " Chissà che questo uccello non mi porti in una terra dove siano uomini e città; questo sarà meglio che rimanere in un'isola deserta. " Quella notte non dormii per tema che l'uccello volasse via all'improvviso. Non appena apparve in cielo il primo chiarore dell'alba, il Rukh si alzò dall'uovo, spalancò le enormi ali e, gettando un grido assordante, si levò in volo trascinandomi con sé. Salì e salì tanto in alto che pensai avesse raggiunto il limite del cielo; poi, a poco a poco cominciò a discendere fino a che prese terra in cima ad un'alta collina.
Non appena mi sentii la terraferma sotto i piedi, mi affrettai, con mani tremanti dalla paura, a scioglierne dal Rukh temendo che si accorgesse di me. Tuttavia l'uccello non mi prestò alcuna attenzione, ma si guardò in giro e dopo un poco vidi che aveva afferrato fra gli artigli qualcosa. Guardai più attentamente e mi accorsi che si trattava di un serpente dalle proporzioni smisurate. Tenendo ben stretta fra le zampe la sua preda, l'uccello si levò di nuovo in volo e dopo poco sparì dalla vista.

Pieno di meraviglia per ciò che mi era capitato e che avevo visto, avanzai fino al ciglio della collina e vidi al miei piedi una valle ampia e profonda, circondata da monti la cui altezza sarebbe impossibile descrivere; basterà dire che erano tanto alti che l'occhio umano non riusciva a scorgerne le vette. Quando ebbi visto il luogo in cui mi trovavo, esclamai: " Avesse voluto il cielo che fossi rimasto su quell'isola! Quanto ... continua ...

 
 
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